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Viaggio a Platì. Che soffre (ma si autoassolve)

PLATÌ Crocifissa fra una strada proiettata verso il nulla e un fiume assassino i cui argini sono divenuti in alcuni tratti più alti delle case, Platì affronta sotto un sole timido l’inizio della ca…

Pubblicato il: 09/05/2016 – 17:48
Viaggio a Platì. Che soffre (ma si autoassolve)

PLATÌ Crocifissa fra una strada proiettata verso il nulla e un fiume assassino i cui argini sono divenuti in alcuni tratti più alti delle case, Platì affronta sotto un sole timido l’inizio della campagna elettorale. Dopo il ritiro di Leonardi, a sfidarsi per il Comune che da oltre dieci anni vive quasi ininterrottamente sotto commissariamento, ci sono due liste civiche, ma nel primo pomeriggio, nessuno dei due candidati è per strada a parlare o tentare di coinvolgere giovani o meno giovani. Nella via centrale del paese, dove la vita si snoda attorno a tre circoli e un bar, ci sono solo ragazzini che consumano gomme e frizioni di scooter e motorini che a volte non hanno neanche l’età per guidare.

I CANDIDATI Rosario Sergi, noto esponente del movimento Liberi di ricominciare, nato qualche anno fa per contestare lo scioglimento «liberticida e anticostituzionale» di San Luca e divenuto noto per le feroci campagne antimigranti a Reggio, nelle prime ore del pomeriggio di domenica è nelle campagne attorno al paese – dice – «per gli incontri di campagna elettorale». Nessuno ha invece notizie di Ilaria Mitiga, «e non lo possiamo sapere perché lei non è di qua» dice un quarantenne che consuma il pomeriggio in uno stanzone con vista sulla strada trasformato in bar, con annessa agenzia di scommesse. Trentottenne, funzionaria della Regione Calabria, a Platì ci è nata, ma con il tempo si è trasferita più vicino alla città. In paese è rimasto il padre, ex sindaco arrestato, prosciolto e risarcito per le accuse di abuso d’ufficio e mafia che gli venivano contestate nel procedimento Marine.

LO STRAPPO MARINE Un’inchiesta che per tanti è stata l’inizio del divorzio del paese dallo Stato, al contempo invocato come una balia e temuto come un carceriere. «Quel giorno è stato brutto – dice Francesca Catanzariti, nipote dell’ex sindaco e deputato del Pci, Ciccio Catanzariti – non era ancora l’alba quando alcuni bambini hanno suonato alla porta per dire «hanno portato via papà, ci hanno ordinato di uscire di casa». Frasi – racconta Francesca – che quel giorno hanno ripetuto in tanti. Quella notte, oltre mille carabinieri circondano il paese per procedere all’arresto di 125 persone.

IL PAESE SOTTERANEO Nel corso di quell’operazione viene anche individuato un intricato sistema di tunnel e bunker sotterranei agganciati all’insufficiente sistema fognario che disegna quasi una città parallela. «La perizia fatta anche su quelle finte fognature – ha spiegato più volte Gratteri – ha dimostrato che, guarda caso, nello stesso periodo in cui è stata emessa la delibera per effettuare i lavori di ristrutturazione del vallone, sono stati posizionati quei tubi. A provarlo ci sono i risultati dell’analisi tecnica sul cemento disposta nel corso delle indagini. Con lo stesso impasto di cemento utilizzato per i lavori al vallone; è stato costruito l’allaccio al bunker di casa di un latitante». Ma a livello giudiziario, l’inchiesta si perde. Tra derubricazioni, prescrizioni e assoluzioni, alla fine le condanne sono solo 8. Per Platì è una ferita che con il tempo si trasforma in un comodo alibi. E parlare di ‘ndrangheta rimane tabù.

«IO LA ‘NDRANGHETA NON LA VEDO» A quell’inchiesta ne sono seguite altre. E ben più fortunate. Nelle contrade del paese in cui l’acqua manca e le fogne a volte pure, negli ultimi anni sono stati catturati tre latitanti di peso come Saverio Trimboli, Santo Gligora e Pasquale Barbaro (cl.77). I 14 carabinieri della stazione hanno il loro daffare nel controllare i tanti sorvegliati speciali che lì risiedono. Fra i duemila residenti, sentenze da tempo definitive, hanno attestato la presenza di sette clan. Ma nessuno a Platì parla di ‘ndrangheta. Ci sono – al massimo ammettono – «persone che hanno avuto un problema», «delinquenti abituali», ma – si affrettano tutti a specificare – «a me non hanno fatto niente». E a parlare così non è solo chi a Platì è nato e cresciuto. Padre Beppe, bresciano di nascita, colombiano d’adozione per aver passato oltre trent’anni fra la regione amazzonica e l’area di Cartagena, è arrivato in paese non più tardi di un anno e mezzo fa. Da allora – sostiene – «qui non ho trovato persone che possa definire ‘ndranghetiste, né qualcuno mi ha mai fatto costruzioni. La ‘ndrangheta di cui ho letto nei libri io qui non la vedo». C’è solo – afferma – «un paese che ha ricevuto un danno morale e psicologico da un’inchiesta assurda e vergognosa» e che «viene usato come capro espiatorio». Perché, da chi, padre Beppe non lo dice. Ma canta la canzone che tutto il paese ha trasformato in autoassolutoria litania.

LA STORIA CHE NESSUNO VUOL SENTIRE «La ‘ndrangheta è dove ci sono i soldi, è a Reggio, dove hanno ammazzato quasi mille persone, a Roma, dove c’è mafia capitale, a Milano». Ma proprio a Milano a dettare le logiche criminali sono i clan Barbaro Papalia, che fra Corsico e Buccinasco hanno stabilito il proprio feudo. Quella zona dell’hinterland milanese si conosce come Platì del nord. Ma anche questa definizione nel piccolo paese dell’Aspromonte non piace. «Lì tanti paesani sono saliti a lavorare». Ma ci sono anche clan – e lo dicono le sentenze – che hanno scritto di proprio pugno la storia della stagione dei sequestri e hanno fatto di quella fetta di territorio un grande hub di distribuzione della cocaina. Ci sono uomini di ‘ndrangheta – e lo dicono testimoni di giustizia riconosciuti – che hanno affermato a suon di bombe e attentati la propria supremazia nell’edilizia privata. Ci sono famiglie – e lo dicono i pentiti – che hanno convogliato nelle grandi speculazioni edilizie degli anni Ottanta i soldi dell’èlite della ‘ndrangheta provinciale. Ma queste sono storie che nessuno a Platì vuole sentire.

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UNA VOLTA C’ERA LA POLITICA «Nessuno nega che qui ci siano persone che hanno sbagliato, ma non saranno gli ottocento carabinieri mandati da Alfano a risolvere la questione. Qui ci vuole lavoro, ci vuole lo Stato», dice Saverio Catanzariti, 72 anni, di cui gran parte vissuti da militante del Pci. «Sono il fratello dell’onorevole Ciccio Catanzariti», dice con orgoglio, rammentando le orme di quel calabrese di provincia finito a Montecitorio «quando qui era come l’Emilia rossa». Solo Platì, vantava una sezione con quattrocento iscritti. Altre, altrettanto forti, erano disseminate nei paesi circostanti. Anche la Democrazia cristiana in paese schierava le truppe pesanti con il movimento La Spiga, che fra un rosario e un pacco di pasta, tentava di strappare ai rossi tesserati e voti. Poi sono arrivati gli anni Novanta, i partiti hanno smobilitato e con loro l’enorme apparato attorno a cui si era strutturata negli anni la vita in paese.

IL PAESE OGGI Quella che era la casa del popolo è oggi un rudere senza tetto né finestre, ma le tracce dell’abbandono sono evidenti in ogni dove. Basta alzare gli occhi per vedere lo scheletro incompleto e incompiuto di quella strada che avrebbe dovuto collegare la Jonica e la Tirrenica, Bovalino e Bagnara. Quattro anni fa i lavori si sono fermati e da allora i pilastri sono rimasti lì ad arrugginire, mentre sotto rimbomba la fiumara che quando si ingrossa allaga il paese e nel ’51 se lo è portato via per metà, insieme alla vita di diciotto persone. Senza una biblioteca, una sala studio, un cinema, una palestra, un campetto pubblico, una piazza, Platì consuma la sua vita sulla via principale, che altro non è che un budello male asfaltato su cui si affacciano tre circoli, uno Juventus club e un bar. In alcune contrade del paese non ci sono né acqua, né fogne. E su in alto, gli argini del fiume gonfiati dai detriti superano ormai i tetti delle case. «Qui serve il lavoro, qui serve una sinistra che si faccia c
arico di questa gente, che costruisca un’alternativa».

ex camera del lavoro

«ABBIAMO PAURA» Ma nessuno a Platì si vuole impegnare. Meno che mai a livello elettorale. «Il 40% della gente qui si chiama Barbaro, tutti abbiamo un parente, vicino o lontano, che ha avuto guai con la giustizia – dice Rocco Barbaro, quarantaduenne, operaio nell’azienda agricola di famiglia. «Io sono incensurato, ma se mi candidassi troverebbero il modo per sciogliere di nuovo l’amministrazione».

AVANZATA GRECA Circa un anno fa il Pd aveva provato a costruire qualcosa a Platì, anche per dar ragione a quel 70% bulgaro ramazzato alle regionali. «Avevamo iniziato un lavoro con alcuni compagni storici, ma il contesto è difficile, la gente ha paura, è diffidente – afferma Barbara Panetta, dirigente provinciale dei democrat – avevamo iniziato l’anno scorso, a giugno, quando era stata inaugurata quella che avrebbe dovuto essere la sede di un futuro circolo. Ma la campagna tesseramenti è bloccata in tutta la provincia di Reggio, quindi tessere vere e proprie non ne abbiamo mai fatte. Avevamo iniziato un percorso di discussione e avvicinamento». E poi?

E RITIRATA SPAGNOLA «Poi – dice – abbiamo deciso di rallentare perché non volevamo che il percorso elettorale contaminasse quello politico». Il futuro circolo è diventato un bar e il partito di fatto ha proseguito solo con blande discussioni. Eppure una candidata del Pd per Platì c’era. Si era proposta lei stessa, senza consultare i quadri locali del partito, sull’onda della generale indignazione per il naufragio delle amministrative del 2015, che hanno regalato al paese un altro anno di commissariamento. Per un anno, Anna Rita Leonardi ha creduto alla sua candidatura, ne ha parlato con convinzione anche a Roma, tanto da farsi lanciare direttamente dal palco della Leopolda. «Ci ha preso alla sprovvista, come lei stessa ha ammesso», ammette Panetta, «e forse non è stata la mossa più azzeccata per relazionarsi con un territorio così difficile. Qui vogliono il candidato di Platì».

L’IRA DI RENZI Originaria di Reggio, da tempo a Roma, alla Leonardi non è bastato affacciarsi di tanto in tanto in paese. «Il sindaco deve stare qua», dicono i paesani, seduti a godersi il sole di maggio sui muretti. E non nascondono l’aperta ostilità verso la «scolaretta di Renzi», «la forestiera», «la passerellista». «Era normale», dice quasi rassegnata Panetta. Ma a quanto pare, alla Leonardi – che a colpi di selfie e di post ha documentato ogni suo singolo passo a Platì – nessuno l’ha mai detto. «Se è stata fatta una riunione per bocciare la mia candidatura, io non sono stata invitata», dice dopo aver annunciato il ritiro, per mancanza di nomi da mettere in lista e di firme per sostenerla. Un pasticcio, per il quale ora Renzi ha presentato il conto.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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