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Bagnara, gli ex amministratori si potranno ricandidare

BAGNARA CALABRA Non sono amministratori encomiabili ma, volendo, possono essere tutti candidabili. È quanto ha stabilito il Tribunale di Reggio Calabria per l’ex sindaco di Bagnara Calabra Ces…

Pubblicato il: 16/05/2016 – 14:53
Bagnara, gli ex amministratori si potranno ricandidare

BAGNARA CALABRA Non sono amministratori encomiabili ma, volendo, possono essere tutti candidabili. È quanto ha stabilito il Tribunale di Reggio Calabria per l’ex sindaco di Bagnara Calabra Cesare Zappia e gli ex amministratori comunali Vincenzo Luppino e Vincenzo Bagnato difesi dall’avvocato Lorenzo Gatto, Giuseppe Surace, difeso da Stefano Priolo, Rocco Cambareri, difeso da Antonello Latella. «Si è in presenza – si legge in sentenza – di un’amministrazione comunale che in diverse occasioni si è discostata dai principi di buon andamento e imparzialità che dovrebbero governare l’agire amministrativo, ma in nessuna delle condotte esaminate, sicuramente censurabili sul piano amministrativo ed etico, si rinviene alcun collegamento diretto o indiretto con la criminalità organizzata né tanto meno forme di condizionamento, che abbiano determinato la deviazione dell’azione amministrativa dai binari del buon andamento. Ne discende che non sussistono nel caso sottoposto al vaglio di questo collegio quegli elementi concreti, univoci e rilevanti, idonei a una pronuncia di incandidabilità».

I SOSPETTI NON BASTANO Per i giudici non ci sono elementi certi che attestino «il potenziale collegamento o l’influenza dei sodalizi criminali verso gli amministratori comunali, con condizionamento delle loro scelte e ricaduta sul buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, sul regolare funzionamento dei servizi e sulle stesse condizioni di sicurezza pubblica». Se è vero che « emerge un quadro senz’altro di mala gestio della res publica, laddove sono state riscontrate una serie di irregolarità in vari settori, specialmente negli appalti», per il collegio non c’è «null’altro se non la volontà di favorire singoli soggetti legati agli amministratori spesso anche da rapporti di parentela». E nessuno dei favoriti con appalti, condoni o elargizioni è mai stato condannato o indagato per associazione mafiosa, fatta eccezione per Domenico Laurendi e Antonio Alvaro, poi assolti in primo grado nel processo Xenopolis.

UNA DEVASTANTE SENTENZA ASSOLUTORIA «L’assoluzione in primo grado dei soggetti citati – spiegano i giudici – ha fatto venir meno la principale contestazione mossa dal Ministero e su cui la relazione prefettizia aveva maggiormente fondato la tesi dell’infiltrazione mafiosa. Venuto meno il principale input della richiesta di incandidabilità, che come di sovente accade ha tratto spunto da un’indagine penale, nella specie denominata Xenopolis, le altre contestazioni non appaiono da sole sufficienti a suffragare la tesi del pericolo di infiltrazioni mafiose». Infatti, spiega il collegio « dalla ricostruzione operata dalla Commissione di accesso emerge soltanto un quadro di parentele, in vario modo favorite dall’amministrazione comunale (il consigliere Cambareri ha favorito lo zio; il Luppino ha favorito i propri genitori e lo zio) e che non presentano collegamenti con le cosche mafiose operanti sul territorio, rimanendo i vari soggetti imparentati con gli amministratori solo meri sospettati di essere vicini agli ambienti mafiosi e nulla di più».

PARENTI SÌ, MA… Anche sui titolari delle imprese – continua il collegio – formalmente non c’è nulla. Certo, Antonino Cambareri, titolare dell’omonima ditta, è «considerato un appartenente alla cosca Cambareri-Oliveri, ma in verità mai indagato né mai condannato per reati associativi», Maria Cristina Arfuso, titolare della Sear, è figlia Felice Arfuso, condannato per mafia, la titolare della Flores Eufemia è la moglie di Saverio Napoli, sospettato ma mai indagato né condannato per il reato associativo, e cognata di Francesco Morabito, ritenuto appartenente alla cosca Morabitoe Carmine Favano, fratello del titolare della Effeci costruzioni-, genero di Antonio Domenico Occhiuto, considerato dalla Commissione di accesso come il vero gestore della società, è considerato vicino ai clan. Ma – si giustifica il collegio – anche il Tar ha riconosciuto che il semplice rapporto di parentela non è sufficiente a configurare il pericolo di infiltrazioni mafiose. «Ciò che emerge, quindi, è solo una rete di parentele tra i titolari delle imprese e soggetti “sospettati” di essere vicini o di appartenere a cosche mafiose, che in alcun modo dimostra l’ingerenza mafiosa nella gestione delle imprese aggiudicatarie degli appalti comunali. Di conseguenza alcun collegamento nemmeno indiretto si ravvisa tra l’amministrazione comunale e l’ambiente mafioso».

FAVORITISMI AD PERSONAM Alle medesime conclusioni i giudici giungono nel caso delle ditte di Antonio Vincenzo Luppino e Antonia Forgone, favoriti sì dall’amministrazione comunale ma responsabili di reati non ricollegabili all’ambiente mafioso. «Invero – conclude il collegio – le irregolarità commesse per favorirli vanno ricondotte, più che ad un asserito collegamento con la criminalità organizzata, alla volontà di favorire i genitori di un Consigliere; trattasi dunque di favoritismi ad personam, slegati dal contesto mafioso e ricollegabili sic et simpliciter al rapporto di stretta parentela tra gli stessi ed uno dei consiglieri comunali».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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