REGGIO CALABRIA Che Paolo Romeo avesse messo gli occhi sulla Città metropolitana e sui finanziamenti che ne avrebbero accompagnato la creazione, non è mai stato un mistero per nessuno. Lui stesso non si è mai curato di nascondere il suo attivismo sul tema. Più volte, pubblicamente, si è presentato come alfiere della nuova creatura amministrativa destinata a cambiare il volto e il destino della città e della provincia. Quello che però Romeo si è lasciato scappare – e ai pm non è sfuggito – è forse il vero motivo che ha spinto l’avvocato a impegnarsi per la costituzione del nuovo ente.
LA CITTÀ STATO E I PROGETTI SEPARATISTI DELLE MAFIE La Città metropolitana – ha ripetuto Romeo più volte – è una città-stato che ha facoltà di relazionarsi con le sue pari in Italia e nel mondo, senza passare dalla Regione, o da Roma. Una teoria che ha un’eco – nitida – nella contestazione che l’allora procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato, muoveva allo stesso Romeo, nell’inchiesta Sistemi Criminali. In quell’indagine – poi archiviata per «necessari ulteriori approfondimenti investigativi» – l’avvocato risultava indagato come «figura centrale del panorama criminale calabrese» perché «l’anello di congiunzione tra la struttura mafiosa e la politica per la Calabria, nonché l’elemento di collegamento fra Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta reggina». E ‘ndrangheta e Cosa Nostra all’epoca avevano un progetto: dare alle mafie una nazione. Lo confermano anche pentiti come Filippo Barreca, che di Romeo dicono: «Era interessato a un progetto politico che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del Paese».
IL PIANO DELLA LOGGIA Un progetto che sembra rivivere nella teoria della città-stato metropolitana, cui Romeo alacremente puntava. Anche perché non si trattava di un progetto personale, ma di una strategia molto ben definita di una loggia segreta di cui Romeo, insieme al suo braccio destro Antonino Marra, era a capo. I due – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – rivestono «un ruolo dirigenziale all’interno di un’associazione segreta, svolto e pubblicamente riconosciuto ai due sodali, che ne fanno un affermato centro di potere sociale, grazie – come già detto – alla relazione privilegiata e funzionale degli stessi con la ‘ndrangheta (di cui la vicenda “Perla dello Stretto” costituisce Ia rappresentazione plastica più pregnante), e alla straordinaria rete relazionale dagli stessi sapientemente intessuta con Ia politica e la dirigenza amministrativa».
LE RADICI Un’associazione – riconosce il gip – in totale linea di continuità con quella superloggia fondata nel ’79 a Reggio Calabria, in occasione dell’arrivo a in città del terrorista nero Franco Freda, mentre una gemella – hanno raccontato i pentiti Lauro e Barreca – veniva fondata a Catania. E al riguardo, il giudice riconosce che «le chiarissime assonanze soggettive, teleologiche, metodologiche con la loggia massonica segreta – in cui si intrecciano e si fondono esponenti apicali della ‘ndrangheta e della classe dirigente cittadina – su cui avevano reso dichiarazioni i collaboratori di giustizia Lauro e Barreca, consentono di apprezzare lucidamente l’attuale permanenza di tale associazione segreta».
OBIETTIVO AUTONOMIA Un’associazione, o loggia che la si voglia chiamare, occulta ma dalle strategie manifeste. Romeo che la dirigeva e l’avvocato Marra che lo aiutava avevano un obiettivo: assumere il totale controllo del nuovo ente, forgiarlo secondo le proprie necessità e prospettive, governarlo secondo le necessità delle lobby che la loggia rappresenterebbe e dell’élite della ‘ndrangheta con cui sarebbe in contatto. Per questo l’avvocato Romeo non ha esitato a blandire, ricattare, e in ogni caso usare gli uomini che ha considerato utili allo scopo di costruire la Città metropolitana in modo compatibile alle proprie esigenze. Economiche, certo, ma soprattutto politiche. Perché al sogno di dare alle mafie una nazione, concertato in decine di riunioni fra la Calabria e la Sicilia fin dalla fine degli anni Ottanta, passato attraverso il boom delle leghe regionali e normalizzato nell’appoggio al “partito degli uomini”, i sistemi criminali non hanno mai rinunciato. Lo hanno solo modulato a seconda del periodo e della contingenza storica.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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