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Il paradiso ipnotico di Nekrošius

COSENZA Lo spettacolo è terminato da poco, che dal pubblico qualcuno esclama: «Lo vedrei altre due o tre volte». Perché? In cosa consiste la magia del “Paradiso” di Eimuntas Nekrošius, andato in sc…

Pubblicato il: 19/05/2016 – 13:16
Il paradiso ipnotico di Nekrošius

COSENZA Lo spettacolo è terminato da poco, che dal pubblico qualcuno esclama: «Lo vedrei altre due o tre volte». Perché? In cosa consiste la magia del “Paradiso” di Eimuntas Nekrošius, andato in scena al “Teatro auditorium unical” di Arcavacata con una prima regionale di martedì? Nella indubbia capacità portare lo spettatore a entrare in un rapporto talmente intimo con le proprie emozioni da sentirsi rapito e sconvolto.
Lo spettacolo del regista lituano – che con “Il Paradiso” chiude il ciclo dedicato a Dante e alla sua Divina Commedia (dopo uno spettacolo unico sull’Inferno e il Purgatorio) –, è un lavoro dedicato all’amore che, destrutturando nella sua forma originale l’opera dantesca, ne rispetta l’ordine degli eventi affrontando le tappe più significative. L’ultima cantica è così rappresentata: sul palco tre gruppi di funi uniscono e costituiscono la semplice scenografia; la fossa orchestrale ospita un pianoforte, un baule e una sedia sul cui schienale è adagiata una maglia. Dodici corte, sospese sulla fossa, creano un collegamento tra la platea e il palco. Strumenti musicali e una sedia “vivono” sul fondo della scena. Le voci angeliche di due donne rompono il silenzio all’apertura del sipario. Si accarezzano in maniera quasi compulsiva – e in un secondo momento vicendevolmente –, i capelli. È ipnotica la loro coreografia; poetico il loro canto. Nell’aspetto, seppur ornate con abiti d’uso comune, ricordano il Divino. Ed è a questo che Eimuntas Nekrošius ci invita: la rappresentazione del viaggio che conduce al Paradiso. Non c’è uno spazio riconoscibile: tutto sembra molto visionario e rarefatto. Lavoro difficile da comprendere in un’unica e chiara chiave di lettura, lo stesso regista afferma: «Il Paradiso è la vera fatica, il compito più arduo. È un riflesso della perfezione, e la strada per la perfezione è tutt’altro che dritta». In questo viaggo terreste verso il Paradiso, il gruppo di otto attori percorre il viaggio d’amore di Dante (Rolandas Kazlas) e Beatrice (Ieva Triskauskaité). Un uomo, il più anziano del gruppo, entra in scena sorreggendo sulle proprie spalle un enorme tavolo. Aiutato dal gruppo, lo posiziona nella fossa orchestrale e prende posto. Se gli altri attori rievocano degli angeli, a lui sembra essere affidato il ricordo di Virgilio: colui che guida (e controlla) le azioni altrui.
Per affrontare il viaggio ultraterreno, le figure angeliche non possono che spogliarsi degli oggetti a loro più cari: monete, collane, soldi, perfino fumo di sigarette, acqua in un calice e un pendolo, a cui è stato smontanto l’ingranaggio, perché in questo luogo puro non possa esserci un tempo, ma tutto resti “sospeso”; tutti questi oggetti sono avvolti nella carta e custoditi nel grande baule. Sono 29 i minuti che separano l’inizio dello spettacolo dalla prima parola pronunciata in scena (in lituano con i sovratitoli in italiano). È Dante. Al suo ingresso in scena, il registro cambia: le luci si abbassano e cambiano colore; uno degli attori prende posto al pianoforte sistemato all’interno della fossa orchestrale, sulla sinistra del palco. Lì il poeta, inizia il suo viaggio sotto il rumore dell’acqua. Simbolicamente si spoglia. Tanto, molto è affidato all’immaginazione in questo lavoro. Si sposta nello scarno spazio scenico, studiandolo. Ma il suono di un campanello e un blocco di legno con la scritta “Museo”, impone a Dante il limiti del contatto con gli oggetti.
Otto figure plastiche si incrociano nel suo viaggio (Audronis Rūkas, Marija Petravičiūtė, Milda Noreikaitė, Julija Šatkauskaitė, Pijus Ganusauskas, Šarūnas Zenkevičius, Simonas Dovidauskas, Vygandas Vadeiša). Un uomo, con libro in mano, recita passi di alcuni canti (26, 21, 9, 7, 24, 28). La corsa del poeta è seguita dalle voci dei suoi compagni di viaggio che riescono a bloccarlo dopo vari tentativi. È il momento di Beatrice di parlare che, sulle note di “Wish you were here” suonate dal vivo con la chitarra elettrica, sbatte i pugni ai piedi delle corde su cui, poco prima, le altre donne avevano collocato alcune collane colorate. Nel viaggio verso il Paradiso di Nekrošius, l’amore tra i due interpreti è palpabile, diretto, commovente; vive nella spada che Dante sostiene e Beatrice accoglie nel proprio fodero. Il gruppo di attori si inginocchia davanti al “Virgilio” che li disseta. È un canto gorgogliante quello che esce dalle proprie gole.
Nell’epilogo della cantica, Beatrice si rivolge a Dante: «Ché non pur ne’ miei occhi è paradiso»; guarda oltre il pubblico e la scena: «Il paradiso c’è». Scende nella fossa orchestrale, nascosta tra le funi che sorreggono le collane colorate. Dante è spinto dalle figure angeliche a seguirla. Dopo il buio in sala, il lungo applauso del pubblico saluta la compagnia “Meno Fortas”, e la poesia del loro Paradiso porta lo spettatore a desidera di rivederlo ancora.

Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it

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