I siti contaminati rappresentano un notevole fattore di rischio per la salute umana, un rischio da cui la Calabria non è certo immune. Detta così potrebbe sembrare un’ovvietà – magari ad uso dei “comitatini” di ambientalisti non sempre graditi a chi governa la cosa pubblica – invece non lo è affatto se si guarda ai dati forniti dal rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità intitolato “Studio epidemiologico dei siti contaminati della Calabria”. Curato da Pietro Comba e Massimiliano Pitimada (dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria), il dossier rappresenta una tappa del percorso di collaborazione fra l’Iss e la Regione Calabria. Gli strumenti adoperati hanno fatto riferimento al “Progetto Sentieri” (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), che ha reso disponibile una metodologia accreditata a livello europeo per la sorveglianza dello stato di salute delle popolazioni che risiedono nei siti contaminati, e alle attività svolte dall’Arpacal come il “Progetto Miapi” finalizzato al Monitoraggio e all’individuazione delle aree potenzialmente inquinate.
Il dossier individua il Sito di Interesse Nazionale (Sin) di Crotone-Cerchiara-Cassano e 18 siti definiti ad alto rischio: 7 nella provincia di Cosenza (Cariati, Cassano allo Ionio, Firmo, Laino Borgo, Lungro, Scalea e Tortora), 2 nella provincia di Catanzaro (Davoli e Lamezia Terme), 8 nella provincia di Reggio Calabria (Bovalino, Cosoleto, Palmi, Scilla, due siti a Reggio, Polistena, Melicucco), e 1 nella provincia di Vibo Valentia (Zambrone).
Oltre a questi, nel rapporto sono citate anche le zone di potenziale rilevanza ambientale e sanitaria alla luce delle denunce fatte da associazioni presenti sul territorio (il caso di Rosarno e di Triparni, frazione di Vibo), o dei documenti desecretati del Sisde in cui vengono menzionati Comuni dove sarebbero stati occultati rifiuti tossico-radioattivi, o di documenti derivati da fonti giudiziarie.
IL PIANO DELLE BONIFICHE La Calabria è attualmente dotata di un Piano delle Bonifiche redatto sulla base dell’indagine conoscitiva condotta nel 1999. Da quell’indagine è emersa «l’immagine di un territorio fortemente deturpato dall’elevato numero di discariche e zone di abbandono di rifiuti presenti nella regione». Nei 409 comuni calabresi sono stati censiti 696 siti di discarica potenzialmente contaminati da rifiuti, dei quali 354 attivati con autorizzazione e i restanti 342 in assenza di autorizzazione. Secondo la classificazione del rischio relativo, i siti potenzialmente contaminati sono stati così suddivisi: 73 siti a rischio marginale, 262 a rischio basso, 261 a rischio medio e 40 ad alto rischio. «Molti dei siti di discarica sono localizzati a ridosso di versanti o ai margini degli alvei fluviali e in genere sono sprovvisti dei più elementari requisiti di idoneità quali la recinzione, impermeabilizzazione del sottofondo, impianto di canalizzazione delle acque piovane, raccolta del percolato». Nel tempo, su alcuni dei siti rientranti nell’elenco sono stati effettuati interventi di risanamento ambientale, a cura dei Comuni, attraverso l’utilizzo di diverse fonti finanziarie programmate dalla Regione. I dati raccolti dall’Arpacal evidenziano che i siti sottoposti a bonifica, con aggiornamento al mese di aprile 2015, sono 112. Di questi, 28 sono in fase di caratterizzazione, 36 non necessitano di interventi di risanamento, 48 devono essere sottoposti a operazioni di bonifica e/o messa in sicurezza permanente.
ROSARNO E TRIPARNI I casi riguardanti la città della Piana e la frazione di Vibo sono stati oggetto di studio dell’Arpacal. A Rosarno, dopo che l’associazione di volontariato “Marisa Lavorato” ha denunciato «un’altissima incidenza di malattie terminali» in particolare nel quartiere “Fera”, i tecnici dell’Arpcal di Reggio hanno effettuato sopralluoghi, campionamenti di particolato aerodisperso e rilievi fotografici per verificare lo stato di conservazione delle coperture di lastre in eternit degli immobili. «Dalle analisi relative ai campionamenti di particolato aerodisperso, si è rilevato – si legge nel dossier – che per tutti e quattro i campioni non sono state riscontrate fibre di amianto mentre lo stato di conservazione delle lastre, di diversi fabbricati e manufatti, è risultato insufficiente».
A Triparni, invece, lo studio dell’Arpacal è tuttora in corso. L’Agenzia regionale per la protezione ambientale si è mossa dopo alcune segnalazioni effettuate dall’ex presidente della circoscrizione, Nicola Florio, che ha denunciato un «aumento esponenziale» di patologie neoplastiche. «A seguito di questa segnalazione, si potrebbe valutare – scrivono i tecnici dell’Iss – l’ipotesi di effettuare uno studio epidemiologico analitico di coorte residenziale, adottando procedure assimilabili a quelle utilizzate dall’Istituto Superiore di Sanità nello studio della frazione Gabbia di Pace del Mela e in un quartiere di Ferrara. Preliminarmente alle valutazioni di fattibilità dello studio, andrebbero acquisite le informazioni disponibili sulla contaminazione ambientale ed, eventualmente, eseguiti gli approfondimenti necessari sul fronte dei monitoraggi ambientali».
CROTONE-CASSANO-CERCHIARA Il Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara (solo gli ultimi due Comuni, che ricadono nel Cosentino, confinano tra di loro) è stato individuato come “Sito di bonifica di Interesse Nazionale”. Il territorio del Sin comprende: tre aree industriali dismesse a Crotone (ex Pertusola, ex Fosfotec ed ex Agricoltura); le discariche, sempre a Crotone, in località Tufolo e Farina; la fascia costiera prospiciente la zona industriale di Crotoneì, compresa tra la foce del fiume Esaro e quella del fiume Passovecchio; due aree di smaltimento abusivo di rifiuti industriali (località torrente Sciarapatolo e Massaria Chidichimo) a Cassano allo Ionio. «Le principali aree private con le rispettive criticità ambientali sono: ex Agricoltura, che ospitava impianti chimici e in cui la contaminazione dei suoli e delle acque di falda è dovuta ad ammoniaca, fosforite, cloruro di potassio, pirite, additivi; ex Fosfotec srl, con contaminazione di tipo chimico di suoli e acque di falda causata dalla presenza di fosforite, quarzite, fosforo e acido fosforico; il polo metallurgico ex Pertusola, primo impianto nazionale nella metallurgia dello zinco in cui risultano contaminati i suoli e le acque di falda; l’area industriale (di proprietà di diverse imprese private) in cui la contaminazione deriva dalle attività degli stabilimenti ex Pertusola Sud e vede la presenza di metalli pesanti (zinco, cadmio, rame, arsenico). Le aree pubbliche del sito sono comprese nei territori dei comuni di Crotone, Cassano allo Jonio e di Cerchiara Calabra. Negli ultimi due la contaminazione deriva dalla presenza di siti di smaltimento abusivo di rifiuti industriali (ferriti di zinco provenienti dalle attività dello Stabilimento ex Pertusola Sud). La contaminazione prodotta interessa principalmente il suolo e le acque di falda, che risultano essere inquinate da zinco, piombo, rame, arsenico, cadmio, ferro, composti clorurati, mercurio, idrocarburi, benzene, nitrati e composti cancerogeni dovuta allo smaltimento abusivo di rifiuti industriali. La discarica sita in località Tufolo copre una superficie di 7 ha e si trova a circa 4 km a sud di Crotone. Ha iniziato la sua attività nel 1975. Il volume complessivo dei rifiuti abbancati è pari a 990.000 m3 . La tipologia dei rifiuti è la seguente: speciali, rifiuti solidi urbani, fanghi di depurazione civile, rifiuti alluvionali (alluvione del 1996). Si sospetta la presenza di rifiuti sanitari e pericolosi». Dai risultati delle attività di caratterizzazione dell’area ex Pertusola si evidenzia come in alcuni casi le sostanze pericolose, in particolare alcuni metalli, superano di migliaia di volte i limiti normativi previsti dalla legge.
«A fronte di questo quadro, si osservano nel Comune di Crotone – si legge nel dossier – significativi e
ccessi di mortalità e ospedalizzazione per numerose patologie tumorali e non tumorali, per alcune delle quali è accertato, o sospetto, un ruolo eziologico dei contaminati presenti nel sito». Per quanto riguarda Cassano e Cerchiara, invece, «non si rilevano eccessi di mortalità e ricoveri per patologia oncologica con l’eccezione della mortalità per tumore maligno del colon-retto nella popolazione maschile, difficilmente riconducibile a specifiche esposizioni ambientali o professionali. Alla luce dell’individuazione in queste aree di metalli pesanti tra i quali il cadmio, si ritiene opportuna una sorveglianza epidemiologica delle patologie renali secondo la procedura messa a punto dall’Istituto Superiore di Sanità».
LAMEZIA E DAVOLI nel Catanzarese i siti ad alto rischio ambientale sono in località “Vasì” nel comune di Davoli, nel Soveratese, e in località “Bagni” a Lamezia Terme. In quest’ultima città è stata rilevata un’incidenza di 532 casi di tumore (escluso cute) in due anni, ma l’analisi preliminare non ha fatto emergere «valori d’incidenza che si discostano dalla media», tranne un eccesso nel genere maschile di tumori della prostata e di leucemia mieloide cronica. La mortalità non si discosta dalla media regionale. A Davoli, invece, l’incidenza è di 83 casi di tumore (escluso cute) in 5 anni, in linea con la media regionale tranne che per un eccesso di leucemia mieloide nei maschi. Si registrano eccessi di mortalità per tumori dell’apparato linfo-ematopoietico in entrambi i generi.
Conclusioni: «Tra le patologie di “interesse eziologico a priori” possiamo osservare, diversi eccessi, non sempre coerenti, nei due siti studiati. Gli eccessi di tumori maligni del tessuto linfatico ed ematopoietico evidenziati nei due siti, in entrambi i generi, nei ricoveri, nella mortalità e nell’incidenza potrebbero essere suggestivi di una componente eziologica attribuibile ad inquinamento ambientale e richiedere di conseguenza un approfondimento delle indagini nel territorio attenzionato per cercare una eventuale conferma dell’ipotesi eziologica».
LE SERRE A seguito della desecretazione parlamentare che ha portato alla luce il “Dossier 588/3” del Sisde è emersa l’ipotesi di un presunto traffico internazionale di scorie tossico-radioattive. Tali documenti citano i Comuni di Fabrizia, Mongiana e Serra San Bruno e zone (tra cui un’area in cui è presente l’invaso dell’Alaco) «ricadenti in questo Sistema Paesaggistico del vibonese dove sarebbero stati interrati fusti radioattivi». Nei tre paesi citati è stata studiata la mortalità nei periodi 1980-2002, 2003-2012 e 1980-2012. «Nell’intero periodo in studio, e sull’insieme della popolazione dei tre comuni, si osserva nell’area in esame in eccesso significativo, rispetto alla popolazione della Regione Calabria, per tutte le cause di morte e per tutti i tumori. Per la patologia oncologica, l’unico eccesso statisticamente significativo riguarda il tumore gastrico». Nell’area in esame appare dunque «ben documentata una sovra mortalità, rispetto alla Regione Calabria alla quale concorrono in modo particolare i tumori totali (e specialmente quelli gastrici), le cardiopatie, il diabete e alcune patologie neurodegenerative, respiratorie e digerenti. Si tratta di malattie ad eziologia multifattoriale che non coincidono, in linea di massima, con quelle per le quali è ipotizzabile un ruolo eziologico della residenza in prossimità di siti di smaltimento di rifiuti pericolosi».
LA VALLE DELL’OLIVA Il fiume Oliva attraversa 9 Comuni: Aiello Calabro, Amantea, Cleto, Domanico, Grimaldi, Lago, Malito, San Pietro in Amantea e Serra d’Aiello. «La contaminazione della Valle dell’Oliva è dovuta principalmente all’interramento illegale, in un’area che interessa i Comuni di Amantea, San Pietro di Amantea e Serra d’Aiello, di rifiuti pericolosi in località Foresta. Altri siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi sono stati successivamente individuati in un ambito territoriale più ampio lungo il corso del fiume Oliva. La vicenda è stata oggetto di numerose indagini in ambito giudiziario, ma non si dispone di una complessiva caratterizzazione del sito effettuata secondo i criteri e le procedure illustrate nel presente Rapporto». In sostanza è stata rilevata, in un’area lungo il corso dell’Oliva in corrispondenza del confine fra i tre comuni in esame, la presenza, nel sottosuolo, di rifiuti industriali contenenti composti organo alogenati quali diossine e policlorobifenili, diversi metalli pesanti e radionuclidi artificiali fra i quali il Cesio 137. L’area in esame non è stata ancora bonificata. «Un primo studio epidemiologico relativo all’area in esame, effettuato in ambito giudiziario dal Dr Giacomino Brancati, Consulente Tecnico d’Ufficio della Procura della Repubblica di Paola, con riferimento agli anni 1992-2001, ha mostrato – si legge nel dossier – eccessi di mortalità per alcuni tumori maligni e malattie cardiovascolari, nonché un eccesso di ricoveri ospedalieri per tumori della tiroide (patologia a bassa letalità che non può essere indagata con l’analisi di mortalità)». Nel periodo successivo (2003-2012) è stato confermato, a grandi linee, il quadro della mortalità già emerso dallo studio Brancati. Ed è emersa una situazione particolarmente critica a Serra d’Aiello.
«Fra le malattie neoplastiche si osserva un eccesso significativo di tumori esofagei. Eccessi significativi si osservano inoltre per il Morbo di Parkinson, l’epilessia, l’infarto miocardico acuto e i disturbi circolatori dell’encefalo. Il significativo eccesso di cancro dell’esofago si osserva anche nel Comune di Amantea. Ad Amantea si osservano inoltre eccessi significativi di mortalità per T. dell’utero, epilessia e disturbi circolatori, in particolare infarto miocardico acuto e disturbi circolatori dell’encefalo. Diverso, e più sfavorevole, il quadro dei dati relativi a Serra d’Aiello. I decessi totali sono circa il doppio di quelli attesi. Si osserva un significativo eccesso di tumori del colon-retto. Altri eccessi significativi riguardano diabete mellito, Morbo di Parkinson, epilessia, malattie del sistema circolatorio, malattie ischemiche del cuore, in particolare infarto miocardico acuto, disturbi circolatori dell’encefalo, malattie dell’apparato respiratorio, malattie polmonari croniche, malattie dell’apparato digerente, insufficienza renale acuta e cronica e sintomi, segni e stati morbosi maldefiniti».
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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