REGGIO CALABRIA Dopo la derubricazione del reato e il dimezzamento della condanna in Appello, strappa anche gli arresti domiciliari Martino Fotia, il 45enne di Cardeto accusato di aver sparato al termine di una lite contro il compaesano Paolo Vadalà, miracolosamente sfuggito ai proiettili, grazie a una folle corsa tra le vie del paese. Su istanza dell’avvocato Nardo, legale di Fotia, il quarantacinquenne ha ottenuto di scontare ai domiciliari quel che resta della condanna, fissata dalla Corte d’Appello in tre anni, esattamente la metà di quanto disposto dal gup in primo grado. I giudici hanno sposato la tesi della difesa, secondo cui Fotia non avrebbe mai avuto intenzione di uccidere Vadalà, ma solo di spaventarlo, sparando in aria. Una ricostruzione diversa da quella dell’accusa, cui si sono opposti sia il Procuratore generale d’udienza che la difesa di parte civile, ma che sembra aver convinto i giudici.
A ricostruire in dettaglio la vicenda prima di fronte ai carabinieri della stazione di Cardeto, quindi davanti al pm Rosario Ferracane che ha coordinato l’inchiesta, è stato lo stesso Vadalà, che quarantotto ore dopo lo scontro con Fotia, si presenta in piena notte per sporgere denuncia. Terrorizzato, l’uomo spiega ai militari che la sera del 28 marzo c’era stata una brutta lite con Fotia, rapidamente degenerata in rissa, ma sedata nel giro di poco, grazie all’intervento di alcune persone. Improvvisamente però – mette a verbale Vadalà – «Fotia Martino ha messo la mano sulla cintola, ha tirato fuori una pistola (di un colore più chiaro rispetto al nero, con un manico marrone credo in legno e con la punta della canna rotonda e non squadrata), ha “scarrellato” (avendo fatto il militare mi sento di dire che si tratta di una pistola semi-automatica) e, tenendola ferma con due mani all’altezza dello stomaco, ha sparato – da una distanza di non più di 4-5 metri – un primo colpo contro di me ad altezza d’uomo; io, prima che sparasse, ho avuto la prontezza di riflessi di allontanare da me prima Domenico e poi Sebastiano Fotia; il colpo non mi ha preso ed è passato vicinissimo a me e in particolare alla mia sinistra (io stavo proprio di fronte al Fotia Martino), rischiando di colpire anche uno dei suoi zii. Dopo il primo colpo ho capito che mi voleva realmente ammazzare e allora per salvarmi la vita ho incominciato a correre (anche a zig zag) in direzione di piazza Felice Romeo». Ma la fuga non avrebbe fermato l’aggressore che «aveva iniziato ad inseguirmi e continuava a spararmi contro altri colpi di pistola (in totale, oltre al primo colpo che ho appena descritto, me ne ha sparati contro almeno altri 5-6); io correvo come un pazzo e appena sono arrivato in piazza Felice Romeo poco prima di prendere la discesa di via Fontana Vecchia ho visto con la coda dell’occhio un’ogiva (che non so se fosse direzionale o di rimbalzo) passava alla mia sinistra all’altezza del polpaccio».
Dopo essere sfuggito a Fotia, Vadalà si sarebbe nascosto per due giorni nel bosco per paura di ritorsioni: «Ho camminato per ore verso le campagne della parte alta del paese di Cardeto, cercando di nascondermi in quanto avevo paura che se fossi tornato in paese Fotia Martino avrebbe potuto tentare di ammazzarmi nuovamente. Inizialmente avevo pensato di nascondermi per 48 ore e poi di tornare in paese». Un racconto confermato dal rinvenimento di alcuni frammenti di ogiva nel punto indicato da Vadalà come luogo dell’aggressione. Nessuna conferma arriverà invece dai testimoni oculari di quella sera, come Giovanni Fotia che o si avvarranno della facoltà di non rispondere o – annotava il pm nell’ordinanza di custodia cautelare – rilasceranno «dichiarazioni palesemente false e reticenti, cadendo peraltro spesso in contraddizione, oltre a riferire circostanza inverosimili e che si pongono in stridente contraddizione con quanto indicato» dalla vittima.
a. c.
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