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COMUNALI 2016 | Platì al voto

PLATI’ È un paese di fantasmi quello che puntuale, più di altri, si è presentato oggi al voto a Platì. Nel piccolo centro aspromontano conosciuto come capitale dei sequestri, regno di broker e oper…

Pubblicato il: 05/06/2016 – 18:58
COMUNALI 2016 | Platì al voto

PLATI’ È un paese di fantasmi quello che puntuale, più di altri, si è presentato oggi al voto a Platì. Nel piccolo centro aspromontano conosciuto come capitale dei sequestri, regno di broker e operai del narcotraffico, culla di ‘ndrine storiche, fin dalle prime ore della mattinata in tanti si sono presentati alle urne. A mezzogiorno i dati ufficiali parlavano del 10%, alle 19 del 34%, ma sono numeri bugiardi.
A pesare sulle liste degli aventi diritto ci sono 1397 residenti all’estero, cui vanno aggiunti i 376 di Cirella e l’incalcolabile numero di platiesi andati a cercar fortuna altrove. Il saldo demografico non cambia, perché quella dei figli è probabilmente l’unica fabbrica attiva. Ma Platì è un paese di fantasmi. 
Fantasmi sono gli emigrati – in Argentina, Stati Uniti, Canada, Francia – che affollano le liste ma a votare non si presenteranno mai, fantasma è lo Stato, evocato alternativamente come madre che deve dare speranza, futuro e progetti e come matrigna dal volto e dai modi repressivi, fantasmi sono i partiti, assenti nelle liste comunali ma presenti in massa in paese quando in ballo c’è un posto in Regione o in Parlamento, fantasma è è la ‘ndrangheta. Che c’è, ma a Platì non se ne parla.
«La vera mafia – dicono- è a Roma, a Milano, dove ci sono i soldi». A Platì non ce ne sono, o non si vedono. Quelli dei platiesi arrestati per i carichi di droga che attraversano gli oceani, sono investiti altrove. Non c’è neanche acqua potabile nelle contrade più antiche, non ci sono fogne, non ci sono palestre, cinema o centri d’aggregazione, non ci sono strade asfaltate, nè case rifinite. E non c’è un sindaco. Nonostante per decenni Platì sia stata una delle roccaforti rosse della Locride, con una sezione del Pci da 400 iscritti e una Camera del lavoro ancor più affollata, e il paese nel ’72 sia stato in grado persino di esprimere un deputato – il rosso Ciccio Catanzariti – nel tempo si è dovuto adeguare a una sorta di democrazia sospesa.
Escluse brevi parentesi, da dieci anni a governare sono i commissari prefettizi. «Qui non ci possiamo candidare, perché nel giro di due mesi ci arrestano» ripetono come una preghiera abusata i vecchi in coda ai seggi e i giovani – schivi – che bivaccano di fonte alla scuola De Amicis che ospita le urne. Qualcuno però lo ha fatto. Si tratta di Ilaria Mittiga, che con la sua “Platì res pubblica” sembra anche cercare di riscattare la storia del padre Francesco, sindaco missino sciolto per mafia, in passato arrestato, quindi prosciolto e risarcito, nell’operazione Marine. «Non ho nessun imbarazzo a parlare di mio padre e della sua esperienza politica – ringhia Mittiga – -anche il Comune è stato sciolto senza alcun elemento». Eppure quel provvedimento ha passato il vaglio di Tar e Consiglio di Stato. «Se, come dice la commissione antimafia, chi ha parentele o frequentazioni con personaggi condannati o indagati non si può candidare – tuona Rosario Sergi di “Liberi di ricominciare”-  si istituisca nuovamente la legge Pica, si abbattano tutti i delinquenti fino alla terza generazione e si trasformi la centrale di Saline in un forno crematorio, così risolviamo il problema. Se per Platì non c’è speranza ce lo dicano». Attorno a lui, supporter e rappresentanti di lista annuiscono. «Questo non è il paese della ‘ndrangheta -continua Sergi – questo è un paese che oggi è tornato alla democrazia». 
A dispetto dei dati ufficiali che fanno sprofondare Platì in fondo alla classifica nazionale per numero di votanti, in tantissimi si sono recati alle urne. Anziane in nero, ragazzi al primo appuntamento con le urne, giovani donne con il pancione, uomini che si fermano a chiacchierare e fumare di fronte alla scuola. Fatta eccezione, per chi – arrabbiato con i partiti che hanno abbandonato il paese- dichiara orgoglioso la propria astensione «perché non voglio contribuire a un nuovo scioglimento per mafia», sembra che tutta Platì sia andata a votare. C’è chi esplicitamente dichiara la propria preferenza per l’uno o l’altro candidato – la stessa Mittiga ammette come molti dei suoi sostenitori siano i simpatizzanti Pd del paese – chi si trincera dietro la segretezza del voto. 
Ma il dato chiaro è che Platì ha votato contro. Contro chi la definisce il paese della ‘ndrangheta. Contro Roma e la sua commissione antimafia «che parla tanto ma a Platì non è venuta mai», contro lo Stato «che qua si fa vedere per fare gli arresti, ma lavoro non ne porta mai». Contro la ‘ndrangheta no. Perché – dicono – «la ‘ndrangheta qui non c’è, la ‘ndrangheta che è? Qui al massimo ci sono persone che hanno avuto intoppi, problemi».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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