REGGIO CALABRIA Non vuole essere chiamato avvocato. Da anni – dice – ha appeso la toga al chiodo per ritirarsi a Vulcano, dove conduce una vita da agricoltore. Ma l’avvocato contadino Antonio Marra, considerato il vero e proprio braccio destro di Paolo Romeo, non ce la fa a convincere né il gip Santoro, né il pm Musolino che lo interrogano. Anche perché, per quanto giuri e spergiuri di essere lontano ed estraneo tanto ai personaggi, come ai contorni della vicenda che lo ha portato in carcere con l’accusa di essere elemento di vertice di una loggia segreta che lavora in tandem con la ‘ndrangheta, è costretto ad ammettere contatti, frequentazioni, mediazioni. Per ore però, Marra tenta di dare un’altra immagine di sé.
L’AVVOCATO AGRICOLTORE «Non vorrei più essere chiamato avvocato – esordisce – Perché me ne ero andato a Vulcano e perché con Reggio Calabria io non avevo più niente a che fare da anni. Avevo cambiato vita completamente». E per questo dice, «più che un imputato in questo processo mi sentivo, mi sento da quello che ho letto, una persona informata sui fatti più che uno che poteva essere imputato in questa cosa». Lui, sostiene, non c’era. Stava alle Eolie, si divideva fra il piccolo orto e la barca, dava sì, una mano alla gente del posto per pratiche banali – una concessione, un’autorizzazione – ma di fare l’avvocato non ne voleva più sapere. A Reggio, gli rimanevano da gestire giusto un paio di processi e – sostiene – in città tornava solo per quello.
IL TURISTA Ma l’avvocato le carte le ha lette bene. Sa che le cimici – e il gip subito glielo ricorda – più e più volte hanno registrato la sua voce e la sua presenza. Quindi ammette di aver frequentato il circolo Posidonia, ma solo – afferma – perché «è vicino a casa mia, non ho più rapporti con nessuno perché non ci vengo più, quindi l’unico posto dove andare dove c’è gente che conosco, e anche bene voglio dire, non così di vista, era lì. Quindi andavo lì, chiacchieravo». E le chiacchiere – è costretto a rivelare – riguardavano accordi, progetti e programmi finiti al centro delle indagini della Dda. «Perché è ovvio che andando in quel posto si parlava delle cose… e mi raccontavano le cose che hanno fatto, che stavano facendo, che stavano organizzando. Dopodiché io me ne andavo». Ma lui con quegli affari – afferma – non aveva nulla a che fare. «Tra il fatto che io sapessi alcune dinamiche o alcune cose che succedevano, il fatto che io ci avessi partecipato personalmente poi alla realizzazione di quelle… ce ne vuole. Perché me ne andavo, non per altro. Perché se uno fa parte di un’associazione di questo tipo non può vivere a Vulcano e venire una volta al mese o se rinviano a due mesi dopo due mesi per le udienze. Cioè dovrebbe avere un rapporto continuo. Io invece non ce l’avevo più».
EXIT STRATEGY La Dda però ha un’altra idea. E il giudice concorda. Per i pm, Marra, presente come difensore in due procedimenti che in parallelo hanno segnato una svolta nel contrasto giudiziario alla ‘ndrangheta a Reggio Calabria, sapeva perfettamente che piega stessero prendendo le indagini. Le integrazioni investigative progressivamente depositate nel processo Meta avevano iniziato a fargli seriamente temere che le sue attività, i suoi rapporti e le sue frequentazioni – in particolare con Paolo Romeo – potessero finire nel mirino della magistratura. Il rinvenimento di diverse cimici nella sede del circolo Posidonia non aveva fatto altro che fornirgli una conferma. Per questo, sostengono i magistrati della Dda reggina, ha progressivamente diradato la sua presenza a Reggio e al circolo. Peccato però che le sue pur sporadiche visite gli abbiano permesso non solo di essere a conoscenza dei progetti della loggia – inclusi quelli più riservati e delicati, come la scalata alla città metropolitana – ma anche di ricoprire un ruolo importante nella mediazione che finirà per portare alla Perla dello Stretto il supermercato dell’imprenditore di ‘ndrangheta Giuseppe Chirico. Un po’ troppo per un “turista”, gli ricorda il gip. E Marra esplode.
LA RABBIA DELL’AVVOCATO «Scappavo, scappavo dicendo a tutti che ero a Vulcano? Scappavo a Vulcano? Io non so quanto avete speso per arrestarmi, una cosa allucinante due volte in quattro giorni. E che motivo c’era? Mi conoscete tutti, sapevate che se mi chiamavate di venire in Procura sarei venuto di corsa e mi notificavate l’ordinanza di custodia cautelare in Procura, perché mi conoscete tutti, io scappavo? E dove andavo?». Marra è arrabbiato, indignato. Si lascia scappare parole pericolose. «Io ritengo che a questo punto della mia carriera che un magistrato che abbia il potere di libertà sull’individuo dovrebbe fare un tirocinio prima, di essere arrestato di notte. Per scherzo. Essere portato in un carcere di notte ed essere in una cella con degli sconosciuti di notte, per capire a che cosa si va incontro e che cosa significa per una persona perbene entrare in una cella dove ci sono sconosciuti imputati».
IN CELLA Offeso, rinfaccia al pm di essere finito in cella con il figlio di un ergastolano al 41bis. «E io che ci facevo con loro in una stanza di 4 metri quadrati? Che ci dovevo fare, di che… mi hanno macinato la testa con i loro processi, appena hanno scoperto che io ero avvocato è successo un casino nel carcere». Poi forse capisce di aver esagerato. E cerca di ricucire. Di spiegare. Afferma di essere arrabbiato con il pm Giuseppe Lombardo perché «mi prendeva pure in giro che sono abbronzato, come a Vulcano, e che faccio, e che mi mangio… cioè abbiamo sempre su questo argomento nelle pause del processo intrattenuto… lui sapeva benissimo tutto questo, che io non volevo più sapere niente di Reggio, che me ne ero andato a Vulcano e che facevo l’avvocato agricoltore, questo era il termine». E nel corso di tutto l’interrogatorio ci tiene – sempre – a precisare di «stimare la magistratura». Anzi, più di una volta – quasi con noncuranza – lascia intendere di conoscere da lungo tempo anche le famiglie dei pm che indagano su di lui.
ALLUSIONI VELENOSE «Del dottor Lombardo io ho sempre parlato milioni di volte, perché nei suoi confronti ho una stima fuori di misura. Noi abbiamo fatto un processo a Meta, perché ci siamo conosciuti là, uno seduto da una parte e uno dall’altra, una sola volta c’è stato uno screzio tra me il dottore Lombardo o una parola in più? Io stimo quella persona in virtù del ricordo che ho di suo padre, il procuratore Lombardo, con il quale io ho iniziato la mia professione e la ritengo una persona eccezionale». Ma se sul pm Lombardo l’allusione è velata e neutra, con Musolino ci va giù pesante, prima di essere obbligato a chiarirsi dal pm presente all’interrogatorio. «Io non sono un’eminenza grigia – esplode Marra – Minchia se io ero un’eminenza grigia, dottore Musolino! Voi lo sapete, perché noi abbiamo parlato qualche volta. Io l’eminenza grigia? E che ho fatto? Io una volta vi ho rammentato una cosa, quanto volevo bene…». Il legale si ferma, ma il pm non cade nella trappola. Ha capito dove vuole andare a parare e lo anticipa. «Sta parlando di mio padre?», dice rapido. Marra lo incalza, ma il suo tentativo di lasciar intravedere contatti o legami è naufragato. «Sì – risponde – E quanto gli volevo bene e lo rispettavo tantissimo, un avvocato eccezionale. Potevo avere rapporti con vostro padre se io ero uno fatto a male? Ma state scherzando? State scherzando?».
STRATEGIE Marra sostiene di aver lasciato la toga, ma non ha dimenticato le arguzie da legale. Sa di aver esagerato, quindi corregge il tiro. «Non sono arrabbiato, sono dispiaciuto», rettifica. E sa che non può semplicemente negare. Troppi elementi lo legano alla vicenda che gli viene contestata come al suo principale protagonista, Paolo Romeo. Sebbene per lui non sia che un vecchio amico, «ma non storico», conosciuto dai tempi della
goliardia universitaria, e frequentato eminentemente per la comune passione per la pesca, sa che gli inquirenti non si possono accontentare di letture al ribasso di un rapporto intimo e duraturo nel tempo. Per questo prova a dare loro qualcosa in pasto, stando sempre ben attento a chiamarsi fuori dalla vicenda. «Se voi trovate una volta che io abbia parlato con il presidente Raffa, che io abbia parlato con chiunque della Regione, che io sia andato con l’avvocato Romeo da qualcuno di questi per perorare le cause del Circolo Posidonia, buttate la chiave della mia cella».
ESCHE «Io» – afferma Marra – «non mi sono mai interessato di queste cose, mai. Io ho avuto il ruolo organizzativo per due o tre manifestazioni, la gara di pesca e due Feste del mare, poi loro sono andati per la loro strada». Traduzione, se mai sono arrivati illeciti finanziamenti al circolo, l’avvocato, a suo dire, non ne sa nulla. Ma anche gli inquirenti – lascia intendere – devono scavare di più. Perché «ci sono una serie di associazioni fatte dall’avvocato, ne troverete altre al circolo quando guarderete le carte, tipo Val Gallico, tipo Borgo Cecilia e così via. Ci sono io? Ho partecipato a qualcosa di quello? Hanno fatto tutto questo casino…». Quindi qualcosa di strano nella gestione del circolo Posidonia c’è e c’è stata, ci sono state manovre non proprio trasparenti e associazioni usate come cartiere per dragare finanziamenti. O almeno questo è quello che Marra lascia intendere. Lui però ribadisce, giura e spergiura, non c’entra niente. Ammissioni che lasciano sostanzialmente indifferenti gli inquirenti, che tanto avevano in mano prima di eseguire il fermo e tanto di più – soprattutto sulla galassia di associazioni partorita dall’avvocato Romeo – hanno ottenuto all’esito delle perquisizioni. E allora Marra rilancia. E affronta il tema della Città metropolitana.
LA CITTÀ METROPOLITANA La cosa interessava eccome all’avvocato Romeo. Allo scopo, era stata anche creata un’associazione, il Forum Reggio Nord 2020 (ndr. nella trascrizione erroneamente denominata “eventi eventi”) che al circolo più di una volta aveva organizzato convegni ed eventi. «Io non ho partecipato al convegno perché io non ero interessato, io non faccio parte più di Reggio, non m’interessa la città metropolitana, non m’interessa niente. Ma – dice a gip e pm – se mi chiedete perché ve lo dico, lo so che cos’era che ha fatto scattare questo Reggio eventi eventi nord. «L’avvocato mi raccontava era una distribuzione di somme che sono stanziate per la città metropolitana, dove nella bozza della suddivisione di queste somme… la cosa che mi ricordo è che ci sono previsti 2.700.000,00 euro per la (inc.). Il verde. Dice che c’entra far crescere la città? Cioè questi erano più o meno gli argomenti, ma io non ho mai partecipato».
L’AUTOARRINGA DEL LEGALE Marra ci tiene a sottolineare la sua estraneità. Fin dall’inizio dell’interrogatorio ha tentato di tenere un basso profilo, ma soprattutto di marcare le distanze – anche geografiche – da Paolo Romeo e gli altri. «A me della città metropolitana che m’interessa? Ve la sbrigate chi rimane a Reggio. Io vivo a Vulcano, in 5 chilometri quadrati, nel mio orto a casa a fare una pratica di concessione demaniale piuttosto che una pratica di un lido, piuttosto che un processo per costruzione abusiva a Lipari, perché se è a Barcellona non ci vado. Questa è la mia vita, da povero, senza soldi». Proprio il denaro, o meglio la sua mancanza, sarebbe a suo dire la prova regina nel collocarlo al di fuori della loggia, dei suoi progetti e delle sue strategie.
‘NDRANGHETA ONLUS «Cioè – dice Marra – io partecipo a tutte queste cose di milioni di euro senza prendere un centesimo. Rimproveratemi che sono un coglione, che sono bisticciato con i soldi, e io vi dico sì. Rimproveratemi il mio comportamento di disponibilità. Avete ragione – continua l’avvocato – sono stato sempre disponibile». La sua è una lunga autoarringa difensiva in cui non dimentica di citare né il maresciallo di Lipari, né un parroco che lo avrebbe lodato per il suo «fare del bene». In chiusura si infervora, «Se voi mi rimproverate dei comportamenti io ci sto a tutti gli effetti, perché sono così. Mai nessuno si interessa di un affare milionario senza prendere soldi. O la ‘ndrangheta è diventata una società onlus come il circolo? Con i debiti». Ma il gip non ci casca. E all’avvocato risponde con toni duri.
LOGGIA SEGRETA Il contesto al centro dell’indagine – dice serio il gip – è «assolutamente più ampio e complessivo rispetto a quello che ha focalizzato con l’ultima espressione, la ‘ndrangheta onlus e quindi la ‘ndrangheta non fa soldi. Il contesto che viene descritto, signor Marra, è un contesto che è molto più ampio, okay? In cui, dicendo prendo spunto dall’ultima sua osservazione, e dico questo: in questo contesto più ampio diciamo si va, come posso dire, oltre quello che è il dato del mero ritorno economico». Il contesto è puramente massonico e puzza di mediazione fra la ‘ndrangheta e lo Stato, fra le ‘ndrine e gli apparati. A darlo a intendere – e in modo chiaro – è il pm Stefano Musolino, che interviene con una serie di domande molto puntuali, che svelano come l’indagine che ha portato dietro le sbarre Paolo Romeo e i suoi sodali sia molto più ampia di quanto le carte allo stato rivelino.
INFORMAZIONI, LATITANTI E SERVIZI Il pm chiede a Marra se abbia mai avuto rapporti con i servizi segreti o le forze dell’ordine e di che tipo, se abbia mai mediato rapporti tra apparati di intelligence e la ‘ndrangheta, se nell’ambito di tali “transazioni” sia mai stata definita la cattura di latitanti o l’arresto di uomini di ‘ndrangheta. Marra rimane per un attimo interdetto. Prova a rilanciare tirando fuori contatti epidermici avuti con un agente dei servizi oltre vent’anni prima, per un’imbarazzante storia di lenzuola fra un militare e la fidanzata ufficiale di un killer. Ma il pm si riferisce a contatti molto più recenti e concreti. Marra si chiude a riccio. «Non ho idea neanche di chi sono i latitanti», dice. Allo stesso modo nega qualsiasi appartenenza massonica.
NON SONO UN MASSONE Quando era un giovane avvocato, racconta, un collega anziano gli ha proposto di partecipare a una “riunione di professionisti”. Ma a me – sostiene di avergli risposto – «a me non interessa questa cosa, io non so neanche che è, lasciatemi in pace, non voglio fare niente». E le cose, negli anni, a suo dire, non sarebbero cambiate. «Da quel giorno in poi a oggi non solo io non so, non ho mai fatto parte di nessuna loggia massonica, non ho mai letto un libro, non so che vuol dire, non so come funziona, è un argomento come la ‘ndrangheta, che non mi è mai interessato. Conosco le dinamiche della ‘ndrangheta per averla appresa in Tribunale, ma è una cosa alla quale io non sarei potuto mai appartenere perché io non posso avere ruoli, voglio dire come penso che sia nella massoneria di qualcuno che viene e dice tu fai… quando io m’immaginavo già una cosa di queste impazzivo».
TUTTA COLPA DI LO GIUDICE Tutti i suoi guai – afferma – si dovrebbero alle allusioni del pentito Lo Giudice, che già nel verbale illustrativo lo avrebbe indicato come «personaggio della massoneria ‘ndranghetista, amico di Pasquale Condello». Un’affermazione falsa, sostiene, sfidando pm e gip a citare anche un solo simbolo o libro massonico trovato nelle sue case nel corso delle perquisizioni. Come fuorviante sarebbe il quadro costruito per tenerlo in carcere. Per questo è lui stesso a chiedere la propria scarcerazione o in subordine i domiciliari a Vulcano, sfidando il pm a fornire immediatamente il proprio parere. Ma il gip impone ordine, traccia confini, tiene lontane le possibili confusioni. La decisione – impone – arriverà nei tempi e per le vie stabilite. E a distanza di qualche giorno, per Marra è stato confermato il carcere.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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