TARANTO Operava «in contatto con altre consorterie», attive a Taranto (come il clan D’Oronzo-De Vitis) e in Calabria (clan Bonavota e Paviglianiti) la presunta associazione mafiosa che fu capeggiata dal boss Giuseppe Cesario, detto Pelè (morto nel marzo 2014), sgominata oggi dalla guardia di finanza sotto il coordinamento della Dda di Lecce. Dopo il decesso del capoclan la gestione degli affari illeciti sarebbe passata poi nelle mani dei suoi luogotenenti.
Le Fiamme Gialle hanno eseguito, su disposizione del gip di Lecce Michele Toriello, 38 ordinanze di custodia cautelare: 30 in carcere e otto ai domiciliari. I reati sarebbero stati commessi dal novembre del 2012 con permanenza fino all’esecuzione delle misure cautelari. La presunta organizzazione, secondo l’accusa, era dedita al traffico di sostanze stupefacenti, all’usura, alle estorsioni, al porto e alla detenzione di armi, al contrabbando di sigarette, «non disdegnando – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – il ricorso a condotte violente e minacciose al fine di realizzare profitti e vantaggi ingiusti ed allo scopo di acquisire il controllo diretto o indiretto di attività economiche, e la gestione di appalti e servizi pubblici, nonché procedendo al sistematico reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche lecite, la cui titolarità giuridica appariva talora ricondotta a compiacenti prestanome».
Di associazione mafiosa rispondono 29 indagati oltre al defunto boss Giuseppe Cesario. L’aggravante è contestata al 45enne Cosimo Bello (a cui era attribuito, nel gergo mafioso, il grado di “santa o santista”), al 47enne Carlo Mastrochicco, al 61enne Cosimo Morrone, al 51enne Egidio Guarino, al 32enne Alberto Marangione (per aver fatto parte di un’associazione armata), al 38enne Gianni e al 41enne Luciano Bello (questi ultimi due per aver commesso i reati nel periodi di applicazione della sorveglianza speciale).
x
x