TORINO Dal “locale” di San Luca (Reggio Calabria), che è il più importante di tutti tanto da essere soprannominato “la mamma”, alle “province” sparse per l’Italia e in varie parti del mondo, dal nord della Germania all’Australia. A Torino la sentenza del processo San Michele propone una geografia della ‘ndrangheta imperniata sulle dichiarazioni di un pentito, Francesco Oliverio, considerato come la figura che ha «consentito di delineare con maggiore precisione rispetto ad altri collaboratori» le «linee costitutive dell’ordinamento ‘ndranghetistico». Il processo, terminato lo scorso 11 dicembre con undici condanne, si riferisce all’attività della propaggine torinese della cosca Greco di San Mauro Marchesato (Crotone). Nelle motivazioni, il giudice Maria Francesca Abenavoli si richiama alle parole di Oliverio, secondo cui «la ‘ndrangheta è una struttura verticistica» dove la “provincia” di maggior rilievo è quella di Reggio Calabria. Le strutture chiamate “province” o “crimini”, autorizzate dove ci sono 15 “locali”, sono presenti in Lombardia, Liguria, Piemonte.
LA JUVE GRATIS Boss della ‘ndrangheta che volano dalla Calabria a Torino per guardare gratis, allo stadio, la partita della Juventus. Anche questo episodio compare nelle quasi cinquecento pagine della sentenza San Michele, il processo sulla presenza nel capoluogo piemontese delle ‘ndrine crotonesi terminato lo scorso dicembre con 11 condanne. A raccontarlo è stato un pentito, Domenico B., che il giudice Maria Francesca Abenavoli ritiene «di grande interesse» per chiarire la posizione di una delle figure principali dell’inchiesta, Mario Audia. La partita in questione è Juventus-Arsenal del 5 aprile 2006. In quell’occasione un gruppo arrivato in volo dalla Calabria si presentò in un bar gestito da Giacomo Lo Surdo, capo del gruppo “Arditi” (che ha patteggiato la pena per un episodio emerso a margine dell’inchiesta San Michele). «Fummo accolti – è il racconto – da un ragazzo che ci consegnò i biglietti in una busta. Non pagammo. E preciso che il ragazzo si vantava di poter disporre ogni settimana di biglietti per l’ingresso allo stadio e di somme di denaro che percepiva dai giocatori della Juve». Audia organizzò il viaggio ma, nonostante la fede bianconera, non vide la partita con i compagni. La Juventus e i suoi calciatori non sono mai stati interessati a nessun titolo dagli accertamenti degli investigatori.
I LAVORI DEL TAV C’è, poi, un passaggio riservato agli appalti. Un gruppo di personaggi legati alla ’ndrangheta «intendeva acquisire profitti tramite l’inserimento nelle attività connesse ai lavori per il Tav» appoggiandosi a una cava in Valle di Susa. Al centro della vicenda, che risale al 2011, c’era una cava, con annesso impianto di produzione di bitume, fra i paesi di Chiusa San Michele e Sant’Ambrogio. Il gruppo «mirava a utilizzarla come deposito di rifiuti speciali per le ditte amiche che avrebbero lavorato per la Tav, nonché come luogo di frantumazione dei rifiuti già presenti sul posto, o comunque acquisiti, da reimpiegare (senza controllo o bonifica oltre che in assenza di autorizzazione) nei lavori della Tav». Per questo vennero fatte, con successo, «pressioni schiaccianti ed esplicite» sui titolari dell’impianto per evitare che sfrattassero l’affittuario, Giovanni Toro (imputato in un altro filone del processo), un imprenditore che è risultato in contatto con Gregorio Sisca, accusato di associazione mafiosa e condannato a cinque anni di reclusione. Secondo gli inquirenti i tentativi di infiltrazione della ‘ndrangheta negli appalti per il cantiere della Tav a Chiomonte non sono riusciti.
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