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Tribunale dei minori, un anno e mezzo sotto assedio

REGGIO CALABRIA Vestiti ordinari, volto coperto da un cappello con la visiera, di foggia militare, un uomo si avvicina rapido all’ingresso del Tribunale dei minori. Sta sempre attento a non mostrar…

Pubblicato il: 16/06/2016 – 19:04
Tribunale dei minori, un anno e mezzo sotto assedio

REGGIO CALABRIA Vestiti ordinari, volto coperto da un cappello con la visiera, di foggia militare, un uomo si avvicina rapido all’ingresso del Tribunale dei minori. Sta sempre attento a non mostrare il viso, ma con calma attraversa la strada fino alla sbarra del passo carrabile. È notte, ma ci sono diverse auto che passano. E diversi automobilisti che vedono quell’uomo con un’arma in mano, mostrarla all’unica telecamera per poi lasciarla all’ingresso del palazzo. È la notte fra il 30 aprile e il primo maggio, ma questa non è che una delle intimidazioni arrivate all’indirizzo del Tribunale dei minori di Reggio Calabria. Motivo? Il nuovo corso del Tribunale dei minori, che a tutela dei minori nati in famiglie di ‘ndrangheta, in più di un caso ne ha disposto l’allontanamento.

UN ANNO E MEZZO DI MINACCE Un peccato mortale in una terra in cui i figli sono la promessa di perpetuazione di un casato mafioso, quando mere braccia per nuovi affari e nuove guerre. Ecco perché da circa un anno e mezzo, il Tribunale è destinatario di ogni genere di minacce e intimidazioni. «Una delle prime è arrivata a ridosso dell’Epifania. Il sette gennaio abbiamo trovato affisso un cartello con disegnata una befana e in calce un articolo del codice civile e un messaggio: “Questo articolo non hai applicato e la befana il carbone ti ha portato”. Il carbone lo stiamo ancora aspettando, in compenso le minacce non sono mancate», dice con ironia amara il procuratore Giuseppina Latella. Insieme al presidente del Tribunale Roberto Di Bella e ai – pochi – colleghi condivide quello che ormai è diventato un assedio quasi quotidiano. Ma sconosciuto.

SILENZIO «Non solo i magistrati della distrettuale e degli altri uffici non conoscono le minacce e le intimidazioni che abbiamo ricevuto, ma non conoscono neanche il nuovo approccio adottato dal Tribunale dei minorenni», dice Latella ai magistrati che la Giunta della locale sezione dell’Anm, presieduta da Roberto Di Palma, ha voluto riunire per affrontare il problema. Un appuntamento – afferma Di Palma – voluto non solo per esprimere vicinanza e solidarietà, ma anche per comprendere bene cosa sia successo e che tipo di provvedimenti il Tribunale per i minorenni stia adottando. Una sinergia fondamentale a Reggio Calabria, dove già da bambini si studia da ‘ndranghetisti. Un fenomeno ben noto, radicato, ma contro il quale non si combatte con strumenti nuovi.

RAGAZZI ROTTI «Noi ci stiamo limitando ad applicare le norme previste a tutela del minore, calandole in un contesto delinquenziale associato. Se riscontriamo che un genitore non assolve agli obblighi che ogni norma nazionale e internazionale prevede, la procura procede con provvedimenti diversi, ma sempre a tutela del ragazzo». Come altri, forse più di altri – spiega – sono vittime di maltrattamento. E non solo per l’angoscia permanente provocata da padri, fratelli e parenti assenti per carcerazioni o latitanze, o per le continue perquisizioni e arresti, o ancora per il clima di perenne paura e tensione. Fin da molto piccoli, i minori di ‘ndrangheta vengono coinvolti nelle attività delinquenziali dei parenti. C’è chi impara a sparare alla stessa età in cui altri giocano le guerre finte dei videogame, chi viene coinvolto nel confezionamento delle dosi di droga, chi porta messaggi e imbasciate, chi non ha mai visto il proprio padre se non dietro le sbarre o nella foto del cimitero, dove questa o quella faida lo ha spedito. Esperienze dalle conseguenze psicologiche devastanti, che solo un allontanamento dal contesto in cui si generano può sanare.

INTERVENTI «Fondamentalmente» – spiega il presidente Roberto Di Bella – «ci muoviamo su due direttrici: i ragazzi che iniziano a commettere reati e riusciamo a intercettare solo con i procedimenti penali, perché dalle scuole non sono mai arrivate segnalazioni, e i figli di collaboratori e testimoni di giustizia». Figli dello stesso mondo, ma con problematiche ed esigenze diverse. Per chi ha già intrapreso il percorso del crimine, al di là della condanna, la strada è spesso quella dell’allontanamento dal contesto d’origine. «Vengono indirizzati – continua Di Bella – o in case famiglia o in realtà familiari. Quest’ultima è sicuramente la soluzione che preferiamo, perché i ragazzi hanno la prova concreta di come si possa vivere in maniera diversa, di come la normalità sia rispettare la legge». Il problema è che non sempre è semplice.

QUESTIONE DI SOLDI Per mantenere i ragazzi in comunità o in famiglia servono soldi. E non ci sono. Il budget è risicato a fronte di un lavoro potenzialmente immenso e che non si limita ai ragazzi di ‘ndrangheta. Ci sono i minori non accompagnati che sbarcano dopo traversate traumatiche, quelli che affollano le statistiche dell’abbandono scolastico, le vittime di abusi, maltrattamenti, povertà. Un esercito che i magistrati del Tribunale dei minori affrontano con ranghi ridotti e scorte al lumicino. «Per questo capita anche che alcuni dei provvedimenti non si possano eseguire – afferma la Latella –. C’è un ragazzo, che a breve perderemo perché è quasi maggiorenne, che avremmo voluto mandare in una struttura, ma nessuna lo ha accettato. Non avevamo il budget». Altri invece riescono a scrivere una storia diversa da quella che la loro famiglia aveva previsto per loro.

ALTERNATIVE «C’è un gentiluomo di Palmi, ospite del 41 bis, che regolarmente mi scrive per accusarmi di avergli smembrato la famiglia – spiega Di Bella –. La figlia è al nord, la madre dopo aver scontato la sua pena si è rivolta a noi e a breve raggiungerà la figlia, il figlio maschio è in carcere, ma ha già detto che del padre non ne vuole più sapere. Scrive benissimo e grazie a Libera forse riusciremo anche a fargli frequentare la storia di giornalismo di Bologna, c’è anche una famiglia pronta a ospitarlo». Progetti di vita alternativi quasi impensabili per chi è cresciuto in una realtà di violenza e sopraffazione, resi possibili dall’adozione di quello che a Reggio Calabria è divenuto un metodo. Forse il più efficace contro la ‘ndrangheta, ma sempre piegato alla dittatura del budget.

UNA LEGGE RIVOLUZIONARIA Per questo, proprio dalla città calabrese dello Stretto è arrivata sui tavoli di governo una proposta di legge, “Liberi di scegliere”. Né Di Bella, né la Latella intendono dare dettagli al riguardo. La partita è troppo delicata e qualsiasi anticipazione potrebbe compromettere il buon esito dell’iniziativa. Si limitano a dire che «potrebbe essere la soluzione». Nel frattempo, si continua a lavorare. E la cappa di isolamento – e forse abbandono – che ha isolato il Tribunale dei minori, inizia a ridursi. Alla luce delle recenti minacce, il prefetto ha disposto l’installazione di quaranta telecamere ad alta risoluzione, che facciano compagnia all’unica esistente, come di un metal detector e di uno scanner. Una manifestazione, circa una settimana fa, si è stretta attorno ai magistrati vittime di intimidazioni. L’Anm ha scelto di convocare la sua assemblea. La città inizia a conoscere l’attività dell’Ufficio. Certo, la strada è ancora lunga. Ma nella struttura di via Marsala che ospita il Tribunale e la Procura dei minori – forse – ci si inizia a sentire meno soli.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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