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Delitto Taranto, chiesti 30 anni di carcere per Mignolo

COSENZA «Trent’anni di carcere per Domenico Mignolo». È la richiesta di condanna formulata dalla Procura di Cosenza per il giovane accusato dell’omicidio di Antonio Taranto, il 26enne ucciso il 29 …

Pubblicato il: 20/06/2016 – 11:21
Delitto Taranto, chiesti 30 anni di carcere per Mignolo

COSENZA «Trent’anni di carcere per Domenico Mignolo». È la richiesta di condanna formulata dalla Procura di Cosenza per il giovane accusato dell’omicidio di Antonio Taranto, il 26enne ucciso il 29 marzo 2015 a via Popilia e giudicato con il rito abbreviato condizionato.
Il pm Donatella Donato (che rappresenta la pubblica accusa assieme al collega Antonio Bruno Tridico) ha chiesto la condanna anche per tre presunti favoreggiatori di Mignolo. Si tratta di Riccardo Altomare e Leonardo Bevilacqua (per entrambi ha chiesto un anno e quattro mesi) e per la sua compagna Mirella Occhiuzzi (la richiesta è di 10 mesi e 20 giorni). Anche per loro è stata accolta la richiesta di rito abbreviato condizionato. Nel corso dell’udienza preliminare l’avvocato Andrea Sarro (che difende Mignolo assieme al collega Filippo Cinnante) ha argomentato la sua arringa basandosi sulla consulenza balistica (firmata dai periti Sandro e Gianluca Lopez). Il gup Alfredo Cosenza ha rinviato l’udienza al prossimo 18 luglio quando si svolgeranno le arringhe degli avvocati Cinnante e Rossana Cribari, difensore di Bevilacqua.
Mignolo, ritenuto dagli inquirenti appartenente al clan Rango-Zingari, è già detenuto in regime di 41 bis per altri reati, tra cui l’associazione mafiosa perché coinvolto in inchieste della Dda che riguardano la cosca bruzia.
Secondo le indagini – coordinate sin dal primo momento dai pm Tridico e Donato sotto la direzione dell’ex procuratore capo Dario Granieri e dell’aggiunto Marisa Manzini – Taranto sarebbe stato attinto da un colpo di revolver calibro 38/357 magnum che Mignolo avrebbe esploso dal balcone della propria abitazione. Dalla complessa attività di indagine – corroborata da intercettazioni ambientali e telefoniche, dalle testimonianze di amici e familiari di Mignolo e Taranto e dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia – è emerso che Mignolo fosse particolarmente adirato per non aver ricevuto «lo stipendio» dal proprio clan nel periodo in cui era stato detenuto.

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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