TORINO La Direzione distrettuale antimafia del Piemonte ha chiuso l’inchiesta “Big Bang” sulla presenza della ‘ndrangheta a Torino. Gli indagati sono ventiquattro, per una cinquantina di capi d’accusa. Il pubblico ministero Paolo Toso procede contro quella che la Cassazione, nel corso delle indagini preliminari, ha definito una «articolazione autonoma» della ‘ndrangheta nel capoluogo piemontese: non si tratta di una vera e propria “locale”, ma di un gruppo dotato di una propria capacità di azione, con caratteristiche che in ambienti investigativi hanno definito «spiccatamente urbane».
Le figure principali sono i fratelli Aldo e Cosimo Crea, entrambi originari di Locri, che gli inquirenti ritengono affiliati alla ‘ndrangheta almeno dal 2003. La banda, smantellata a gennaio con una serie di arresti, si dedicava alla gestione del gioco d’azzardo ma anche all’usura e alle estorsioni, scegliendo come bersagli piccoli commercianti, artigiani e persone ai margini della legalità.
La ricostruzione dei singoli episodi è stata complicata dall’atteggiamento omertoso delle vittime: alcune (ma non tutte) si sono convinte a raccontare l’accaduto solo quando gli investigatori hanno presentato filmati e intercettazioni.
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