Il referendum che ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è stato un terremoto che ha scosso e rischia di scuotere ancora per molto tempo le fondamenta dell’Europa.
Fare delle previsioni sugli effetti è ancora prematuro, anche perché, come in tutti i fenomeni che coinvolgono agenti economici, gli effetti dipenderanno molto dalle loro decisioni collettive future.
Tuttavia è possibile definire con ragionevole certezza alcuni aspetti su cui gran parte degli analisti concordano.
Il maggior rischio di effetti negativi ricade sul mercato interno inglese. la Gran Bretagna fuori dalla Ue rischierà seriamente una lunga fase recessiva e una perdita di competitività a livello internazionale. Molto dipenderà dai termini dell’accordo di uscita dall’Ue che però certamente non potrà essere concordato né da posizioni di forza, né in termini convenienti per la Gran Bretagna. Anzi c’è da aspettarsi una mano particolarmente dura dell’Ue proprio per scongiurare il rischio che altri paesi seguano l’esempio della Gran Bretagna. «Out is out» è stato il monito che Junker ha lanciato alla Gran Bretagna e non era certamente un semplice monito, ma l’indicazione di una linea politica.
Anche dal punto di vista politico, la Brexit rischia di essere problematica per la Gran Bretagna, perché questa uscita darà nuovo vigore alle secessioniste di Scozia e Irlanda del Nord, che in un quadro europeo avevano perso molto del loro significato, ma che con una Gran Bretagna fuori dall’Ue rischiano di tornare attuali. Basti pensare alla necessità di ripristinare un confine fra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord.
Il rischio per Ue è essenzialmente legato al potenziale effetto domino che potrebbe portare alcuni paesi più euroscettici a essere tentati dal seguire l’esempio inglese. Ma molto dipenderà anche dagli effetti che l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue causerà sul loro mercato interno, per cui è ragionevole ipotizzare che tutti preferiranno aspettare qualche anno prima di imbarcarsi in avventure potenzialmente pericolose.
Paradossalmente l’Unione europea potrebbe ritrovare maggiore unità dopo l’uscita della Gran Bretagna che di fatto era il campione degli euroscettici all’interno dell’Ue. La scelta di non entrare nell’euro era già stato un segno chiaro dell’atteggiamento di Londra nei confronti dell’Europa e la Brexit non sarà più drammatica di quella mancata adesione. Uscito di scena il paese di maggior peso degli euroscettici, sarà molto più difficile per gli altri condizionare le scelte dell’Ue e ciò potrebbe portare ad accelerare delle riforme per dare una maggiore coesione all’Ue.
Sintetizzando l’Ue rischia più dal punto di vista politico, la Gran Bretagna più dal punto di vista economico.
L’impatto sull’Italia dell’uscita sarà limitato e ancor di più sulla Calabria, che a causa della debolezza del suo sistema produttivo ha limitatissimi scambi con l’estero. Le conseguenze sulla Calabria saranno indirette e legate alle conseguenze più complessive che la Brexit avrà sull’Italia.
La considerazione finale che va fatta riguarda la sostanziale miopia che hanno dimostrato gli elettori inglesi che hanno con grande incoscienza con il voto ipotecato una parte del loro futuro e del futuro dei loro figli. È stata la parte meno acculturata e meno giovane della popolazione a decretare la Brexit che si potrà tradurre in un peggioramento sostanziale delle condizioni di vita per i prossimi 15-20 anni.
Assecondare la pancia del paese è una tentazione che i leader populisti hanno, anche perché le loro idee solitamente riescono ad attecchire solo fra chi è sprovvisto di cultura. Ma assecondare la pancia del Paese può essere tremendamente pericoloso dal punto di vista dell’economia. Non dimentichiamo che anche in Italia il partito del No euro è forte e in referendum potrebbe anche sfiorare la vittoria. Il problema e il rischio del populismo non è, quindi, solo un problema degli inglesi, ma di tutte le democrazie occidentali. C’è da sperare che la lezione che verrà dalla Brexit con tutti gli effetti negativi che causerà all’interno del loro paese diventi un monito per le generazioni future a non seguire il populismo, perché il populismo non paga.
*Docente di Politica economica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria
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