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Bocciati (di nuovo) i depuratori calabresi






In Italia il 40% delle acque che non viene trattato è riversato nei fiumi, quindi in mare. È la fotografia della depurazione nel nostro Paese scattata dal rapporto Mare Monstrum 2016 di Legambie…

Pubblicato il: 27/06/2016 – 13:57
Bocciati (di nuovo) i depuratori calabresi






In Italia il 40% delle acque che non viene trattato è riversato nei fiumi, quindi in mare. È la fotografia della depurazione nel nostro Paese scattata dal rapporto Mare Monstrum 2016 di Legambiente. A conferma del deficit depurativo denunciato da Legambiente, ci sono le due condanne delle procedure d’infrazione 2004/2034 e 2009/2034. La prima è relativa agli agglomerati maggiori di 10mila abitanti equivalenti che scaricano in aree «sensibili», la cui violazione da parte di 110 agglomerati è stata accertata con la sentenza 19 luglio 2012 della Corte di Giustizia. La seconda è relativa alla non attuazione della direttiva 91/271/Cee per 41 agglomerati con più di 2mila abitanti equivalenti. La sentenza è stata emessa il 10 aprile 2014. L’Italia ha subìto anche una terza procedura d’infrazione, avviata all’inizio del 2014, relativa agli agglomerati con carico generato superiore a 2mila a.e. Procedimenti che riguardano un agglomerato su tre. Le Regioni maggiormente interessate sono la Campania, con l’81% degli agglomerati condannati o interessati in procedure d’infrazione, la Sicilia, con il 73% e la Calabria con il 62%. Se guardiamo però anche al numero assoluto di agglomerati coinvolti, insieme alla Sicilia, con 244 agglomerati, e alla Calabria con 148, nei primi posti c’è anche la Lombardia con 127 agglomerati, seguita dalla Campania (122). In queste sole quattro regioni è concentrato oltre il 60% degli agglomerati fuori norma. La condanna del 2012 riguarda dunque Sicilia in primis, con 62 agglomerati, seguita dalla Calabria (18), Campania (10), Liguria (9), Puglia (6), Friuli Venezia Giulia (2), Lazio (1) e Abruzzo (1). L’ultimo aggiornamento sulla situazione arriva dall’ottavo rapporto sull’attuazione della Direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, pubblicato dalla Commissione Europea nel marzo del 2016. I controlli di conformità per gli agglomerati con più di 2mila abitanti equivalenti riportano il 94% degli agglomerati conformi all’articolo 3 della direttiva (reti fognarie e sistemi individuali o altri sistemi adeguati). Poco più della metà (64%) conformi all’articolo 4 (trattamento secondario o biologico). La situazione peggiore è quella relativa agli impianti che scaricano in aree sensibili come laghi, mare e bacini fluviali: gli agglomerati conformi sono solo il 33%. Il nostro Paese sconta un ritardo di almeno 10 anni e dovrà pagare, a partire da quest’anno, ben 480 milioni l’anno di sanzioni. Inoltre, sino a quando le opere di messa in conformità non saranno terminate, dovremo pagare quasi 800mila euro al giorno.
A gennaio del 2016 è scaduto il termine ultimo per adeguarsi ai contenuti della sentenza di condanna emessa nel luglio 2012 per le carenze infrastrutturali dei sistemi di raccolta e trattamento degli scarichi fognari in 88 agglomerati urbani con più di 15mila abitanti. Sono le regioni a dover pagare le sanzioni e il governo italiano ha già annunciato di volersi avvalere del potere di rivalsa secondo il quale potrà bloccare i fondo destinati a comuni e regioni. Per avere un’idea, si va dai 185 milioni per la Sicilia, ai 5 per Valle d’Aosta e Veneto. Eppure negli ultimi anni sono stati stanziati oltre 3 miliardi di euro. In particolare, la delibera Cipe n.60 del 30 aprile 2012 aveva destinato alle regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) la somma complessiva di euro 1.643.099.690,59 a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, per interventi che attengono ai settori di collettamento e depurazione delle acque. Fondi che però ancora oggi non sono stati utilizzati o a cui non hanno corrisposto interventi efficaci e risolutivi per risolvere le criticità del sistema depurativo.

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