REGGIO CALABRIA Sono richieste di pena pesantissime quelle avanzate dai pm Giuseppe Lombardo e Rosario Ferracane per gli imputati del procedimento Leonia, che ha svelato come il clan Fontana fin dal 2002 abbia messo le mani sulla Leonia, su mandato del direttorio di clan divenuto espressione della trasformazione della ‘ndrangheta in città. Un’inchiesta – spiega il pm Lombardo nel corso del suo intervento, che segue e completa la requisitoria del pm Ferracane che ha parlato prima di lui – da leggere alla luce del quadro che altre – prima di Leonia – hanno disegnato. Un mosaico terrificante, che mostra la ‘ndrangheta nuova in tutta la sua potenza e pervasività, che spiega come i clan abbiano superato le guerre in nome dei comuni affari, riuscendo ad imporre una dittatura basata un’unitarietà che è operativa ancor prima che strutturale. Un regime in cui tutto è mirato al profitto, non solo economico o finanziario. Perché la moneta della ‘ndrangheta nuova è il potere, capitalizzato in contatti, relazioni, occasioni che hanno portato le ‘ndrine nel cuore dello Stato, della finanza, dell’economia, della politica. È questo – hanno spiegato i pm Lombardo e Ferracane – il mondo di cui il boss Giovanni Fontana, i suoi figli, i suoi uomini fanno parte. Non sono altro che un ingranaggio montato – in un determinato momento storico, in un determinato contesto sociale – per far funzionare un sistema. Ed è la viva voce della ‘ndrangheta a raccontarlo. Le ‘ndrine parlano per bocca del boss Mico Libri, il custode delle regole al termine della guerra di ‘ndrangheta, sorpreso a parlare con un giovanissimo – e rampante – Matteo Alampi. Il giovane imprenditore informa lo storico boss su come sia stata organizzata la spartizione delle nascenti municipalizzate e il custode prende atto. Perché lui, insieme ai De Stefano, ai Tegano, ai Condello ha forgiato il sistema in cui quella spartizione è stata concepita. E le regole sono state rispettate. Le medesime che hanno imposto che i Fontana ricevessero la Leonia per compensare lo sfratto da Archi, territorio perduto a causa degli atteggiamenti ambigui durante la guerra. Le medesime che hanno costretto i Fontana a piegarsi a una rinegoziazione dell’accordo e a una cessione dei profitti, quando la Leonia si è dimostrata un affare fin troppo conveniente. Soprattutto dal punto di vista istituzionale e relazionale.
LE RICHIESTA DI PENA Per questo il boss Giovanni Fontana, assieme ai suoi figli, ai suoi uomini, a chi si è piegato a quel sistema, va punito e in modo severo. La pena più alta – 28 anni – è stata chiesta per lui, come per Bruno De Caria, direttore operativo della Leonia, considerato dagli inquirenti l’indispensabile elemento che tecnicamente permette ai clan di prendersi la municipalizzata. Anche per lui dunque, arriva una richiesta di condanna a 28 anni di carcere. Ventisei sono gli anni di condanna chiesti per i figli Antonino e Francesco Fontana, 21 per Giuseppe Carmelo Fontana, 20 per Giandomenico Fontana. Sette anni e sei mesi sono stati chiesti invece per Giuseppina Suraci, mentre è di 6 anni di carcere la richiesta avanzata per Eufemia Maria Sinicropi. Quattro anni e sei mesi sono stati chiesti per Giuseppe Palizzotto e Giorgio Sturiti, mentre è di tre anni di carcere la richiesta avanzata per Giuseppe Scaturchio. Per Andrea Antonio Galimi la richiesta è di 2 anni di reclusione, mentre un anno e sei mesi di carcere è stato chiesto per Loredana Falcomatà e Salvatore Emanuele Galimi. Infine, è di un anno di carcere la richiesta avanzata per Paolo Laganà e di 8 mesi quella per Domenico Siclari. Ma i pm hanno anche chiesto l’assoluzione per Rosalba Di Cristina, Cristofaro Marra, e Antonio Scuncia, tutti accusati di diversi episodi di truffa e peculato, per i quali però non è stata raggiunta «una convincente formazione della prova». In quattro invece a detta dei pm meritano di finire sotto indagine perché hanno spudoratamente mentito di fronte ai giudici e alle parti e per loro è stata sollecitata la trasmissione degli atti in procura. Lì, al sesto piano, si continua a lavorare. Anche sul filone che Leonia ha aperto, «perché – ha affermato il pm Lombardo – Giovanni Fontana ha ragione, nella vicenda Ecoterm c’erano molta politica e molta pubblica amministrazione. E procederemo anche su quello».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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