REGGIO CALABRIA Rimane in carcere Paolo Romeo, principale indagato dell’inchiesta Fata Morgana, considerato dagli inquirenti il capo di una loggia massonica segreta, impastata di ‘ndrangheta, di cui si è servita e a cui è servita, per condizionare la politica e l’economia della città. I giudici del Tribunale della libertà hanno bocciato il ricorso presentato dai suoi legali, confermando la detenzione in carcere per il controverso legale.
Ex deputato del Psdi, a lungo referente per l’eversione nera, condannato in via definitiva come consigliori dei clan, ma indicato dai pentiti anche come facilitatore per alcune delle stragi degli anni neri della Repubblica, Romeo sarebbe il «promotore e dirigente» della loggia. Proprio lui avrebbe pianificato in ambito politico, amministrativo ed economico imprenditoriale, le attività dell’associazione, programmandone iniziative e obiettivi. «Le qualità soggettive di Romeo, il suo muoversi in un contesto di ‘ndrangheta dove tal mediazione è accettata e non contraddetta, le attività del gruppo funzionali a risolvere in senso favorevole agli interessi economici ed imprenditoriali di esponenti della ‘ndrangheta procedure amministrative – scrive infatti il gip nell’ordinanza che ha portato al suo arresto – sono tutti sintomi evidenti di come il gruppo si muova anche al fine di agevolare gli interessi della ‘ndrangheta e soprattutto si ponga quale centro di equilibrio dei sistemi di potere di cui la ‘ndrangheta si alimenta». E nel gruppo ognuno ha il suo ruolo.
Insostituibile braccio destro di Romeo è il legale Antonino Marra che, per il gip Bennato, ha un ruolo dirigenziale all’interno della loggia perché «contribuisce a pianificare e dare attuazione alle attività programmate dal primo (Romeo, ndr) e dirette agli scopi già indicati». Sono individuati invece come partecipi della loggia segreta, che si nasconde sotto le insegne di diverse associazioni quali il circolo Pescatori Posidonia Asd, la Igea onlus, Cittadinanza attiva e Formula Sud, l’ex project manager di Fincalabra Nuccio Idone, il commercialista Natale Saraceno, il cancelliere capo della Corte d’appello Aldo Inuso, l’ex magistrato cassazionista Giuseppe Tuccio, l’ex assessore comunale ai trasporti Amedeo Canale, il canonico di Polsi, don Pino Strangio, il presidente di Cittadinanza attiva Domenico Pietropaolo, Andrea Scordo e il funzionario regionale Giovanni Pontari.
Non tutti si conoscono a vicenda e non tutti sono a conoscenza del reticolo di associazioni dietro cui la loggia governata da Romeo si nasconde. Ma tutti hanno un unico obiettivo: «Porre in essere attività dirette a interferire sull’esercizio delle funzioni di amministrazioni pubbliche locali (fra cui la Provincia di Reggio Calabria, sia tramite rapporti privilegiati, con dirigenti e funzionari; la Regione Calabria, con riferimento alla precedente legislatura, sia tramite rapporti privilegiati con membri elettivi dei consessi rappresentativi, sia tramite rapporti privilegiati con dirigenti e funzionari)».
Per gli inquirenti, la loggia puntava a influenzare scelte e indirizzi di Provincia e Regione « anche mediante le iniziative assunte dalle associazioni palesi predette e altre riferibili direttamente o indirettamente ai componenti dell’associazione segreta, che consentivano al Romeo ed al relativo tessuto relazionale e coacervo di interessi di cui egli è portatore, di restare baricentrico nella vita politica e nelle relazioni con i membri elettivi degli organi rappresentativi prima citati, ma anche con i dirigenti e funzionari dei predetti enti locali, indirizzandone le determinazioni in maniera osmotica agli interessi e alle strategia della ‘ndrangheta reggina».
In sintesi, Paolo Romeo per decenni ha manovrato per rimanere il decisivo ago della bilancia fra gli interessi di politica e ‘ndrangheta, imprenditoria e lobbies, tutte in odor di clan. Un potere che neanche la condanna definitiva che lo ha raggiunto è mai riuscita a scalfire. «È disarmante constatare- scrive al riguardo il gip – come all’indagato sia stato sufficiente celarsi dietro il feticcio di una banale associazione, per perpetuare il suo baricentrismo sociale, a partire dai rapporti con le Istituzioni». Legami tessuti nel tempo, che per i magistrati hanno permesso a Romeo di allungare i propri tentacoli in ogni ambito politico, economico e sociale che potesse servire a realizzare gli scopi della sua loggia e dei clan che la loggia ha sempre favorito. Un servizio che Romeno non assicurava da solo. Ecco perché la caccia ai “riservati” è appena cominciata. Della loggia – si legge infatti nell’ordinanza che lo ha portato in carcere – fanno parte anche « ulteriori soggetti in corso di individuazione o di compita identificazione».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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