COSENZA «Mio figlio mi ha salutato con un palloncino in mano ed è entrato nel Kinder Garden». Così il papà del piccolo Giancarlo Esposito – il bimbo di 4 anni deceduto il 2 luglio del 2014 nella piscina comunale di Campagnano, a Cosenza – ha raccontato ai giudici gli ultimi momenti prima della tragedia. Domenico Esposito è stato sentito come testimone della Procura nel processo sulla morte del piccolo. Sul banco degli imputati ci sono Carmine Manna (legale rappresentante della società), e le educatrici Franca Manna, Luana Coscarello, Martina Gallo e Ilaria Bove. Secondo l’accusa, per negligenza, imperizia e imprudenza avrebbero causato la morte del piccolo, annegato mentre si trovava in una delle piscine presenti nella struttura. Il piccolo sarebbe deceduto per «insufficienza respiratoria acuta conseguente ad asfissia meccanica, violenta e primitiva, determinata da annegamento in acqua dolce (piscina)».
«QUEL MALEDETTO GIORNO» Il papà del piccolo ha raccontato che il giorno della tragedia – il primo giorno di Kinder Garden per Giancarlo – avevano chiesto di assistere alle attività ludiche dal momento che era la prima volta, ma non venne consentito. «Ci hanno detto – ha spiegato – di stare tranquilli perché avevano figli anche loro. Io volevo rimanere solo perché mio figlio era timido ed essendo il primo giorno poteva piangere». Lui, assieme alla moglie, si assicurò che il bimbo entrasse nella «maledetta struttura» e che fosse tranquillo («era in fila assieme a circa altri cinquanta bambini»). Non gli sono mai stati chiesti particolari sulle condizioni di salute del figlio che comunque non aveva alcun problema: era in buone condizioni e lo portavano sempre al mare. Aveva anche fatto visite di controllo dopo che era emerso un piccolo “soffio” al cuore – frequente in tantissimi bimbi e adulti – ma diversi specialisti hanno specificato che Giancarlo Esposito stava bene e poteva svolgere qualsiasi attività sportiva o ludica. «Il piccolo non sapeva nuotare – ha detto il papà – galleggiava, ma davanti ai nostri occhi vigili e sempre con braccioli o salvagenti. Dalla piscina ci hanno solo chiesto un certificato di sana e robusta costituzione. Ma quella mattina non lo hanno voluto. Hanno detto: “Lo porterete in seguito”».
L’ARRIVO AL PRONTO SOCCORSO Momenti di grande commozione e dolore nell’aula della Corte di Assise di Cosenza durante il racconto del padre di Giancarlo: «Sono stato avvisato dopo un po’ – ha spiegato rispondendo alle domande del pm Maria Francesca Cerchiara – da una persona al telefono che mio figlio aveva avuto un malore in acqua ed era al Pronto soccorso. Non mi hanno mai fatto capire la gravità della situazione. Quando sono arrivato al Pronto soccorso non pensavo mai di trovare mio figlio morto perché mio figlio è morto in piscina. Prima di arrivare in ospedale ho rifatto quel numero da cui avevo ricevuto la telefonata e ha risposto Franca Manna le cui parole non dimenticherò mai: era molto agitata. Mi disse che se Giancarlo avesse pianto non sarebbe successo e poi era disperata. Cioè se mio figlio avesse pianto non sarebbe rimasto in piscina quel giorno e non sarebbe successo nulla. Quando sono arrivato al Pronto soccorso c’era una marea di gente: piangevano tutti. Della struttura non c’era nessuno, tranne il fratello di Carmine Manna che conoscevo di vista. I medici non mi parlarono di un probabile annegamento ma sentivo che dicevano “ha bevuto acqua”: c’era un’enorme confusione». «Quel giorno non abbiamo portato i braccioli da casa – ha aggiunto il padre – perché non ci hanno chiesto di portarli, pensavamo li avessero in piscina. Mio figlio – ha detto mostrando le foto del piccolo al mare con i genitori (foto acquisite dalla Corte) – nuotava solo con salvagenti o braccioli. Quando ho visto il bimbo in ospedale mio figlio era intubato ma non aveva i braccioli soltanto il costumino. Quando ci eravamo informati al Kinder Garden ci hanno detto che i bimbi avrebbero fatto solo giochi in acqua e soprattutto fuori dall’acqua ma non nuoto o altro». Con dolore composto e dignitoso il papà ha descritto anche come è cambiata la loro vita dopo la morte del piccolo: «Abbiamo cambiato casa perché non riuscivamo più a vivere lì dove ogni cosa ci ricorda di lui. Ora vado sempre al cimitero l’unico posto dove posso salutarlo».
I MEDICI DEL 118 Sul banco dei testimoni sono saliti poi i medici del 118 e del pronto soccorso. Franca Guzzo, operatrice della centrale operativa del 118, ha ricostruito la telefonata ricevuta dalla piscina: «Una persona con voce agitata mi ha detto che un bimbo era stato male in piscina. E io ho chiesto se il bimbo fosse annegato e l’interlocutore mi disse di sì. Così il collega ha mandato subito i soccorsi in codice rosso, mentre ero al telefono davo indicazioni per il massaggio cardiaco perché io ho chiesto se il bimbo fosse annegato e dandomi risposta affermativa ho proceduto a dare indicazioni come da protocollo. Mi è stata poi segnalata presenza di un medico sul posto con cui non ho parlato e quindi ho poi interrotto. Ho solo chiesto se avessero un defribillatore specifico, un Dae, ma mi hanno detto no».
La dottoressa Filomena Britti, che nel 2 luglio prestava soccorso nella postazione del 118 a piazza Cappello, ha ricostruito i momenti dei primi soccorsi: «Siamo stati allertati dalla piscina di Campagnano per un codice rosso. Abbiamo trovato a bordo piscina un bimbo con due persone che stavano cercando di rianimarlo. Il bambino non aveva battito: c’era una asistolia. Non abbiamo avuto alcun risultato rianimandolo e lo abbiamo portato in Pronto soccorso. Quando ho messo la cannula non aveva la schiuma alla bocca. Non ho notato se il bambino avesse i braccioli». Diversi i non ricordo della teste, motivo per cui il pubblico ministero ha chiesto che venga poi effettuato il riconoscimento delle voci delle telefonate tra il 118 e la piscina. È stata, poi, sentita l’infermiera Paola Costanzo che ha ricevuto la telefonata dalla centrale operativa del 118 ed è arrivata sul posto assieme alla dottoressa. E anche in questo caso il pm ha chiesto il riscontro delle trascrizioni. «Il bambino era in arresto cardiocircolatorio – ha detto – quindi c’era asistolia. Ma non abbiamo chiesto nulla».
Il dottore Pietro Scrivano era di turno al pronto soccorso il 2 luglio del 2014: «Mi hanno avvisato che arrivava un bambino in arresto cardiocircolatorio e ci siamo preparati per rianimarlo. Il bambino era in arresto cardiorespiratorio. Si può affermare – ha detto il medico rispondendo a una precisa domanda del pm – che il bambino era già deceduto perché non c’era alcun parametro vitale. Il piccolo era cianotico. Non c’era nessun battito cardiaco. Ho chiesto che cosa fosse successo e mi hanno detto che era in piscina. Il bambino presentava sintomi compatibili con un annegamento».
Il dottor Gianfranco Misuraca, cardiologo dell’Annunziata, aveva visitato il piccolo Giancarlo Esposito nei mesi prima al decesso nel suo studio privato: «Il piccolo stava bene: aveva solo un forame ovale, una condizione abbastanza frequente nei bambini e negli adulti, che non crea nessun problema e chi ne è affetto può svolgere qualsiasi attività anche sportiva e quindi non c’era alcuna controindicazione nemmeno a un bagno in piscina. Non ho assolutamente dato farmaci né detto che c’erano controindicazioni. In questi casi, sono più i genitori a far fare i controlli ma per stare tranquilli». Il dottor Francesco Manna – che ha rapporti di parentela con alcuni degli imputati, cugino di primo grado – è medico di base a Cosenza. «Quel 2 luglio – ha detto ai giudici – mi trovavo per caso in piscina perché volevo salutare un nipotino di 4 anni che era lì. Appena ho parcheggiato ho visto mia cugina Franca Manna disperata che mi chiamava perché c’era un bimbo che stava male. Sono entrato e ho visto il piccolo poggiato su una panca a bordo piscina e un ragazzo che stava praticando un massaggio cardiaco: ci siamo coordinati e abbiamo praticato il massaggio fino all’a
rrivo del 118. Il bambino era incosciente. Il piccolo era tutto bagnato ma non aveva i braccioli». Il processo è stato aggiornato al 16 settembre per sentire altri testi della Procura, tra cui alcuni istruttori della piscina.
La famiglia del piccolo (ovvero i genitori, i nonni e gli zii) si sono costituiti parte civile e sono rappresentati dagli avvocati Francesco Chiaia, Ernesto D’Ippolito e Ugo Ledonne. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Marcello Manna e Concetta Coscarella.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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