CATANZARO «Non intendo giudicare nessuno, tanto meno una sentenza, ma su una cosa vorrei una spiegazione, su una frase riportata anche nel fascicolo Kiterion. Mi chiedo come debba essere interpretata e se i giudici ne hanno tenuto conto, se l’hanno considerata». Don Marcello Cozzi, vicepresidente nazionale di Libera, ha la voce sfiduciata ma la sua mente è combattiva. I suoi pensieri – all’indomani della sentenza d’appello che assolve Nicolino Grande Aracri, a capo della consorteria di Cutro, dall’accusa di minacce aggravate dal metodo mafioso ai proprietari del villaggio turistico Porto Kaleo – si rivolgono insistenti a una frase: «Niente io, niente nessuno». «Il “boss” – scrivono gli inquirenti – usa anche la stessa espressione di minaccia riferita dai denuncianti (i proprietari del villaggio, nda) in relazione al fatto che altrimenti il bene non se lo sarebbe goduto nessuno». Agli occhi di don Marcello questa è una minaccia. «Allora io vorrei una spiegazione su quella frase, cosa voleva dire Grande Aracri?», chiede il sacerdote di Libera. Secondo quanto si legge in Kiterion, e che è stato fatto presente anche nel corso del processo su Porto Kaleo, il 16 settembre 2012 viene captata una conversazione, all’interno della sua abitazione, tra Nicolino Grande Aracri e tale Gaetano al quale viene raccontata, «in tutti i particolari, la vicenda Porto Kaleo e il tentativo di estorsione ai danni della famiglia Rettura-Notarianni». Grande Aracri racconta che la signora Carolina Rettura aveva fatto contattare tale Alfonso dal proprio legale dicendo che la richiesta estorsiva avvenuta il 5 agosto 2012, denunciata dalla sua famiglia, stava per arrivare alla Dda. Il “boss” racconta che «l’altro giorno… insieme a quattro cinque persone, tre persone dei nostri» si era incontrato con la signora Rettura per discutere della restituzione dei suoi soldi. Soldi che sarebbero dovuti spettare a tale Pasquale Barberio col quale la signora aveva avuto una relazione. Ma Grande Aracri specifica che quelli dell’ex marito erano di fatto i suoi soldi. Poi la frase: «Niente io, niente nessuno».
È questa circostanza che don Marcello non riesce a interpretare, e chiede che qualcuno gliene spieghi il peso.
Il sacerdote ha anche altri interrogativi, legati alla sua esperienza in Libera, legati alla difficoltà che ogni imprenditore ha nel denunciare. Che senso avrebbe, nel caso di Porto Kaleo, inventare una storia per mettersi in cattivi rapporti con soggetti che hanno il potere di incutere timore, com’è stato evidenziato nel corso di diverse indagini? Ma per trovare risposta agli interrogativi del vicepresidente di Libera, per capire cosa sia stato tenuto in conto da parte dei giudici della corte d’Appello, quale peso e significato abbia avuto quella frase intercettata bisogna aspettare 90 giorni per poter leggere le motivazioni della sentenza. E dopo? Su questo don Marcello non mostra remore: «È ovvio che adesso debba esserci un ricorso in Cassazione».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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