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Bertolone: «I mafiosi si collocano fuori dalla Chiesa»

CATANZARO «Gli uomini o le donne di mafia, di camorra o di ‘ndrangheta affiliati a queste organizzazioni malavitose si collocano fuori dalla Chiesa». Lo ha detto monsignor Vincenzo Bertolone, arciv…

Pubblicato il: 02/07/2016 – 17:27
Bertolone: «I mafiosi si collocano fuori dalla Chiesa»

CATANZARO «Gli uomini o le donne di mafia, di camorra o di ‘ndrangheta affiliati a queste organizzazioni malavitose si collocano fuori dalla Chiesa». Lo ha detto monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabra, in un’intervista alla Radio Vaticana in merito alla pubblicazione del volume “La ‘ndrangheta è l’anti-Vangelo” edito dalle edizione Tau e che raccoglie 100 anni di documenti della Chiesa contro il crimine organizzato. «Spesso questi uomini malavitosi – ha aggiunto Bertolone – continuano a partecipare alla vita delle comunità cristiane a livello di religiosità, a livello di devozione popolare, chiedono di fungere da padrini o da madrine, chiedono i sacramenti per i propri figli. In questo senso, essi scimmiottano la vera fede e quindi sono come un veleno, una zizzania nel campo del buon grano che rappresenta la Chiesa. Il buon grano non può fare da eco o da cassa di risonanza di un modo di fare pagano anche se si ammanta di pensieri biblici o del comparaggio nei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Bisogna perciò chiedersi il motivo della coesistenza della malapianta, della zizzania appunto, cioè della criminalità organizzata nelle sue varie forme e metamorfosi con il buon grano. In questo modo la Chiesa aiuta il cristiano a non fare mai eco alle pretese e alle richieste mafiose, smascherandone piuttosto la pseudo religiosità e l’agire pagano, senza invadere il campo specifico della prevenzione e della repressione penale dei responsabili dei delitti di mafia». 
Secondo l’Arcivescovo metropolita di Catanzaro, «la Chiesa ha sempre denunciato e parlato senza timore della criminalità organizzata. Cento anni di documenti: quella che fino alla svolta del Concilio ecumenico Vaticano II veniva da molti ancora definita “la Chiesa del silenzio” di fronte a certi fenomeni criminali è diventata la Chiesa che parla, che invita al rispetto della legge degli uomini e di Dio ed invita alla vita buona del Vangelo. È di esattamente cento anni fa la “Lettera pastorale collettiva” dei vescovi calabresi per la Quaresima del 1916, dove in embrione ma con chiarezza si pongono già le basi per una catechesi di purificazione della pietà popolare. Tra i punti deboli venivano significativamente indicati le processioni, il ruolo dei padrini, la scarsa formazione del clero, debolezze che i vescovi individueranno nei documenti successivi nei quali gradualmente, ma sempre con più chiarezza, prendono pubblicamente le distanze dalla degenerazione, soprattutto da ciò che era connotato come fenomeno di tipo mafioso e criminale. L’azione pastorale corale dei vescovi, la presa di posizione pubblica della Conferenza episcopale calabra, ma anche quella dei singoli presuli nelle diocesi, apriva nuove strade insieme alla denuncia, all’esame del fenomeno, all’impegno di arginare la criminalità battendo le vie preventive dell’educazione e della formazione, soprattutto quella testimonianza cristiana personale e comunitaria. È interessante vedere come la storia di questo impegno ci fa assistere a un vero e proprio magistero sociale di lotta e di purificazione dei vescovi calabresi. Ritengo che tanto è stato scritto e fatto, ma molto resta da fare».

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