REGGIO CALABRIA Quattro assoluzioni, diverse prescrizioni, qualche sconto di pena e più di qualche conferma. Nonostante la Corte d’appello di Reggio Calabria abbia detto no alle richieste dell’accusa, sostanzialmente regge anche in secondo grado l’impianto del procedimento “Falsa politica”, che ha svelato il sistema che ha preso in ostaggio l’amministrazione pubblica di Siderno e l’ha resa schiava dei voleri del clan Commisso. Accuse di cui non sono stati riconosciuti colpevoli Michele Sorbara (2 anni in primo grado), Antonio Commisso (1 anno e 6 mesi in primo grado) e Vincenzo Commisso (1 anno e 6 mesi in primo grado. Cadono invece sotto la mannaia della prescrizione le condanne inflitte in primo grado a Domenico Figliomeni classe ’65, Francesco Figliomeni classe ’67, Giuseppe Figliomeni, Maria Figliomeni, tutti condannati in primo grado a un anno e sei mesi. Sono state invece confermate le assoluzioni di Cosimo Commisso, Gennaro Tedesco, Carlo Scarfò e Massimo Pellegrino.
Ma la conferma arriva anche per molte condanne, quali quella rimediata dall’ex sindaco di Siderno, Alessandro Figliomeni, cui è stata confermata la pena di 12 anni di carcere e per molti esponenti del clan. La Corte ha confermato le pene inflitte in primo grado a Riccardo Rumno (17 anni), Michele Costa (11 anni), Riccardo Gattuso (11 anni), Domenico Giorgini (11 anni), Antonio Costa (10 anni e 6 mesi), Michele Futia cl.90 (9 anni e 6 mesi), Giorgio Futia (5 anni), Vincenzo Figliomeni (4 anni e 6 mesi).
Arrivano invece riduzioni di pena per Francesco Muià (da 26 anni a 24 anni e 7 mesi) , Michele Correale (da 25 a 24 anni), Giuseppe Correale (da 16 anni e 8 mesi a 14 anni e 8 mesi), Giuseppe Napoli (da 15 a 6 anni), Giuseppe Muià (da 14 anni e 6 mesi a 13 anni e 6 mesi), Antonio Futia (da 14 a 13 anni di carcere), Cosimo Ascioti (da 13 anni e 6 mesi a 10 anni e 9 mesi), Antonio Galea (da 8 a 6 anni e 10 mesi), Michele Futia (da 8 a 6 anni e 8 mesi), Michele Futia, cl. 33 (da 8 a 6 anni e 8 mesi)
Ribaltata l’assoluzione di Antonio Scarfò, condannato in secondo grado a 3 anni di reclusione.
Secondo quanto emerso nell’inchiesta, le ‘ndrine erano arrivate fino ai gangli della vita politica del paese della Locride.
A determinare i destini di un’intera comunità era infatti il clan Commisso, la cui benedizione era necessaria per tentare la scalata in politica. Per questo, politici di ogni colore si presentavano con il cappello dal boss Giuseppe Commisso, “U mastru” che da dietro il bancone della sua lavanderia “Ape green” dispensava buoni consigli e ricordava le regole che nessuno poteva permettersi il lusso di infrangere. Tutte conversazioni registrate e analizzate dagli investigatori e destinate a pesare su un procedimento che si candida ad essere prima di tutto una fotografia impietosa della politica e della società della Locride e non solo. Cosimo Cherubino – ha svelato infatti l’inchiesta – era l’uomo che i clan avevano scelto come proprio rappresentante in consiglio regionale.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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