REGGIO CALABRIA È Raffaele Pizza il faccendiere calabrese al centro del sistema affaristico criminale scoperchiato dalla procura di Roma. Per i magistrati, forte di “entrature” politiche e grazie a salde, antiche relazioni con personalità di vertice di enti e società pubbliche, costituiva lo snodo tra il mondo imprenditoriale e quello degli enti pubblici, svolgendo un’incessante e prezzolata opera di «intermediazione” nell’interesse personale e di imprenditori senza scrupoli interessati ad aggiudicarsi gare pubbliche. In più, sfruttando i legami stabili con la politica, si adoperava anche per favorire la nomina, ai vertici di enti e di società pubbliche, di persone a lui vicine, così acquisendo ragioni di credito nei confronti di queste che, riconoscenti, risultavano permeabili alle sue richieste». Base logistica della sua attività era uno studio sito accanto al Parlamento, in una nota via del centro, per ricevere danaro di illecita provenienza, occultarlo e smistarlo, avvalendosi in un caso anche della collaborazione di un parlamentare in carica, Antonio Marotta, in forza all’Ncd, di professione avvocato – attualmente indagato – che lo ha attivamente coadiuvato nelle attività di illecita intermediazione.
Originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte, Pizza è il segretario organizzativo di quella Democrazia Cristiana, che nel 2008 il fratello Giuseppe ha strappato agli altri aspiranti eredi della Balena Bianca, grazie ad una contestata sentenza del Consiglio di Stato. Quell’anno, Giuseppe è stato anche scelto come sottosegretario all’Istruzione nel governo Berlusconi, grazie – ha affermato pubblicamente Leo Pellegrino, ex sindaco di Caltabellotta (Agrigento) e membro del consiglio nazionale della Dc – a Marcello Dell’Utri in persona, all’epoca potentissimo numero due di Forza Italia.
Ma Giuseppe non è l’unico dei fratelli Pizza ad avere contatti e relazioni importanti. In famiglia c’è anche un terzo fratello, Massimo, meglio conosciuto come Polifemo. Per sua stessa ammissione agente dei servizi del famigerato Ufficio K (killer), composto sostanzialmente dagli Ossi (operatori speciali del servizio), persone e agenti reclutati da Gladio – Massimo Pizza è stato più volte indagato da diverse procure. Il pm John Woodcock lo ha iscritto nel registro degli indagati nell’inchiesta Somaliagate, che ha svelato come il piccolo di casa Pizza fosse al lavoro in Somalia come ispettore italiano nell’ambito di una missione ufficiale dell’Onu mirata a individuare i legami di Al Qaeda nell’area. E al procuratore di Napoli, Pizza ha rivelato l’esistenza di «una strettissima loggia massonica coperta, che ha rapporti con la criminalità calabrese e potenti coperture istituzionali», perché frequentata da politici e uomini di potere che finanzierebbero le proprie attività con i soldi in nero ricavati dallo sfruttamento delle risorse naturali (acqua e petrolio) e dal ciclo dei rifiuti.
All’allora procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato, “Polifemo” ha raccontato in dettaglio come la massoneria e mafie, con il valido contributo della galassia nera di Stefano Delle Chiaie, avessero in progetto un’azione di “destabilizzazione” finalizzata a creare le condizioni propizie per la divisione dell’Italia in più Stati. Ambienti che, per certi versi, sono frequentati anche dagli altri fratelli Pizza.
Rimasto fuori dal parlamento infatti, Giuseppe Pizza non ha smesso di fare politica, convertendo il proprio salotto in uno dei centri di potere della capitale, affollato di nomi noti della politica e dell’imprenditoria italiani e non solo.
Tra gli ospiti di Pizza, spunta infatti il nome dell’ex presidente del Libano, Amin Gemayel, scortato dal suo ufficioso “proconsole” in Italia, Vincenzo Speziali, come quello di Guglielmo Epifani, quello di Alessandro Forlani, il figlio dell’ex storico segretario Dc, ma anche quello di Emo Danesi, che della Balena Bianca era deputato prima di essere sospeso dal partito nei lontani anni ’80 perché massone e piduista. Ed è proprio lui a svelare che Raffaele – in certi ambienti meglio conosciuto come Lino – era spesso presente a casa del fratello. Lo racconta agli uomini della Dia, che per ordine del pm Lombardo lo interrogano nell’ambito del procedimento Breakfast, che oggi vede sotto processo l’ex ministro Claudio Scajola, con l’accusa di aver aiutato l’ex parlamentare azzurro Amedeo Matacena, oggi latitante, a sottrarsi a una condanna definitiva per mafia e a occultare il suo immenso patrimonio. Interrogato il 19 gennaio scorso, Danesi dice «l’ho conosciuto insieme a Giuseppe Pizza e a Vincenzo Speziali».
Un altro faccendiere in quota Dc, anche lui oggi in fuga da un mandato di cattura spiccato nell’ambito dell’inchiesta Breakfast. Per gli inquirenti, è stato lui ad occuparsi dei contatti istituzionali che avrebbero dovuto permettere a Matacena di trascorrere una serena latitanza in Libano. Un servizio – ipotizzano gli inquirenti – di cui anche Marcello Dell’Utri avrebbe usufruiti. E che – secondo alcune ipotesi – proprio a casa Pizza potrebbe in parte esser stato concertato.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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