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L'autoconvocazione del Pd è stata un'occasione di sano confronto

A Lamezia Terme, all’Assemblea degli “autoconvocati” del Partito democratico, c’ero anche io. Ed ero presente perché mosso da un impulso morale e da una volontà progettuale mai sopita, che mi impon…

Pubblicato il: 08/07/2016 – 16:33

A Lamezia Terme, all’Assemblea degli “autoconvocati” del Partito democratico, c’ero anche io. Ed ero presente perché mosso da un impulso morale e da una volontà progettuale mai sopita, che mi impone, ancora una volta, e sempre dalla stessa parte, quella del reale cambiamento, di mettere faccia e idee al servizio di un nuovo progetto politico in Calabria e per la Calabria. È stata una straordinaria occasione di sano confronto su temi, idee e progetti, non su poltrone, voti e veti.
Dopo innumerevoli sconfitte elettorali e disaffezione anche da parte dei più tradizionali elettori, va preso atto che il Pd in Calabria non è mai nato se non meramente sotto l’accezione del suo acronimo nominale. Come mentalità è rimasto Pci ma anche come classe dirigente evidentemente. Come modus operandi si caratterizza invece per il suo “tribalismo familistico amorale”. Oserei dire libico. E i motivi sono tanti: di certo vi è un forte tratto antropologico-educativo e socio-culturale alla base di tutto ciò.
Ora che il Pd ha perso ovunque in Calabria – non certo ci si può fregiare del risicatissimo – e non solo per il risicatissimo – successo elettorale di Rossano Calabro, quando si perdono, anzi si straperdono, tutte le città capoluogo di provincia e su Cosenza in particolare, dove si va verso la categoria dello spirito, addirittura il 7 per cento alle ultime amministrative, un punto in meno rispetto al (stranamente) diviso Pd di 5 anni fa, c’è da prenderne atto, senza edulcorate analisi pseudo-politologiche, ma soltanto con l’umiltà dell’autocritica. Mi limito a dire soltanto che appare di lapalissiana evidenza che il consenso classico di matrice clientelare è in via d’erosione. L’elettore ormai “instabile” e disincantato, non vota più per appartenenza politica e/o ideologica, non esiste più il voto “fedele”, il consenso si muove su altri crinali, esiste un voto nuovo, anche naïf ma che tende in modo vieppiù crescente verso l’opinione od anche la personalizzazione come ci ha insegnato il “caso” Cosenza.
Loro, i signori delle clientele lo sanno, lo hanno intuito e lo temono il voto libero, nonostante alle nostre latitudini, unico caso in Italia, neanche il “grillismo” abbia ancora attecchito ma, così continuando, arriverà anche quello e poi si che ci sarà la corsa del “si salvi chi può”. E ora? Ora c’è da compiere un salto, non più nel vuoto, non più all’indietro, ma in avanti, anche ma non solo generazionale. Per compierlo però, ci vorrà un colpo di reni non indifferente, degno del miglior Buffon mi verrebbe da dire usando una metafora calcistica. Senza cercare capri espiatori o colpevoli a tutti i costi ma, semplicemente trasponendo sui territori quanto detto dal segretario-presidente del Consiglio Matteo Renzi, durante la Direzione del Partito democratico dello scorso lunedì 4 luglio a cui ho avuto il piacere, da ospite, di partecipare. Riporto quanto detto da Renzi: «Nel Pd, sui territori, serve un modello organizzativo nuovo, una nuova classe dirigente». Ancora Renzi: «Non c’è garanzia per nessuno finché sarò io il segretario».
Ecco basterebbe questo oltre che ad un pizzico di umiltà e senso di responsabilità anche attraverso il nobile gesto del “passo indietro”, da parte di chi ritiene possa aver commesso errori politici di scelte, di metodo, di valutazione. E poi? E poi bisogna ricostruire anzi costruire dalle fondamenta, investendo sul merito e sullo studio continuo e di qualità, per intercettare con nuova linfa e dinamismo, le straordinarie occasioni che questa società sempre più globale e veloce ci offre. Per far sì ad esempio che i fondi europei escano dalla logica redistributiva del loro utilizzo e diventino una volta per tutte volano di crescita sostanziale. Persone che provengono da un’altra cultura e forma mentis non sempre riescono a cogliere e a fare proprie queste sfide epocali.. È come se a mia nonna di 84 anni dessero in mano uno smartphone e togliessero il telefono fisso coi tasti giganti! Quante nonne sarebbero in grado di usare uno smartphone?

 

*militante Pd e consulente politico

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