COSENZA Adolfo Foggetti è un pentito molto credibile. Lo ha messo nero su bianco il gup di Catanzaro Tiziana Macrì nelle oltre novecento pagine di motivazioni della sentenza del processo “Nuova famiglia”, con la quale ha condannato i 33 imputati del clan Rango-Zingari che hanno scelto il rito abbreviato. Tra le accuse contestate l’associazione di stampo mafioso, l’estorsione e la tentata estorsione, l’omicidio di Luca Bruni (giovane boss dell’omonimo clan di Cosenza scomparso a gennaio del 2012), l’associazione dedita al narcotraffico, la violazione del domicilio al fine di appropriarsi di alloggi popolari e la detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Adolfo Foggetti era accusato anche dell’omicidio di Luca Bruni ed è stato lui stesso nel dicembre del 2014 a far ritrovare il cadavere del giovane in una campagna di Castrolibero. Per Adolfo Foggetti il pm della Dda, Pierpaolo Bruni, aveva chiesto quattro anni di carcere riconoscendo le attenuanti previste per i collaboratori di giustizia, ma la condanna inflitta lo scorso 6 aprile è stata di sei anni di reclusione. È stato lui a raccontare ai magistrati dei rapporti tra ‘ndrangheta e politica nel Cosentino. I suoi verbali sono andati a corroborare l’impianto accusatorio di “Sistema Rende”, l’inchiesta della Dda che ha travolto la politica di Oltre il Campagnano e tra questi l’ex sottosegretario Sandro Principe.
Le dichiarazioni di Adolfo Foggetti sono finite, anche, nei fascicoli dell’inchiesta della Procura di Cosenza che cerca di fare luce sull’affidamento dei lavori da parte di Palazzo dei Bruzi alle presunte ditte amiche.
«FONTE PROBATORIA QUALIFICATA» Il giudice ricostruisce il percorso collaborativo di Foggetti che «può dirsi, oltre che attendibile, anche esaustivo» perché scrive Tiziana Macrì – «questo dopo aver ricostruito storicamente, sin dai primi anni 2000, l’evoluzione dell’organizzazione criminale di cui ha fatto parte, soffermandosi sulle articolazioni territoriali e averne illustrato gli ambiti dell’operatività criminale e indicato nominativamente tutti i componenti posizionandoli in una precisa scala gerarchica, ha spiegato le fasi della fusione tra il clan Bruni e quello degli Zingari in esito a un’operazione di esautorazione degli appartenenti alla “famiglia” Bruni e di adesione incondizionata alla compagine zingaresca al cui vertice si pone Maurizio Rango che in assenza, per detenzione, dei fratelli Giovanni Abbruzzese e Bruzzese Franco (il cognome è diverso per un errore anagrafico, ndr) svolge funzioni di reggente». Le rivelazioni di Adolfo Foggetti assumono «massimo rilievo» perché «il collaboratore di giustizia ha vissuto con continuità, da un osservatorio privilegiato», gli avvenimenti che ha riferito agli inquirenti. E, pertanto, le sue dichiarazioni vanno considerate «assolutamente affidabili e di per sé sufficienti a dimostrare che il gruppo attualmente retto da Rango presenta i connotati tipici di un’organizzazione a delinquere di stampo mafioso».
Per i giudici catanzaresi, Adolfo Foggetti è senza alcun dubbio «una fonte probatoria qualificata» perché consente «una lettura dall’interno della struttura e delle dinamiche del gruppo, ora confluito, con i suoi soggetti più attivi nel clan degli Zingari».
«NESSUNA CONTRADDITTORIETA’» Il contributo del collaboratore è evidente, in particolare, per aver delineato «l’organigramma della cosca indicando la direzione strategica, il “gruppo di fuoco”, i vari affiliati e specificando il ruolo svolto da ciascuno. Egli ha, altresì, individuato i “cartelli” criminosi segnalando la strategia del gruppo e le alleanze da questo strette con clan allineati apportando un patrimonio di conoscenze a cui non si può rinunciare». Il giudice ravvisa nella collaborazione di Adolfo Foggetti «intrinseca coerenza logica (infatti nel suo racconto non vi è traccia di contraddittorietà), univocità e fermezza, intesa come reiterazione di dichiarazioni tutte orientate nello stesso senso che rendono le sue accuse certamente verosimili».
La credibilità del pentito si desume – è emerso in particolare dall’attività investigativa – dal fatto che egli aveva il compito di «colmare il vuoto di potere» che si era creato nel Paolano dopo la disarticolazione della cosca Serpa. Adolfo Foggetti, già organico alla cosca Bruni e «imparentato» tramite la sua compagna con i La Rosa di Paola, era stato «incaricato di organizzare nel centro tirrenico un sodalizio criminale che avesse quale “riferimento” la cosca degli Zingari di Cosenza la cui reggenza era affidata a Maurizio Rango. «In tal senso – scrive il giudice – Foggetti ha organizzato un gruppo di sodali facendo opera di “proselitismo” tra le giovani leve della criminalità paolana, in qualche modo, però collegati a soggetti della vecchia, decimata criminalità locale su cui basarsi per la manovalanza delle azioni criminali. Non può che ribadirsi quindi – tenendo conto dell’intraneità di Foggetti al clan Rango-Zingari e del suo ruolo apicale rivestito fino al 2014 – il giudizio di piena attendibilità».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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