COSENZA «Una violenza privata feroce» sarebbe stata esercitata dall’editore Pietro Citrigno nei confronti del giornalista Alessandro Bozzo. Per questo motivo il pm della Procura di Cosenza, Maria Francesca Cerchiara, ha chiesto la condanna a quattro anni di carcere per l’imprenditore cosentino imputato nel processo per la morte di Bozzo, il cronista suicidatosi nella sua casa di Marano Principato il 15 marzo del 2013. Il pubblico ministero, al termine della sua requisitoria, ha chiesto anche la trasmissione degli atti alla Procura perché durante il processo sono emersi «nuovi elementi e ipotesi di reato di estorsione e violenza privata» esercitate da Citrigno in relazione a «condotte diverse e autonome da questo procedimento e perpetrate nei confronti di Bozzo e di altri quattro giornalisti».
«SI SENTIVA UMILIATO DAL PADRONE» Precisa e circostanziata la requisitoria del pubblico ministero che ha ricostruito il calvario vissuto dal giornalista in un periodo molto difficile nella sua vita professionale e privata. Diversi i momenti di commozione dei familiari del giovane presenti nell’aula 7 del tribunale bruzio. Il pm ha sottolineato lo stato di umiliazione di Bozzo che è stato costretto a firmare un «contratto di precariato imposto dal padrone, ovvero dall’imputato e da lui stesso definito “un’estorsione”. Alessandro si sentiva umiliato dal padrone. Pietro Citrigno era il padrone. È un dato incontestabile lo dicono tutti i giornalisti – ha sottolineato con precisione Cerchiara leggendo le dichiarazioni rilasciate agli inquirenti da alcuni colleghi –. Alessandro è stato costretto ad accettare condizioni inique di lavoro. Lo hanno ribadito in udienza i suoi colleghi, facendo riferimento anche alle continue minacce di trasferimento, come quello a Rossano, perché i colleghi riferiscono che Citrigno ripeteva: “Lì non serviva”. Ma la verità – ha evidenziato il pm – è che Alessandro Bozzo dava fastidio soprattutto quando si occupava di politica e per questo venne spostato alla cronaca giudiziaria. Firmare quel contratto rientra negli estremi della violenza privata, avvenuta in modo feroce. Era Citrigno che decideva tutto e decideva chi licenziare». La pubblica accusa ha poi smontato la tesi della difesa, secondo la quale quel contratto sarebbe stato frutto della crisi aziendale: «Non è precarizzando i lavoratori che si risolvono le crisi aziendali. Alcuni giornalisti hanno anche parlato della linea editoriale del giornale decisa da Citrigno e definita da loro stessi “schizzofrenica” perché – hanno detto – ad esempio eravamo un giorno amici di Oliverio e un giorno nemici».
Il pm ha citato la testimonianza resa dal giornalista Francesco Graziadio: «Graziadio ha riferito in aula che Citrigno gli chiedeva di licenziare Bozzo una volta a settimana perché diceva che Bozzo ragionava troppo con la testa sua e che non aveva capito come funzionava il sistema. Alessandro – ha aggiunto il pm – non si poteva piegare. E anche l’ex direttore Piero Sansonetti, sentito in udienza, tra i vari non ricordo una cosa la dice, ovvero che Citrigno cambia i contratti perché così i giornalisti sono facilmente licenziabili. Sansonetti, all’improvviso in udienza, non ricorda più nulla e la sua attendibilità è da valutare, ma in questo caso ha detto la verità». Il pubblico ministero ci tiene a precisare come «le questioni familiari di Bozzo non devono entrare in questo processo. Alessandro non reggeva più la situazione al giornale e per questo scrisse alla Gazzetta del Sud delle mail nelle quali spiegava la sua situazione e chiedeva di assumerlo se mai avessero avuto bisogno di un giornalista».
«SONO UN MORTO CHE CAMMINA» Maria Francesca Cerchiara ha letto le pagine del diario del giornalista, trovato dal padre e consegnato ai carabinieri subito dopo la sua morte: «Il diario è una prova documentale che non ha bisogno di riscontri. Da quelle pagine emerge che le cose andavano male, forse anche in famiglia, ma ciò non cambia quello che stava vivendo sul lavoro. Ha provato in mille modi a uscire da quella situazione. Gli venne proposta una soluzione ma doveva fare una lista nera con persone da licenziare e lui non accettò. Il 14 novembre 2012 scrisse: “Sono un morto che cammina giornalisticamente parlando”. Nel diario abbiamo letto: “È venuto meno il matrimonio e ora anche il lavoro”. Ribadì di non meritare quel trattamento. Alessandro si torturava. Alcuni suoi colleghi, come Comito, che rifiutarono di firmare il contratto sono stati licenziati. Anche la moglie di Alessandro, in udienza, ha detto che il marito era preoccupato per la situazione economica, per il futuro della loro bambina, per il mutuo della casa perché aveva un lavoro da precario. Bozzo – ha concluso il pm – è stato costretto contro la sua volontà ad accettare quel contratto precario imposto dal padrone, ovvero dall’imputato». Per questi motivi, il pubblico ministero ha chiesto la condanna a 4 anni di carcere, ovvero la pena massima per il reato di violenza privata e l’aumento per la recidiva perché «si ritiene che ci sia stata una violenza privata atroce».
ATTI IN PROCURA PER REATI AI DANNI DI ALTRI GIORNALISTI Il pm ha chiesto la trasmissione degli atti in Procura perché nel dibattimento sono emersi «nuovi elementi e ipotesi di reato di estorsione e violenza privata in relazione a condotte diverse e autonome rispetto a quelle contestate in questo processo e perpetrate ai danni dei giornalisti Pietro Comito, Antonio Murzio, Francesco Pirillo, Antonella Garofalo e lo stesso Alessandro Bozzo per il reato di estorsione».
PARTI CIVILI: ALESSANDRO DAVA FASTIDIO Sulla stessa lunghezza d’onda della Procura, anche l’avvocato Nicola Rendace che rappresenta la famiglia di Bozzo, costituitasi parte civile. «Citrigno – ha detto rivolgendosi al giudice Francesca De Vuono – si è reso responsabile della violenza privata. Condivido la trasmissione degli atti in Procura per i danni anche nei confronti di altri giornalisti. È emerso chiaramente che Citrigno gestiva tutto il giornale e nessun direttore riusciva ad arginarlo, ad eccezione solo di Paolo Pollichieni che si è opposto finendo poi per andare via dal giornale proprio per le ingerenze. Non si è opposto Sansonetti, il. direttore ombra che stava sempre a Roma, e che in udienza non ricorda nulla. Ma Alessandro scrive di politica e a un certo punto dà fastidio e viene spostato alla giudiziaria. Ma anche lì dà fastidio: è il caso del processo Lupo. Ciò che mi preme sottolineare è che se è vero che Bozzo aveva anche problemi familiari questi sono stati, semmai, causati e acuiti da quelli lavorativi».
LA DIFESA: NESSUNA VIOLENZA. SUGGESTIONI DELLA PROCURA È toccato, infine, all’avvocato Raffaele Brescia – difensore di Citrigno assieme al collega Salvatore Staiano – iniziare la sua arringa e smontare punto per punto le accuse del pubblico ministero. «L’impianto accusatorio – ha detto l’avvocato Brescia – si basa soltanto su Suggestioni della Procura perché non si riferiscono al capo di imputazione. Le ingerenze di Citrigno nella gestione del giornale fanno parte del suo carattere ma nulla hanno a che vedere con il reato contestato che si basa sulla firma di un contratto. Ecco perché parlo di suggestioni. Un diario vorrebbe provare tutto questo?. Sono suggestioni – ha ribadito più volte l’avvocato – perché non si possono basare su fatti avvenuti negli anni precedenti alla firma del contratto. Servono solo per mettere in cattiva luce l’imputato. È vero che tra Bozzo e Citrigno c’era un pessimo rapporto ma Alessandro ha continuato a lavorare per lui per ben 12 anni. E non ci stava da quando aveva il mutuo, ma da prima. Respingo assolutamente e con forza le accuse di violenza privata e minacce perché la firma di quel contratto era motivata dal fatto che l’azienda era in crisi». Il processo è st
ato aggiornato al prossimo 14 settembre quando, dopo l’arringa dell’avvocato Staiano e le eventuali repliche del pm, il Tribunale si ritirerà in camera di consiglio per emettere la sentenza.
SPAGNUOLO: MASSIMA ATTENZIONE SULLA VICENDA BOZZO Il nuovo procuratore capo di Cosenza, Mario Spagnuolo – prima di iniziare la conferenza stampa sull’omicidio di Acri – ha espresso con decisione la posizione della Procura in merito alla vicenda di Alessandro Bozzo: «Approfitto di questa occasione – ha detto Spagnuolo ai giornalisti – per ribadire che l’ufficio, che mi onoro di guidare, presterà molta attenzione alla vicenda che riguarda il giornalista Alessandro Bozzo. Sono stato informato ampiamente dalla collega Maria Francesca Cerchiara, che sta concludendo la requisitoria. Mi ha fornito un quadro chiaro. Ora aspettiamo una sentenza di verità. La collega d’udienza – che ha anche seguito le indagini – ha chiesto la trasmissione degli atti in Procura per fatti gravi emersi dal dibattimento e che sarebbero stati commessi dall’imputato nei confronti anche di altri giornalisti».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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