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Il neopentito racconta il clan Giampà e i suoi "amici"





CATANZARO Non rimodulerà le sue richieste di pena il sostituto procuratore generale che sta reggendo l’accusa nel processo d’Appello “Perseo”, contro la cosca lametina dei Giampà e i suoi …

Pubblicato il: 13/07/2016 – 14:28
Il neopentito racconta il clan Giampà e i suoi "amici"





CATANZARO Non rimodulerà le sue richieste di pena il sostituto procuratore generale che sta reggendo l’accusa nel processo d’Appello “Perseo”, contro la cosca lametina dei Giampà e i suoi sodali. L’interrogatorio del neo collaboratore di giustizia – Domenico Giampà detto “Buccacciellu”, 36 anni – non ha portato particolari stravolgimenti all’impianto accusatorio. La sua testimonianza, secondo il pg, ha dato “un quadro ancora più articolato delle vicende in esame. Il suo è un ulteriore tassello che arricchisce il quadro. Sono le esternazioni di un patrimonio conoscitivo da parte di un intraneo alla cosca”. Più di un intraneo, stando a quanto ha dichiarato in udienza Domenico Giampà, ossia di essere stato anche reggente del clan visto che “quando uno dei vertici era detenuto si ruotava”. Per quanto riguarda una eventuale riduzione di pena nei confronti del nuovo pentito (per il quale il pg aveva chiesto 20 anni), anch’egli imputato nel processo, l’accusa si è rimessa alla decisione della Corte.

I SODALI, LE TRUFFE ASSICUATIVE, LA DITTA CHIRICO E L’ESTORSIONE ALLA PRENATAL Nel corso dell’interrogatorio il pg ha sottoposto a Domenico Giampà una serie di nomi di persone imputate nel processo e ha chiesto al collaboratore se conoscesse il soggetto, che tipo di rapporto avessero e quale fosse il suo ruolo all’interno della cosca. Tra i nomi citati, quello di Carmine Vincenzo Notarianni (assolto in primo grado, per lui sono stati chiesti 12 anni). “Lo conoscevo, era mio vicino di casa – ha detto Giampà – aveva a che fare con la droga. Col figlio vendevano erba e cocaina. La maggior parte delle volte la prendevano da Giuseppe Giampà e facevano anche a cambio con armi”.
Tra le attività di cui si occupava la cosca c’era la droga, ha specificato il pentito. Era Giuseppe Giampà che aveva interesse in questo ramo. Non c’era una cassa comune nella quale confluivano i soldi della droga ma funzionava che tutti i sodali la compravano dal giovane reggente. Anche Gianluca Giovanni Notarianni è tra le conoscenze di Domenico Giampà: “Era attivo in parecchie azioni delittuose, ha partecipato con me all’omicidio di Giovanni Gualtieri e si occupava anche di droga”. Per quanto riguarda Emiliano Fozza, considerato l’uomo di fiducia di Giuseppe Giampà (assolto in primo grado, per lui sono stati chiesti 13 anni e 4 mesi), il collaboratore dice di lui: “Ci conosciamo dal 2000 perché frequentavamo la stessa discoteca. Era dedito al trasporto di armi droga organizzava rapine. Faceva il rappresentate di prodotti alimentari e girava per tutta la Calabria”.
“Antonio Muraca – prosegue il collaboratore – l’ho conosciuto perché vendeva macchine per Vincenzo Bonaddio, si mise a disposizione per una estorsione fatta alla Prenatal, aveva un contatto diretto col proprietario”.
Antonio Paradiso, invece, “era vicino a Giuseppe Giampà e faceva estorsioni per suo conto”.
Su richiesta del pg Domenico Giampà specifica ciò che intende per “vicino”: una persona non necessariamente inserita nella cosca ma disposta a fare favori e pronta a mettersi a disposizione.
Come Francesco Costantino Mascaro (assolto in primo grado, per lui sono stati chiesti 10 anni), subagente della Zurigo assicurazioni di Lamezia. “Ci favoriva per quanto riguarda le truffe assicurative: sapeva che era una truffa ma ci aiutava a raccogliere i soldi. Erano tutti incidenti simulati”, spiega il collaboratore. Le truffe erano supportate anche dai carrozzieri Trovato di via del Progresso. “Il dottore Carlo Curcio Petronio (condannato col rito ordinario a 4 anni) ci aumentava i giorni nei certificati medici. Guadagnavamo anche 6mila euro a truffa. Eravamo un sacco di persone, tutte assicurate con la Zurigo per truffarla. Per effettuare i pagamenti più velocemente ci si rivolgeva agli avvocati, per esempio Giuseppe Lucchino (assolto in primo grado e per il quale sono stati chiesti 6 anni e 8 mesi), e un altro di cui non ricordo il nome”, continua Giampà. Alla domanda dell’avvocato Renzo Andricciola, se anche l’imputato fosse cliente della Zurigo, questi ha risposto: “Io ero assicurato a nome di mia sorella o di mia madre. Mascaro sapeva chi eravamo e che quando andavamo da lui si trattava di una truffa, così cercava di far chiudere il sinistro velocemente, sapeva quale perito chiamare”.
Tra le vittime della cosca risulta anche la ditta di edilizia Chirico, di Giuseppe e Giovanni, padre e figlio. Dalle indagini venne fuori che la famiglia era sotto scacco da parte della cosca ma nel corso del processo la loro testimonianza mostrò più di una reticenza.
Mercoledì alla domanda del pg se la ditta Chirico pagasse le estorsioni al clan, Domenico Giampà ha sostenuto: “Non mi risulta che pagasse estorsioni ma favoriva fornendo materiale da costruzione”.

LE DIFESE Da parte loro gli avvocati difensori non hanno intesi rimodulare quanto sostenuto durante le discussioni dei giorni precedenti. L’avvocato Lucio Canzoniere, difensore di Carmine Vincenzo Notarianni ha sottolineato come dalle parole del collaboratore sia emerso che il suo assistito non fosse intraneo alla cosca. Posizione che emerge anche dalle parole di un altro collaboratore Pasquale Giampà, “Mille lire”. L’avvocato ha chiesto la conferma dell’assoluzione già pronunciata in primo grado. Confermano le richieste già espresse per i propri assistiti gli avvocati Antonio Larussa, Aldo Ferraro, Francesco Pagliuso, Gregorio Viscomi e Francesco Gambardella.
L’udienza è andata avanti con le discussioni dei legali Domenico Villella, Antonio Larussa, Lucio Canzoniere, Salvatore Staiano, Renzo Andricciola, Francesco Sabatino, Giuseppe Di Renzo.
Le discussioni hanno avuto tutte pressoché lo stesso tenore, ossia quello di sottolineare che il nuovo materiale istruttorio portato nel processi d’appello non avesse fornito elementi nuovi e decisivi, rispetto alle singole posizioni, capaci di ribaltare la sentenza di primo grado. Il primo grado, in abbreviato, del processo Perseo si concluse l’8 giugno 2015 con 25 assoluzioni, 20 condanne (tra cui 3 ergastoli) e due non luogo a procedere. Anche le testimonianze dei collaboratori, ammesse al processo, come quella nuova di zecca di Domenico Giampà, non avrebbero portato, secondo le difese, elementi nuovi. Tra l’altro alla testimonianza di Giampà è stato contestato di aver riportato fatti e persone non inerenti al processo (vedi, per esempio, le truffe dei fratelli Trovato). Giorno 15 si terrà una nuova udienza durante la quale sono previste le repliche del pg che riguarderanno anche l’inammissibilità dell’atto d’appello sollevata da una parte del collegio difensivo. 

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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