La storia della Calabria è fatta di fratture, separazioni e ricongiungimenti. E Soriano Calabro, nel Vibonese, ha una storia antica, scandita da eventi dolorosissimi, come il sisma del febbraio 1783. Proprio tra le rovine della “Santa Casa”, il convento di San Domenico fondato nel 1510, che fu tra gli edifici religiosi più imponenti del Mezzogiorno, oggi sta nascendo un Polo museale che custodisce un piccolo tesoro di arte e storia. L’ultimo progetto realizzato a Soriano è quello del Museo del Terremoto, una struttura unica nel suo genere in Europa, dalla forte connotazione scientifica ed espositiva, realizzata all’interno delle “magnifiche rovine” su una superficie di 2000 metri quadri. Le attività del MuTerr, che aprirà al pubblico a settembre, sono state presentate martedì sera nel corso di un’iniziativa in cui sono intervenuti il sindaco di Soriano Francesco Bartone; la direttrice del Polo museale Silvana Iannelli, Emanuela Guidoboni, nota sismologa e docente all’ Università di Bologna; e l’antropologo e scrittore Vito Teti, a cui abbiamo rivolto alcune domande sul percorso di rinascita culturale di questo piccolo (ma ricco di storia) paese del Vibonese.
Oltre alla Biblioteca Calabrese, anche i musei. Marmi, ceramiche, arte antica e ora il terremoto. Soriano può diventare un polo culturale importante nel panorama regionale?
«Da qualche anno grazie all’iniziativa di un’amministrazione comunale che ha scelto il nome impegnativo di “La città del sole” (e del resto Campanella è stato nel Convento dei domenicani e, probabilmente, anche imprigionato), Soriano Calabro conosce una sorta di piccolo “rinascimento” di cui si sono accorti anche i grandi giornali e le riviste più diffuse d’Italia. Io sono sempre per restare con i piedi per terra, invito a cautela e a non enfatizzare, ma certo il paese si sta offrendo come punto di riferimento per molti studiosi e visitatori e ha tutte le carte in regola per diventare un polo culturale di tutto il Sud d’Italia. Le sue “magnifiche rovine” dell’antico Convento domenicano (dove ancora operano i frati) sono davvero uniche in Calabria ed oggi stanno diventando, con intelligenti e opportuni interventi di restauro, la sede dei diversi musei che costruiscono il Polo museale, ma sono anche “scena” dove si svolgono iniziative culturali, spettacoli teatrali e musicali, presentazioni di libri per non dimenticare che la loro “sacralità” è immutata grazie anche ai riti e alle celebrazioni che si svolgono in quelle rovine restituite a nuova vita. Bisogna aggiungere anche la singolarità e il fascino del centro urbano di Soriano legato indissolubilmente al paese presepe di Sorianello. E da non dimenticare la sua posizione geografica invidiabile: a pochi chilometri dalla A3 (uscita Serre), non lontana da Vibo e soprattutto da Serra San Bruno, cerniera tra i paesi delle Serre e della Vallata del Mesima, tra la provincia di Vibo e quella di Reggio Calabria. Per non dire poi della sua storia religiosa, civile, culturale, religiosa eccezionale. Soriano conosce meno di altri paesi lo spopolamento grazie a una popolazione attiva e laboriosa e anche al permanere di attività artigianali importanti, come la produzione dei mostaccioli. Una tradizione che continua una storia di mobilità e di aperture. La Biblioteca Calabrese, voluta e fondata dall’ indimenticabile preside Nicola Provenzano, che pubblica la rivista “Rogerius”, è la più fornita di libri e riviste, anche rari, di storia, cultura, letteratura della regione. Se queste ed altre risorse vengono organizzate e inserite in un progetto di rinascita di breve e media durata, grazie a un’amministrazione illuminata e lungimirante, e vengono consegnate ai tanti professionisti, lavoratori, piccoli imprenditori, commercianti, giovani laureati e diplomati del paese c’è, davvero, da sperare in un piccolo miracolo in corso. Certo non mancano problemi e difficoltà, ma molto dipende anche da quanto la Regione intende investire (finora ha fatto la sua parte ma potrebbe fare molto di più) per questo centro che appartiene all’intera Calabria e che potrebbe diventare contagioso per tanti altri paesi della regione».
A dirigere il Museo sarà Emanuela Guidoboni, una delle più famose sismologhe e storiche delle catastrofi a livello mondiale. Ma la struttura è frutto del lavoro anche di persone appassionate come il sindaco Bartone, l’architetto Ciconte, a cui si aggiunge il suo contributo. Soriano può essere un modello per altre comunità? Perché è ancora così raro trovare esempi di rinascita culturale in luoghi che invece ne avrebbero tutte le potenzialità?
«Il sindaco Bartone e gli altri amministratori, professionisti come l’architetto Merilia Ciconte, operano con passione e competenza. Spetta al sindaco e ai bravi professionisti e studiosi del luogo coinvolgere tutta la comunità, pensare ad allargare un gruppo di competenze locali che esistono e sono partecipi. Emanuela Guidoboni, una grande studiosa che ci invidia tutta Italia, ha un grande entusiasmo, grandi capacità organizzative, ed è una donna di grande statura morale ed etica. Farà, assieme ad altri, di questo Museo del terremoto un punto di riferimento a livello nazionale, ma anche una sede dove elaborare, progettare, pensare al territorio della Calabria che ha una sua fragilità ed è a rischio. Vorrei ricordare l’opera fondamentale e appassionata di un’archeologa di grande esperienza come Maria Teresa Iannelli, direttrice del Polo Museale. E anche la presenza attiva di studiosi come Francesco Cuteri, Mario Panarello, Gianfranco Solfarino. La rivista “Rogerius”, fondata da Provenzano e poi diretta in maniera egregia per lungi anni da Tonino Ceravolo e poi dall’ing. Antonio Tripodi, è adesso diretta da Giacinto Namia, grecista e letterato prestigioso e noto a livello nazionale, a cui si affiancano anche Cuteri, Ianneli, Francesca Viscone, Fulvio Librandi, Rosario Chimirri, Matteo Enia e tanti altri che non nomino. Importanti artisti sono protagonisti di eventi teatrali, musicali ecc. Si pensa anche a una “Scuola del Ritorno”, legata all’esperienza di Paraloup (faccio il nome Antonella Tarpino, Marco Revelli, che sono venuti a Soriano e che hanno inserito questo paese nella “rete del ritorno”), che si occupi di rilancio nel nuovo tempo di produzioni artigianali e artistiche che potrebbero impiegare anche tanti giovani del luogo. Nel tempo sono venuti, grazie all’instancabile opera di persuasione di Bartone, lasciando anche segni evidenti del loro passaggio intellettuali e personalità come Vittorio Sgarbi, Nuccio Ordine, Elisabetta Sgarbi, Paolo Rumiz, Monika Balaj e tanti altri. Un grande fotografo, Salvatore Piermarini, ha fatto bellissimi reportage sul paese e la stessa Balaj ha fotografato le rovine. Un bravo docente e regista del luogo, Pasquale De Masi, ha realizzato e realizza documentari e filmati sulla storia e sulla cultura della comunità. E’ una scommessa aperta: non bisogna, come dicevo, esaltarsi, ma nemmeno essere rinunciatari».
Il MuTerr nasce nel luogo più colpito dal terribile sisma del 1783, dove ancora oggi si porta in processione la Madonna del “Flagello”. Il dolore collettivo si fa memoria e, quindi, cultura, risorsa?
«La Madonna del Flagello attualizza un passato che non passa, alimenta un sentimento di pietas, ma invita alla memoria vivificante. La Madonna del Flagello è la Madonna del Rosario, che viene festeggiata in altre ricorrenze, e che il giorno di Pasqua è la Mater Dolorosa che con l’Affrontata diventa Mater Gloriosa. Mi sembra che la storia religiosa della comunità parli di dolori e di lutti, ma anche di rinascita e di speranza. Bisogna avere memoria del passato che è stato bello e brutto e bisogna alimentare la speranza nel presente».
Può nascere un’identità, un futuro, dai traumi e dalle fratture della Calabria “inquieta” descritta nei suoi libri?
«Il mio sogno è che i calabresi sappiano guardare, con verità e severità, nelle luci e nelle ombre del passato, sappiano liberarsi di quell’antropologia della “maledizione” che ha una spiegazione storica e culturale, ma che oggi non può diventare alibi per indifferenze, apatie, lamentele e rassegnazione. Trasformare la maledizione in benedizione; le rovine in risorse identitarie, di memorie e nuova vita. Questa la nostra scommessa e questo il nostro impegno, che comportano non attendere sempre il miracolo dall’alto o da fuori. Ognuno di noi, ogni associazione, ogni piccola comunità può essere protagonista di scelte, azioni, pratiche capaci di trasformare una generica e a volte indecifrabile “inquietudine” in sentimento del passato, dei luoghi, ma anche in doverosa ed etica affermazione di presenza per noi, per chi è andato via, per chi arriva da fuori».
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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