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La (incompleta) verità che tutti sapevano

I carabinieri del Ros difficilmente mollano la presa. Anche quando il nemico è potente, non solo per la sua caratura criminale ma pure per le protezioni istituzionali sulle quali può puntare. Certo…

Pubblicato il: 15/07/2016 – 13:57
La (incompleta) verità che tutti sapevano

I carabinieri del Ros difficilmente mollano la presa. Anche quando il nemico è potente, non solo per la sua caratura criminale ma pure per le protezioni istituzionali sulle quali può puntare. Certo, se alcune loro iniziative investigative avessero potuto contare su una maggiore disponibilità da parte della magistratura inquirente, certi risultati sarebbero stati conseguiti diversi anni prima e molti guasti, alle istituzioni, agli organi elettivi, alla libera imprenditoria e al funzionamento della sanità ce li saremmo risparmiati. Invece sono dovuti passare quindici anni prima di avere una risposta giudiziaria alle cose che tutti si chiedevano e che molti già sapevano.
E siamo ancora a una verità assolutamente parziale. Tuttavia bastevole per risarcire i carabinieri del Ros che, guidati dal colonnello Valerio Giardina, alcune cose le dissero e le scrissero diversi lustri addietro. Di più, determinate cose il colonnello Giardina, deponendo sotto giuramento, le riferì anche davanti ai giudici del Tribunale di Reggio Calabria, senza badare ai rischi di rappresaglie politico-istituzionali alle quali si esponeva. Ne rimediò interrogazioni parlamentari, insulti, minacce, citazioni in giudizio e, ovviamente, l’allontanamento dalla Calabria e dal Raggruppamento operativo speciale. Nulla valeva la schiera di superlatitanti assicurati alla giustizia, né valevano i successi mietuti sul campo: gli omicidi scoperti, le cosche smantellate, i traffici di droga svelati. Toccati i fili della politica, venne folgorato, insieme ai suoi più prestigiosi collaboratori.
Quando, facendo irruzione nel suo covo di Pellaro, catturò l’imprendibile capo della ‘ndrangheta calabrese Pasquale Condello, inteso “il supremo”, il boss gli fece i complimenti e subito dopo gli confidò: «Colonnello non avete idea in che pasticci vi siete cacciato. Adesso scoppierà il casino».
Il covo, perquisito, perchè il Ros targato Giardina i covi li perquisisce…, rivelerà il potere assoluto che la ‘ndrangheta esercitava su ogni ganglo della vita sociale, politica e imprenditoriale di Reggio Calabria.
Partendo da lì si poteva smantellare il sistema massonico-politico-mafioso che governa Reggio Calabria. Invece venne smantellato il gruppo di investigatori che a quelle indagini si dedicava. Perché la ‘ndrangheta non è Cosa nostra e Reggio Calabria non è Palermo: qui chi rompe le scatole non salta per aria. Ci sono armi più sottili, c’è la delegittimazione e, servisse, anche qualche magistrato che si presta alla bisogna. Non lo si trovasse sul posto, lo si applica da fuori.
Dovremo aspettare il 9 agosto del 2013 per apprendere da Cosimo Virgilito che questi «faceva parte a una società segreta chiamata massoneria e che era costituita da tre tronconi: una legalizzata – di cui facevano parte professionisti di alto livello come giudici – servizi segreti deviati – uomini dello stato; la seconda da politici – avvocati – commercialisti; la terza da criminali con poteri decisionali e uomini invisibili che rappresentavano il tribunale supremo che giudicavano la vita e la morte di ogni affiliato, tutti uniti in unica potenza incontrastata».
E sempre Virgilito farà una serie di nomi: «Libri Domenico e Pasquale di RC… Alampi Giovanni RC… notaio Marrapodi Rc, commercialista Giovanni Zumbo… avv. Giorgio De Stefano senior… Pelle Giuseppe di San Luca… Pasquale Condello di Rc, Fontana Giovanni Rc, Giovanni Tegano Rc, Chirico Francesco di Rc… dr. Pirilli con studio presso il duomo Rc, Scopelliti Giuseppe presidente regione Rc… avv. Marra Antonio… Martino Paolo Rc Archi, Giuseppe De Stefano Archi Rc, Bellocco Umberto Rosarno Rc, Pesce Marcello e Giuseppe Rosarno RC, Gioacchino e Giuseppe Piromalli Gioia Tauro Rc, Mammoliti Antonino e Saverio Castellace RC… Franco Morelli Rc, avv. Paolo Romeo Rc, Pietro Fuda Rc… Pietro Siclari imprenditore edile Rc… avv. Vincenzo Giglio, giudice Giglio Rc… Francesco ZOCCALI ex capo di gabinetto della giunta Scopelliti colluso con i servizi deviati e agente segreto, Bruno De Caria direttore della Leonia…».
Scrive oggi il gip Santoro: «La diretta conferma dell’esistenza di tale “segreto organismo” proviene proprio da Virgiglio Cosimo, fonte diretta di conoscenza del Lo Giudice, il quale in data 29 aprile 2015 ha precisato quanto segue: «Adr: Sono entrato o meglio mi sono avvicinato alla massoneria per il tramite del messinese… Omissis…, nobile messinese, intorno alla fine degli anni 80. Io frequentavo l’università di Messina. Per la verità iniziai a frequentare il Rotary. Il Rotary era una trampolino di lancio per entrare nei Goi. Il tempio di Messina che si trovava nella zona del Papardo. Ricordo che fra gli altri frequentatori di questo ambienti massonici di Messina vi era… Omissis…».
«Nel ’92-’93 arrivò a Messina, da Reggio Calabria, la soffiata su di una indagine sulla massoneria. In quello stesso periodo… Omissis… mi fece entrare nell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, che è un sodalizio organico al Vaticano. A capo di tale Ordine vi era… Omissis… La cerimonia di iniziazione si celebra in chiesa. All’interno dell’Ordine vi era… Omissis…».
E ancora prima era stato Sebastiano Altomonte (soggetto iscritto alla massoneria e molto vicino ad Antonio Pelle, all’epoca latitante) a riferire, prima al colonnello Gardina e poi ai pubblici ministeri dell’operazione “Bellu Lavuru” che «al fine di tutelarsi da attacchi esterni, la ‘ndrangheta ha mutato la sua struttura tradizionale, creando un nuovo organismo direttivo, al quale aderiscono solo un gruppo ristretto di persone, definiti “Invisibili”, che sono quelle che realmente contano (nel senso che sono quelli che prendono le decisioni) all’interno dell’organizzazione, e i cui appartenenti proprio in virtù della riservatezza e della delicatezza della posizione che ricoprono sono addirittura non noti agli altri appartenenti dei livelli inferiori».
Sei anni prima, mirate intercettazioni ambientali e telefoniche, siamo nel 2007, fornivano le prime tracce dell’opera degli “invisibili”, il loro esordio è connesso all’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno.
Scrive il gip Santoro: «Al riguardo, le intercettazioni riportate o sintetizzate nella predetta informativa fanno riferimento a un gruppo di persone denominato, appunto, gli Invisibili, creata un paio di anni prima (“c’è la visibile e l’invisibile che è nata da un paio di anni”), in data successiva all’omicidio dell’on. Francesco Fortugno (avvenuto il 16 ottobre 2005), per una scelta di autoprotezionismo da “attacchi esterni” e interni (“se no oggi il mondo finiva; se no tutti cantavano”), assolutamente segreta agli ordinari affiliati “visibili” (“C’è una che si sa ed una che non la sa nessuno, la sanno solo…”), ossia quelli dei quali è notorio, tanto tra la popolazione quanto tra le forze dell’ordine, l’appartenenza all’organizzazione ‘ndranghetistica».
Ancora il gip scrive: «Detto organismo sarebbe quello che realmente conta (“Lui è in quella visibile che non conta”) nello scenario criminale e avrebbe solidi legami con ambienti massonici (“fratelli tutti visibili ed invisibili che adornate l’oriente”)».
Arrivano le elezioni regionali del “dopo fortugno”. È il banco di prova per l’ingresso della “nuova organizzazione politico-massonico-mafiosa”. È anche l’occasione che gli uomini del Ros attendevano per piazzare il colpo finale e dare nome e volto agli “invisibili”. Il superboss Pelle è costretto agli arresti domiciliari ma riceve continuamente gente: uomini dei servizi segreti, politici, amministratori locali, capi mafia, maestri massonici. Occorre mettere una serie di microspie. La procura distrettuale le chiede, il gip le autorizza ma l’incarico non viene affidato al colonnello Giardina ma ad altro corpo di polizia giudiziaria che, riferirà, non riesce e penetrare la villa bunker abitata dal boss Pelle. In una assolata domenica primaverile, il colonnello Giardina e i suoi uomini, invece, ci entrano e piazzano le microspie che comincian
o a “cantare”: si parla di voti, il boss dice che l’obiettivo è far vincere Scopelliti e fare eleggere almeno sei consiglieri regionali fidatissimi per controllarlo. Un via vai di personaggi che chiedono al boss il permesso di candidarsi e la sua benedizione. Ci incappa, e ci rimette le penne, il più votato della provincia reggina nelle elezioni regionali del 2010, il sindaco di Bagnara Calabra Santi Zappalà. Ma proprio alla vigilia degli incontri più importanti qualcuno ordina di togliere le microspie. L’indagine finisce e per il colonnello Giardina cominciano i guai.
Ben venga la retata eccellente portata a termine all’alba di oggi. Meglio tardi che mai. Ma nessuno pensi che il conto è in pareggio: la giustizia ha ancora un saldo paurosamente negativo.

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