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LA SANTA | Così la massoneria ha venduto l’anima al diavolo

COSENZA Le chiamano sliding doors. Qualcuno ci ha girato dei film, altri hanno vissuto sulla propria pelle momenti in cui sarebbe bastato poco – una svolta inattesa, un impegno più deciso – per cam…

Pubblicato il: 17/07/2016 – 6:38
LA SANTA | Così la massoneria ha venduto l’anima al diavolo

COSENZA Le chiamano sliding doors. Qualcuno ci ha girato dei film, altri hanno vissuto sulla propria pelle momenti in cui sarebbe bastato poco – una svolta inattesa, un impegno più deciso – per cambiare il corso degli eventi. Giuliano Di Bernardo, già Gran Maestro del Goi (Grande Oriente d’Italia, ndr), racconta ai magistrati la sliding door (almeno una delle sliding doors) della massoneria rispetto ai rapporti con la ‘ndrangheta. Lo fa il 6 marzo 2014. E la sua è una storia destinata a riaffacciarsi nel corso degli anni, ispirando altre uscite rumorose dalle logge calabresi, altri strappi dolorosi e profondi. Motivati da una diversa percezione (e, forse, anche una differente sensibilità) delle infiltrazioni mafiose.
Di Bernardo inizia il suo impegno nella massoneria nel 1961. Trentadue anni dopo – nel frattempo l’ha scalata fino a diventare Gran Maestro – lascia il Grande Oriente d’Italia per fondare la Gran Loggia Regolare d’Italia. La massoneria inglese abbraccia la nuova loggia, mentre disconosce la prima. Cosa è successo? L’ex Gran Maestro, racconta ai magistrati un vecchio colloquio con Ettore Loizzo, «ingegnere di Cosenza, mio vice nel Goi, persona che per me era il più alto rappresentante del Goi». Loizzo – sono le parole di Di Bernardo – «nel corso di una riunione della Giunta del Grande Oriente d’Italia (una sorta di CdA del Goi in cui era presente anche il mio successore Gustavo Raffi, attuale Gran maestro del Goi [lo era ancora ai tempi dell’interrogatorio, ndr]) che io indissi con urgenza nel 1993 dopo l’inizio dell’indagine del dott. Cordova (Agostino, procuratore di Palmi, ndr) sulla massoneria, a mia precisa richiesta, disse che poteva affermare con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta».
Di Bernardo fa «un salto sulla sedia. Gli dissi subito: e cosa vuoi fare di fronte a questo disastro? Lui mi rispose: nulla. Io ancora più sbigottito chiesi perché. Lui mi rispose che non poteva fare nulla perché altrimenti lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie».
La situazione, in Calabria, è devastante. Di Bernardo lo capisce e prende contatto con il Duca di Kent, che è la figura di riferimento della massoneria inglese, a cui si ispira in qualche modo quella italiana. «Lui mi disse – spiega – che già sapeva di questa situazione tramite notizie da lui avute dall’Ambasciata in Italia e dai servizi di sicurezza inglesi. Io feci espresso riferimento alla commistione fra criminalità organizzata e Goi».
Quello calabrese non è un unicum. Intorno al 1990, nel corso di una visita in Sicilia, il presidente del più alto organo della giustizia massonica aveva raccontato a Di Bernardo che il più alto esponente della circoscrizione del Goi di Mazzara del Vallo era mafioso, come numerosissimi esponenti del Goi siciliano. «Capii che davvero – continua – , come diceva Cordova, il Goi era una “palude”. Fu il duca di Kent che mi suggerì di uscire dal Goi e creare un nuovo Ordine. Faccio presente che la questione calabrese era molto più preoccupante in quanto la massoneria calabrese era ben più ramificata e potente di quella siciliana».
La Calabria è l’epicentro di un’infiltrazione fuori dal controllo. Il legame tra mafie e massoneria si inquadra nel contesto di frequentazione politica tra la criminalità organizzata e i movimenti separatisti siciliani e meridionali in generale. E «Reggio Calabria era il centro propulsore, l’origine di tali movimenti autonomisti che trovavano sostegno in numerosi esponenti della massoneria e più esattamente del Goi. Ero molto preoccupato da questa situazione. Nel nord vi era la Lega Nord, a sud si stavano creando questi movimenti separatisti. Vedevo il nostro paese a rischio».Ce n’è quanto basta per giungere a conclusioni inquietanti. Sono quelle contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che ha colpiti i presunti esponenti (o, almeno, parte di essi) della loggia coperta che “governava” su Reggio Calabria: «La massoneria calabrese era, di fatto, in mano alla ‘ndrangheta, nessuno poteva obiettare alcunché, salvo rischiare personalmente».
Ettore Loizzo, figura storica della massoneria cosentina e calabrese, è scomparso nel dicembre 2011. Non potrà smentire né confermare le parole che gli vengono attribuite. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, le denunce e le prese di distanza dalla massoneria per il suo rapporto spericolato con i clan non sono mancate. Altre sliding doors, ammesso che non sia troppo tardi.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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