REGGIO CALABRIA Fin dal 2000, il suo nome è saltato fuori in almeno in una decina di procedimenti giudiziari sulle attività dei clan di ‘ndrangheta a Reggio Calabria e nella sua provincia, come a Milano e a Genova. Di lui parlano sei pentiti, di caratura diversa, ma unanimi nell’affermare che il senatore di Gal Antonio Caridi è uomo dei clan di Archi.
LE RIVELAZIONI DI MOIO Il primo a metterlo a verbale è il pentito Roberto Moio, secondo il quale non c’è stata competizione elettorale in cui Caridi non sia stato sostenuto dagli arcoti. E il senatore – afferma – «è un affiliato dei De Stefano». Sono cose che non sa per sentito dire, ma per esperienza diretta. Era uno dei tanti uomini dei clan di Archi che frequentava lo studio medico del senatore, fin da quando gli era stato presentato da Bruno Nicolazzo, tra il 2006 e il 2007. Un altro nome noto fra gli arcoti, aiutato da Caridi a far assumere la moglie, Concetta Santoro, in radiologia ai Riuniti. Circa dieci anni prima però, il pentito aveva incontrato Caridi, accompagnando ad una visita medica Rosario Aricò e Antonino Lo Presti – due affiliati storici del clan Tegano – che in quell’occasione lo avevano indicato come un medico «amico degli amici», un soggetto – chiarisce il collaboratore – «vicino ai De Stefano e a noi (Tegano)». Una vicinanza – ha capito il pentito nel tempo – che al politico è stata sempre molto utile. «Lui ha una amicizia particolare con i De Stefano … Si, cioè … riguardo a voti, voti elettorali, se la sono sempre vista … sempre loro. Sempre i De Stefano. È molto amico di Franco Chirico, insomma … Sempre appoggiato. A livello personale, elettorale … è stato sempre … Da sempre. Da quando s’è portato la prima volta» .
I “DIPENDENTI” DI CARIDI Nel tempo, Moio ha imparato a conoscere bene Caridi, come a riconoscere i “suoi” dipendenti, inseriti nei più diversi contesti lavorativi in cambio di voti. Un meccanismo di cui hanno beneficiato anche uomini dei clan come Rocco Mandalari – indicato quale cognato del braccio destro del capocrimine Giuseppe De Stefano, Vincenzino Zappia – e Rocco Melissari, tutti appartenenti ai De Stefano- Tegano e tutti assunti alla Leonia grazie al politico. Come? «Tramite Enzo Zappia, no? – esclama Moio – E’ vicino a Peppe De Stefano, dalla mattina alla sera, insomma, và … con Dimitri, con la stretta … comparato, col San Giovanni che hanno pure, eh?».
PIU’ LAVORO, PIU’ TANGENTI Rapporti che giustificano anche l’impegno di Caridi per far aumentare il lavoro commissionato alla platea di lavaggio dei Tegano. Ovviamente in cambio di voti. Un’offerta che nel 2007 l’attuale senatore ha fatto a Moio in persona, in qualità -spiega il pentito – di rappresentante del clan Tegano. In cambio di 150-200 voti, Caridi avrebbe promesso di parlare con il dirigente delle Ferrovie Sentina per far arrivare un maggior numero di treni alla platea di lavaggio, dunque far aumentare le tangenti che il clan estorceva. Una proposta che è piaciuta al boss Giovanni Tegano, il quale – ricorda il pentito – «ha detto … che tramite lì, al lavoro insomma … dargliela una mano insomma, si può … è un fatto positivo insomma, un fatto di questi, dagli una mano, va». Una mano pesante circa 200 voti, raccolti da Moio e Bruno Nicolazzo – l’uomo che aveva mediato il primo incontro fra il pentito e Caridi – e che ha effettivamente regalato maggiore lavoro (e maggiori tangenti) al clan.
ASSUNZIONI PER I CLAN E Moio non è l’unico a raccontare della vicinanza del politico ai De Stefano-Tegano, come dell’abitudine del politico a piazzare uomini dei clan nelle partecipate in cambio di voti. Lo racconta anche il pentito Consolato Villani, secondo il quale, quando Caridi era assessore comunale all’ambiente, tanto in Leonia come in Multiservizi erano stati assunti uomini di tutti i clan. Ovviamente, sempre in cambio di appoggio elettorale. Caridi – racconta il pentito – «Caridi faceva assumere, con la sua capacità politica, faceva assumere persone alla Leonia, a tempo determinato, di due o tre mesi, e poi venivano assunti per un lungo … per due o tre anni, e poi veniva rinnovato il contratto. Poi faceva assumere gente, personale, alla Multiservizi, che era dei Libri… e lui era fiancheggiatore vicino ai Libri, e lo è stato sempre … vicino ai Caridi, vicino a San Giorgio!». Insomma, chiarisce Villani, « lui appoggiava i Destefaniani, la parte dei Libri e tutto il resto»
TUTTI IN LEONIA E MULTISERVIZI Un sistema di cui aveva beneficiato anche Giovanni Costantino, del clan Lo Giudice. E non solo. « Una grossa percentuale erano tutti personaggi o parenti o amici o vicini alle varie cosche della ‘ndrangheta … della ‘ndrangheta reggina. Chi era parente dei LIBRI, chi era parente dei De Stefano, chi era parente dei Condello, chi era il picciotto dei Lo Giudice, chi era … E sono stati tutti assunti in questa maniera». Dichiarazioni confermate dalle inchieste Leonia ed Archi Astrea, come dalla relazione della commissione d’accesso al Comune di Reggio Calabria, che ha indotto il Viminale a sciogliere l’amministrazione comunale per “contiguità mafiose”.
LE CONFERME DI MARINO Circostanze confermate anche da un altro pentito, Marco Marino. Nel 2007, il collaboratore era stato contattato da un uomo del clan Serraino, perché sospettato di essere l’autore di un danneggiamento subito da Caridi, che in quell’anno si ritrovò il portone di casa crivellato di colpi. Marino nulla aveva a che vedere con la questione, ma quella conversazione – spiega ai magistrati – è stata occasione per apprendere della vicinanza dei clan di Archi a Caridi, come della notevole influenza che il politico avesse in Leonia. Per Marino, grazie al politico, considerato particolarmente quotato anche grazie alla posizione dello zio, Bruno Porcino, gli arcoti si erano assicurati il lavoro di lavaggio dei treni per le Ferrovie dello Stato. Per questo lo avevano sempre appoggiato e dopo il danneggiamento subito da Caridi coordinavano “le indagini”.
UOMO DI CHIRICO E ORAZIO Dichiarazioni che riscontrano quanto detto dagli altri collaboratori, ma di certo di minor portata rispetto a quelle del pentito Nino Fiume. Braccio destro dei fratelli Carmine e Peppe De Stefano, per lungo tempo considerato “uno di famiglia” perché fidanzato storico della sorella dei due boss, Giorgia, quando si è pentito, Fiume è stato in grado di rivelare in dettaglio i segreti di casa De Stefano. Incluso chi fossero i loro politici di riferimento. Caridi – mette a verbale – era uno di questi. Già dalle regionali del 2000, quando il politico era candidato nelle liste del Ccd– rivela il collaboratore c’erano famiglie mafiose che appoggiavano Caridi. Orazio De Stefano in persona, fratello di don Paolino e zio di Carmine e Peppe De Stefano, aveva dato indicazioni di voto per lui. Non a caso, la sera dello spoglio, aveva atteso i risultati – poi infausti – insieme a Franco Chirico, cognato dei boss De Stefano. Era proprio lui – aggiunge Fiume – il suo punto di riferimento all’interno del clan, ma anche l’uomo in grado di procurargli voti anche fra le famiglie di Africo, paese (e clan) d’origine della moglie. E che fossero voti di ‘ndrangheta – spiega Fiume – Caridi lo sapeva perfettamente, come era conoscenza del fatto che Chirico fosse uomo di Orazio De Stefano. I voti di Archi facevano gola al politico, tanto da lagnarsi con Fiume a qualche mese di distanza dall’infausto risultato delle urne.
«MI HAI DISTRUTTO» È successo in occasione di un concorso di bellezza ospitato all’oasi di Pentimele, che vedeva fra i giurati tanto il pentito, come Caridi. «Si, Toto’. Bene. Dice, “mi hai distrutto” dice, “perchè?” E io gli ho detto “scusa avevamo preso accordi, avevi preso accordi con qualcuno tu?” Dice “no” … “e allora che ti ho distrutto. Io ho appoggiato Scopelliti e lo sanno tutti. Perchè pure lui ce l’aveva
con me che gli avevo tolto i voti». Probabilmente – spiega – a dargli fastidio era stato il “lavoro” elettorale di Fiume a Melito. Lì, racconta il collaboratore «Scopelliti aveva una base di 30 – 40 voti da un medico suo conoscente – lo chiamava camerata – mentre io invece, nonostante in quella zona i consensi più alti erano prospettati per Antonio Caridi e per Mimmo Crea, riuscii a tirare fuori quasi 200 voti tra Melito, Bagaladi, San Lorenzo e Condofuri; in questa “impresa” mi aiutò Salvatore Spinella (dei Supermercati Spinella), Renzo Mangiola di Condofuri, il sarto Oliveri di Melito, più un gruppo di una decina di camionisti che lavoravano per me».
«CARIDI LO PORTANO I TEGANO»In quella zona però, il ras delle preferenze è rimasto Caridi, come involontariamente confermato da Giuseppe Pansera, genero di Giuseppe Morabito che – intercettato dice «questa candidatura CARIDI a Melito prende 400 dai 350 ai 500 voti … te la vuoi giocare la scommessa … dai 350 ai 500 voti e stai tranquillo che non glieli dò io vedi che li prende intanto … quando gli mando l’imbasciata lo votano tutti gli Iamonte … dici ma non hanno assai voti … votano tutti gli Iamonte». Del medesimo tenore, le parole “rubate” ascoltando Pasquale Brancati ««Toto Caridi … se lo prendono perché ci sono i Tegano che lo portano a lui … eh, eh … capisci?»
FALCOMATA’ VADA VIA Alle comunali di Reggio invece, il preferito dei clan di Archi era l’aspirante sindaco Giuseppe Scopelliti, ma anche Caridi era della partita . Lo conferma Giovambattista Fracapane, che ai magistrati racconta «mi ricordo che alle votazioni sapevo sempre che loro ai De Stefano gli interessava sempre che se ne andava Falcomatà». Il clan – aggiunge «con la destra aveva una sua amicizia no, che sicuramente qualche lavoro lo prendeva, col pizzo l’ha preso». Per questo, ricostruiscono i magistrati, quando si è candidato Scopelliti erano tutti con lui. Ma in casa De Stefano, aggiunge il collaboratore «sentivo sempre il nome di Caridi io Caridi diciamo … consigliere non so».
IL REGISTA Morto Falcomatà, nel 2002 vero regista della vittoria di Scopelliti – ha svelato l’inchiesta Mammasantissima – è stato l’avvocato Paolo Romeo, che attorno al neosindaco ha schierato una vera e propria cintura protettiva di assessori e consiglieri. Ovviamente, Caridi, campioncino di preferenze e subito nominato assessore, era della partita. Ma a quel gruppo di pretoriani, Romeo ha iniziato a lavorarci ben prima delle elezioni. Fin da quando, rivelano le conversazioni intercettate, insieme a Caridi progettava la lista che l’Udc avrebbe dovuto presentare per quelle consultazioni, in modo da conquistare posti di potere.
IL PERCORSO «Tu – spiegava a Caridi ben prima dell’appuntamento con le urne – hai l’esigenza attraverso questa collocazione nella istituzione …» in quanto essa avrebbe potuto determinare la trasformazione «… da soggetto che ha un grande consenso, di trasformarti in un soggetto che ha … incomprensibile … e capacità di governo, tu hai questa esigenza di prenderti quest’altra patente perché tu oggi hai la patente di uno che sa raccogliere voti alla grande … ma non basta … no, non è solo l’elettorato da tenere perché gli devi dare qualche cosa … che … che si crei l’identikit, l’immagine di uno che matura anche nella … dimostrando di avere le capacità di governo». Una questione – spiegava Romeo – da definire insieme a Umberto Pirilli, Giuseppe Valentino e Alberto Sarra. Ma che a detta dell’avvocato, non avrebbe incontrato ostacoli. «Siccome io sono convinto che Totò queste capacità le ha … ti dico quando si tratta di grande aggregazione questo è un percorso possibile da prendere … chiudiamola questa parentesi».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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