REGGIO CALABRIA Una piovra con testa a Cittanova e tentacoli imprenditoriali in tutto il Nord Italia. Un’organizzazione ramificata, in grado di mettere al proprio servizio deputati e senatori, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali. Questo avevano costruito dopo gli anni delle faide i Raso-Gullace-Albanese e Parrello-Gagliostro fra la Calabria e la Liguria, andando ad infettare poi tutto il Nord Italia. Questo hanno smantellato oggi gli uomini della Squadra Mobile di Reggio Calabria e Genova, coordinate dallo Sco di Roma, come i centri Dia delle stessa città. Per il Questore reggino Raffaele Grassi, è «un nuovo goal della squadra Stato contro la ‘ndrangheta» che ha fatto finire in manette 34 persone e 6 ai domiciliari.
NUOVE ACCUSE CONTRO CARIDI Per i magistrati, sono tutti affiliati o vicini ai clan della Piana di Gioia Tauro, ma da tempo radicate anche nel ponente Ligure, ma con ottimi agganci anche nella Capitale e in Parlamento. Anche i clan di Cittanova e Palmi potevano contare sul senatore di Gal, Antonio Caridi, per il quale già qualche giorno fa il pm Giuseppe Lombardo della Dda di Reggio ha chiesto l’arresto, perché coinvolto nell’operazione che ha svelato la cupola massonico-mafiosa che governa la ‘ndrangheta. Caridi – è emerso in quell’indagine – sarebbe strumento forgiato dalla cupola per infiltrare le istituzione, per questo viene identificato senza problemi anche dai clan della Piana, come referente.
STRUMENTO DELLA ‘NDRANGHETA UNITARIA «Un ruolo francamente preoccupante» ammette Federico Cafiero de Raho, che sottoscrive l’interpretazione data dal gip per armonizzare il provvedimento con quanto già emerso a carico di Caridi. Per il giudice Barbara Bennato è «miope e riduttivo» immaginare che il senatore sia semplicemente uomo dei Raso – Gullace. Al pari dei broker della droga, presta i suoi servigi a tutti i clan e tutti i clan sollecitati rispondono all’appello quando si tratta di sostenere il politico alle elezioni. «Nel caso delle regionali del 2010 – spiega il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Gaetano Paci – gli uomini del clan hanno usato metodi da manuale dello scambio elettorale politico mafioso, arrivando a minacciare i dipendenti delle loro imprese di licenziamento se loro e le loro famiglie non avessero votato Caridi. E lui lo sapeva».
LA TENTATA CORRUZIONE DI GALATI Tramite lui, i Raso Gullace hanno tentato di agganciare anche altri politici. È il caso del deputato del Gruppo Misto Giuseppe Galati, per il quale la Dda aveva chiesto l’arresto per corruzione aggravata dalle modalità mafiose, negato dal gip Bennato per mancanza di un quadro indiziario sufficientemente solido e attuale. Insieme a Caridi è stato infatti più volte sorpreso a chiacchierare con Girolamo Raso, oggi deceduto, che da lui pretendeva una mano per sbloccare i lavori nel Parco Naturale Decima Malafede, a Roma, eseguiti in zona vincolata. In più, Raso avrebbe chiesto a Galati una mano per ramazzare appalti e lavori per il trasporto pubblico e per lo smaltimento rifiuti nella capitale. Richieste documentate, ma per le quali non c’è prova che il parlamentare abbia ottenuto denaro o utilità.
GUAI PER D’AGOSTINO Galati rimane iscritto sul registro degli indagati al pari del vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco D’Agostino. Il patron di Stocco&Stocco, catapultato in consiglio regionale da 7.900 preferenze è stato perquisito questa mattina all’alba dagli uomini della Dia. Per i magistrati della Dda è “una delle pedine di cui si servivano i clan per portare a termine i loro affari”. Su di lui, gli accertamenti sono ancora in corso. Ma non è il solo. Indagini e accertamenti sono in corso su molti amministratori locali, liguri e non solo, che si sono mostrati sensibili alle richieste dei clan. «Le intercettazioni – spiega il procuratore Gaetano Paci – mostrano un quadro desolante. Gli imprenditori con cui i Raso Gullace e i Parrello Gagliostro erano in contatto, avevano rapporti e relazioni con numerosi amministratori pubblici e si prodigavano per favorire i clan».
SOLDI PER I “SÌ TAV” Sempre dettato dal volere e dai finanziamenti dei clan era l’attivismo di molti dei comitati “Si Tav”, pagati dai Raso Gullace per sostenere a livello politico e sociale la grande opera. Sinonimo di cantieri, appalti e lavori, la variante del Terzo Valico è divenuta preda dei clan, che hanno monopolizzato il movimento terra grazie a compiacenti subappalti. Ma questo non era certo il loro unico campo di attività.
UN IMPERO COMMERCIALE Dagli investimenti immobiliari in Costa Azzurra, Canarie e Brasile agli agriturismi, dal movimento terra alla commercializzazione di prodotti alimentari contraffatti, i tentacoli imprenditoriali dei due clan si estendevano nei settori più diversi ed avevano trovato sede in tutto il Nord Italia. Un lavoro minuzioso, coordinato dalla Dia e illustrato in dettaglio dal capo centro di Reggio, Gaetano Scillia, che ha permesso di scoprire anche come i clan gestissero numerose ditte di igiene ambientale e industriale che hanno finito per lavorare in subappalto anche per “Poste Italiane S.p.a.” e “Alleanza Assicurazioni S.p.a.”
SPECIALIZZAZIONE «I clan hanno dimostrato di sapersi proiettare in tutto il Nord Italia, sviluppando interessi economici diversi. Dall’indagine sono emersi gli interessi dei clan in decine di imprese, attive non solo nel classico settore del movimento terra, ma anche in quelli ad alta tecnologia e specializzazione, come quello della produzione delle lampade a Led. Abbiamo scoperto anche che tramite le loro ditte gestivano importazioni di prodotti alimentari dalla Cina, poi rivenduti in Lombardia e in Francia con marchi contraffatti». Tutte società e imprese finite sotto sequestro insieme a beni mobili, immobili, depositi bancari per un valore complessivo stimabile in circa 40 milioni di euro.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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