Ultimo aggiornamento alle 20:57
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 6 minuti
Cambia colore:
 

FRONTIERA | Impigliati all'amo di Muto

COSENZA Anche i pescatori erano di «sua proprietà». Da sempre il “re del pesce”, a Cetraro e sulla cosca tirrenica cosentina, gestiva tutto il pescato. Tutto ciò era possibile anche per la mancanza…

Pubblicato il: 19/07/2016 – 16:23
FRONTIERA | Impigliati all'amo di Muto

COSENZA Anche i pescatori erano di «sua proprietà». Da sempre il “re del pesce”, a Cetraro e sulla cosca tirrenica cosentina, gestiva tutto il pescato. Tutto ciò era possibile anche per la mancanza di un’asta che contraddistingue il porto cetrarese. Il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Vincenzo Luberto, lo ha ribadito più volte nel corso della conferenza stampa dell’operazione “Frontiera”, che ha inferto un duro colpo al clan Muto. E dell’assenza dell’asta parlano anche i magistrati nella richiesta di misura cautelare.

L’ASTA DEL PESCATO INESISTENTE I carabinieri del Ros di Salerno, nel corso delle indagini, hanno ascoltato il responsabile del VI settore dei lavori pubblici del Comune di Cetraro, il 2 marzo del 2016, il quale ha affermato che, per il tramite di finanziamenti comunitari il Comune di Cetraro ha edificato, al porto, un manufatto da adibire ad asta del pescato che è stato collaudato il 4 marzo del 2014. Ma solo lo scorso gennaio è stato pubblicato un avviso di manifestazione di interesse finalizzato alla gestione dell’asta del pesce per il quale non è pervenuta nessuna istanza.
«A conferma dell’attuale inoperatività dell’immobile realizzato sull’area portuale di Cetraro – scrivono i magistrati della Dda – da adibire a centro per il mercato ittico, si evidenzia che, già in data 14.05.2015, il personale della Sezione A.C. di Salerno, nel corso di sopralluoghi effettuati a Cetraro, per l’individuazione di esercizi commerciali riconducibili a Francesco Muto, verificava che il manufatto in esame era chiuso e non frequentato. All’interno del porto viene notato un immobile, con tre porte-finestre sul davanti con vetri trasparenti, riportante sul muro perimetrale frontale l’insegna: “Mercato ittico”. Si da atto che da una verifica visuale eseguita sul posto emergeva chiaramente che il locale era in disuso da lungo tempo».
La Sezione Anticrimine di Salerno realizzava un servizio di videosorveglianza continuata sull’area portuale di Cetraro, potendo constatare che il manufatto era sempre chiuso e non vi si svolgeva alcuna attività.

MUTO DECIDE QUANDO USCIRE IN MARE Dalle indagini (e in particolare dalle intercettazioni telefoniche e ambientali) è emerso chiaramente come «i pescatori non hanno nessuna autonomia, non solo non posso cercare acquirenti ulteriori rispetto all’Eurofish (l’azienda che fa capo alla cosca, ndr) e possono “uscire” in mare solo quando i Muto sono nelle condizioni di rivendere il pescato. Gli stessi pescatori non hanno alcuna possibilità di contrattare il prezzo del pescato che viene imposto loro dagli uomini di Muto. Inoltre, i pescatori dipendono dai Muto per quanto riguarda le forniture di ghiaccio che è essenziale per una prima conservazione del pescato». Tutto ciò i carabinieri del Ros lo riescono a sapere sia visionando le immagini di videosorveglianza che le conversazioni captate.
Emblematico un dialogo tra Pier Matteo Forestiero (che telefona con una scheda intestata all’impresa Eurofish di Andrea Orsino), e il proprietario di un peschereccio. Forestiero chiama un pescatore, quest’ultimo gli dice che è maltempo e stanno “tirando”, Matteo risponde di lasciare tutto a bordo perché poi andranno a prendere le reti. In un’altra conversazione, del 26 giugno 2015, è sempre Forestiero a chiamare un pescatore, che era appena rientrato: quest’ultimo gli dice di mandargli qualcuno al porto per caricare il pesce e portarlo alla cosca. «Quello che stupisce da queste prime due conversazioni – mettono nero su bianco i magistrati – è che i pescatori si limitano a segnalare il rientro al porto e a chiamare gli uomini di Muto per scaricare il pescato senza precisare la quantità e la qualità del pescato stesso». In altre intercettazioni, invece, emerge come i pescatori indicano anche la quantità del pescato: uno di loro chiama sempre Forestieri e gli chiede un «camion al porto», specificando «di avere circa 15 pesci di taglio piccolo.
È il 30 giugno di un anno fa quando un operatore marittimo chiama gli uomini di Franco Muto e «dice che stanno rientrando con 70 casse e che alle 14 sarebbero rientrati in porto. Forestiero gli conferma di mettere il pescato nelle celle frigo e che alle 16 avrebbe mandato gli operai a caricare». Un altro operatore riferisce a Forestiero di aver preso circa «800 casse di pesce e che gli servono ghiaccio e cassette». I due, dopo un’oretta, si incontrano. I pescatori sono totalmente sotto il giogo della cosca. Un pescatore telefona a Forestiero e gli dice «di aver “calato” e di aver preso 70-80 casse e gli chiede se li dovesse utilizzare per la vendita giornaliera e\o se dovesse continuare l’attività di pesca. Forestiero gli dice di rientrare e di non importarsi delle altre barche. Lui precisa che alle 3 sarebbe rientrato in porto».

SE SI «SALTAVA EUROFISH» Il 2 luglio del 2015 Forestiero «telefonava a un tale Antonello con il quale parlava del fatto che un tale Andrea aveva venduto in modo diretto del pescato. Antonello cercava di difendere Andrea che era stato costretto a “saltare” l’Eurofish in quanto aveva “preso” solo poche spatole che avrebbe dovuto rivendere al dettaglio per spuntare un prezzo appena sufficiente a coprire le spese: (… “se non le vende a 20 euro non è che ci rientra con le spese che si guadagna 30-40-50 euro. Questo si sta guadagnando…”. Nella parte finale del colloquio, Forestieri, dopo ulteriori rimostranze, programmava un incontro anche al fine di ottenere maggiori chiarimenti».
«Che i pescatori debbano consegnare tutto il pescato agli uomini di Muto è un fatto notorio quanto annoso», scrivono gli inquirenti. In una conversazione intercettata, si faceva riferimento a Franco Muto «che, sarcasticamente, additavano come persona buona e brava, affermando che i pescatori locali erano obbligati a consegnargli tutto il pescato che poi veniva rivenduto a tutti i ristoranti e ai rivenditori persino agli ambulanti “…anche quelli con i tre ruote…”.: “…Tu pensa che lui vende il pesce da Maratea fino a Scalea… solo! Tutti i pescherecci che vedi là dentro devono portare tutti quanti il pescato qua la sera!…”». Il 4 agosto del 2015 veniva registrata una conversazione «di estremo rilevo», nella quale Forestiero rimproverava un pescatore e gli intimava di presentarsi all’Eurofish o, comunque, di mandare il nipote. Si capisce che il pescatore aveva venduto in modo diretto del pesce. E lui stesso si giustificava dicendo che «aveva effettuato una calata per prendere solo pochi gamberoni».
Da altre intercettazioni, è emerso che a volte quando i pescatori prendevano un quantitativo di pesce superiore o diverso da quello richiesto dal clan erano costretti «a buttarlo a mare», non potendolo vendere direttamente e nemmeno poterlo mangiare in famiglia perché anche il pesce era solo “cosa loro”.

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x