COSENZA Sradicare il clan dalla Eurofish, società in mano alla cosca Muto che si occupava di commercio all’ingrosso i prodotti ittici freschi e congelati, era diventata impresa impossibile. I provvedimenti di confisca venivano elusi e nonostante Francesco Muto, Andrea Orsino e Piermatteo Forestiero fossero stati interdetti dall’inserirsi nell’amministrazione dell’azienda, la gestivano come se niente fosse, continuando a imporre il loro dominio criminale sul mercato del pesce «reclutando la manodopera, imponendo ai pescatori di rifornirsi esclusivamente da loro, e tenevano i rapporti con gli acquirenti di pescato». Questa tracotanza era tenuta in piedi, secondo i magistrati inquirenti, anche grazie all’aiuto di quattro pubblici ufficiali, quattro amministratori giudiziari nominati dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro. Si tratta di Giuseppe Nicola Bosco, Gennaro Brescia, Gianluca Caprino e Salvatore Baldino che sono indagati a piede libero per avere aiutato a eludere il provvedimento di confisca della società. Nei loro confronti la Procura di Catanzaro aveva chiesto la misura interdittiva che è stata respinta dal gip. Secondo quanto emerge nella richiesta di misura cautelare vergata dai magistrati Pierpaolo Bruni, Alessandro Prontera, e dagli aggiunti Vincenzo Luberto e Giovanni Bombardieri, i quattro amministratori giudiziari omettevano di denunciare le ingerenze nella gestione dell’impresa di Franco Muto, Orsino e Forestiero. Non solo. Avrebbero rivelato al custode giudiziario che era “controllato” dalla Procura di Catanzaro che stava indagando sull’elusione del provvedimento di confisca.
IL POTERE NELLA GESTIONE DEL PESCE Ma la Eurofish era la gallina dalle uova d’oro del clan, il simbolo del potere dei Muto su tutto il territorio. E lo scettro non poteva essere mollato. «Tutti i pescatori devono consegnare il pesce agli uomini di Muto che lo stoccano nei locali di via Nazionale di Cetraro, dove, al piano terra di una palazzina, abitata dai familiari di Franco Muto, sono allocate le celle frigorifero da cui il prodotto riparte per rifornire mercati sempre più estesi», scrivono i magistrati. Ma questo è il segreto di Pulcinella perché, come ricostruito nelle indagini, già nel 1987, i giudici della corte d’Appello di Bari nel condannare Franco Muto per associazione per delinquere semplice «verificarono la sua posizione monopolistica nel mercato del pesce». E nonostante nel processo Azimut Franco Muto e Piermatteo Forestiero fossero stati condannati «per avere monopolizzato ‘ndranghetiscamente l’offerta di pescato, continuano a gestire il mercato del pesce. Eppure, almeno a partire dal 1993, l’azienda dei Muto cioè le celle frigorifero di via Nazionale, sono state sequestrate ai sensi dell’art. 12 sexies D.L. 152/1991». Il potere di intimidazione del clan non tende a sbiadire neanche nel 2006, quando Angelina Corsanto sostituisce il marito Franco Muto negli affari sul pescato. Il tribunale di Paola non può fare a meno di constatare che il percorso dei pescatori non cambia di una virgola: il pesce andava a finire, senza nessuna contrattazione, sempre e solo dai Muto in via Nazionale. Un percorso obbligato che nemmeno i provvedimenti di confisca riuscivano a far deviare, anche, stando alle indagini, grazie alla complicità degli amministratori giudiziari.
NUOVI AMMINISTRATORI Nonostante la misura interdittiva nei confronti dei quattro pubblici ufficiali sia stata respinta dal gip, il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa ha affermato: «Quegli amministratori giudiziari non lavoreranno più per noi e per nessuna Procura. E anche se il gip ha rigettato la nostra richiesta noi faremo appello». Inoltre, nel corso della giornata ha comunicato che già da oggi saranno nominati nuovi amministratori.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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