GIZZERIA La diagnosi di Legambiente è perentoria: il mare calabrese è malato. Lo testimoniano soprattutto i dati che Goletta verde ha raccolto nel mese di luglio e che evidenziano come il 75% dei siti analizzati sia ben oltre i parametri consentiti. Una situazione che non sembra differire dai risultati degli anni precedenti, dove alcune zone presentano gli stessi risultati di inquinamento addirittura da 7 anni.
Nello specifico dell’attività di monitoraggio, sono stati presi in esame 24 località: 6 nella provincia di Reggio Calabria e 6 in quella di Vibo, 5 nella provincia di Cosenza, 3 nel catanzarese e 4 della provincia di Crotone. I luoghi sono stati scelti non solo per la loro valenza turistica e con un alto flusso di bagnanti, come Pizzo, Isola Capo Rizzuto o Caminia, ma in particolare come punti critici poiché in prossimità di foci di fiumi, torrenti o canali. Di queste ben 18 sono oltre i limiti della normativa, in alcuni casi superati anche del doppio. Tra questi Reggio Calabria, il lungomare Cenide di Villa San Giovanni e Villapiana considerati “fortemente inquinati”.
Legambiente, che in questo monitoraggio non vuole sostituirsi all’Arpacal, vuole offrire importanti spunti di riflessioni per i cittadini ma soprattutto per le istituzioni regionali che devono dare priorità assoluta al problema degli impianti di depurazione. «La Giunta deve mettere la questione in primo piano, perché la condizione in cui versa il mare calabrese sta recando un danno turistico e di immagine – ha affermato Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente -. Ma è un danno anche per le attività economiche delle zone balneari, come hanno dimostrato gli abitanti di Nicotera nei giorni scorsi».
Lo stesso Minutolo tiene a precisare come il problema in Calabria è evidenziato anche a livello internazionale. Infatti, nella terza procedura di infrazione aperta nei confronti dell’Italia da parte dell’Unione europea, sono compresi anche «130 agglomerati calabresi, il 62% del totale regionale, per un totale di 1,3 milioni di abitati equivalenti». Numeri allarmanti, a cui se ne va ad aggiungere un altro ben più grave: 38 milioni di euro è la cifra che la regione Calabria deve sborsare per gli interventi di adeguamento richiesti. Ma altro al danno anche la beffa. Perché, come spiegato durante la conferenza stampa, i fondi necessari per la messa in regola degli impianti erano disponibili ma sono andati in fumo per la mancanza di progetti concreti.
Il problema dell’inquinamento e in particolar modo degli impianti di depurazione secondo Luigi Sabati, direttore di Legambiente Calabria, non dipende soltanto dalle amministrazioni di cui fa parte la località interessata ma lo è anche dei comuni circostanti. «Nel depuratore del comune costiero confluiscono tutte le inefficienze dei comuni collinari che si collegano allo stesso», spiega Sabatini che porta anche l’esempio di come molti depuratori vengono considerati efficienti dalle stesse amministrazioni perché conformi alle normative, ma che nello specifico non illustrano le modalità di smaltimento dei fanghi nei depuratori stessi. È proprio sulla questione di come vengono smaltiti i fanghi e dove vanno a finire che c’è una scarsa conoscenza e sopratutto dati scarsi e poco attendibili.
Infine, altro dato negativo riguarda la cartellonistica e le informazioni sullo stato delle spiagge e delle acque. Infatti, molti dei tratti presi in esame e poi risultati essere oltre i limiti di legge, non presentavano gli specifici pannelli con tutte le informazioni utili sullo stato dell’acqua.
Adelia Pantano
redazione@corrierecal.it
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