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Ciò che lo Stato non ha saputo (o voluto) fare a Reggio

Questo articolo dello storico, politico e docente universitario Nicola Tranfaglia è stato pubblicato questa mattina sul Fatto Quotidiano. È un’analisi impietosa dell’impasse dello Stato davanti all…

Pubblicato il: 21/07/2016 – 7:37
Ciò che lo Stato non ha saputo (o voluto) fare a Reggio

Questo articolo dello storico, politico e docente universitario Nicola Tranfaglia è stato pubblicato questa mattina sul Fatto Quotidiano. È un’analisi impietosa dell’impasse dello Stato davanti allo strapotere dei clan che, a Reggio Calabria, hanno condizionato la macchina del Comune.

Poco più di due anni fa, il 28 aprile 2014, il dirigente del Comune reggino che è al centro dell’inchiesta della Procura antimafia in corso nel capoluogo calabrese e si chiama Marcello Cammera, è rimasto al suo posto dopo che il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. «Dal primo gennaio 2010 al 28 marzo 2012 – ha detto la presidente della commissione antimafia, Bindi – tutti i lavori del Comune sono stati affidati o con trattativa privata o con affidamento diretto». Solo 45 su 254 con procedura aperta. Dei lavori a trattativa privata, 132 su 254, il 52% viene affidato a imprese locali mafiose. Dei lavori con affidamento diretto, 76 su 254, il 30% è stato aggiudicato a ditte mafiose.
Con questa introduzione ha inizio il confronto con i commissari, cui viene posta la prima domanda: «Chi era il dirigente che, in questo lasso temporale, ha assegnato praticamente tutti i lavori o a trattativa privata o ad affidamento diretto e sono andati ad aziende mafiose? Questo signore ha una funzione dirigenziale dentro il Comune?». La presidente si riferiva a Marcello Cammera, il regista della cricca segreta di Reggio. Che fino all’altro ieri smistava appalti: il ruolo che ricopriva nell’ufficio Lavori pubblici del Comune era strategico per il “comitato d’affari” del clan, ed è finito nell’inchiesta “Reghion” della Procura antimafia che ha portato all’incriminazione di dieci persone con accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d’asta e corruzione.
L’indagine rappresenta il seguito della indagine “Fata Morgana” che ha inchiodato l’ex parlamentare del Psdi e avvocato con un passato nella destra eversiva, Paolo Romeo, una figura centrale nelle dinamiche criminali cittadine, del passato e del presente. Nel suo curriculum c’è già un timbro che certifica la complicità con le ‘ndrine più potenti della città sullo Stretto. Romeo è il perno di un’associazione segreta, ipotizzata dai magistrati, che cammina in parallelo con la ‘ndrangheta. Un’associazione che sostiene i boss e da questi trae forza vitale. 
Di questo gruppo “riservato” Cammera è il dirigente comunale di punta, da lui dipendono le scelte sui cantieri, i pagamenti alle imprese coinvolte, le autorizzazioni e tutte quelle incombenze che fanno capo all’ufficio dove da tempo lavora. Perciò – secondo i pm – l’adesione al progetto criminale è «consapevole». Per questo motivo quando i «soci del cosiddetto comitato» vengono informati che la commissione della Bindi esige che i commissari prefettizi del Comune gli tolgano quel ruolo, vanno in fibrillazione. Così si muove Paolo Romeo che sfrutta la sua conoscenza con Teresa Munari (ora tra gli indagati) de Il Garantista. L’obiettivo è quello di riabilitare l’immagine di Cammera e convincere l’Antimafia a far marcia indietro.
Munari contatta Angela Napoli (luglio 2014), simbolo della lotta ai clan in Calabria, ex deputata e ora consulente della Commissione Antimafia. Ma la Bindi insiste e chiede di procedere alla rimozione del professionista. E usa parole molto dure. «Se un dirigente fa questi affidamenti diretti, anche se di fronte alla magistratura risulta incensurato, al suo posto non può rimanere». Nel frattempo Reggio va al voto e vince Giuseppe Falcomatà che, con la nuova e giovane assessora (vittima di intimidazioni) Angela Marcianò riuscirà laddove i commissari prefettizi hanno fallito. Per di più, quando uno di loro, Gaetano Chiusolo, è in contatto proprio con Cammera che aveva inviato una relazione sperando di essere graziato. Un atteggiamento opposto a quello che aveva promesso quando Chiusolo, interpellato dalla commissione Antimafia aveva scritto: «L’iter di sostituzione è stato avviato». Questi sembrano i nuovi misteri dello Stretto. E dimostrano che in un ambiente nel quale la presenza mafiosa è così forte e diffusa è impossibile intervenire ristabilendo la legalità e la difesa dei principi costituzionali.

Nicola Tranfaglia

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