REGGIO CALABRIA È arrivata al termine di una camera di consiglio conclusasi solo attorno all’una di notte la sentenza del processo Leonia. Il Tribunale presieduto dal giudice Giovanna Sergi ha confermato in pieno l’impianto dell’inchiesta del pm Giuseppe Lombardo, che ha svelato come il clan Fontana fin dal 2002 abbia preso in mano la Leonia, su mandato del direttorio di clan divenuto espressione della trasformazione della ‘ndrangheta in città. Per questo, su tutti gli uomini del clan Fontana sono piovute condanne pesantissime.
LE CONDANNE La pena più alta va al boss Giovanni Fontana, punito con 23 anni e 6 mesi di carcere, mentre 16 anni e 6 mesi di detenzione sono andati al figlio Antonino Fontana. È invece di 15 anni e 6 mesi la condanna inflitta all’ex direttore operativo della Leonia, Bruno De Caria, considerato dagli inquirenti l’indispensabile elemento che ha tecnicamente permesso ai clan di prendersi la municipalizzata. Dodici anni e sei mesi sono andati invece a Giuseppe Carmelo Fontana e Francesco Fontana, mentre è di 11 anni e 10 mesi la pena inflitta a Giandomenico Fontana. Ma pene severe arrivano anche per Giuseppe Palizzotto, punito con 4 anni e 6 mesi, e Giuseppina Suraci, condannata a 3 anni e 8 mesi. Due anni e 8 mesi di carcere vanno invece a Eufemia Maria Sinicropi, mentre è di 2 anni con pena sospesa la punizione decisa per Giuseppe Scaturchio. Un anno e sei mesi ciascuno, ma con pena sospesa rimediano Andrea Antonio Galimi e Giorgio Stiriti, mentre è di 1 anno con pena sospesa la condanna decisa per Paolo Laganà e di 6 mesi quella inflitta a Domenico Siclari.
ASSOLUZIONI Come chiesto dalla pubblica accusa sono stati assolti Rosalba Di Cristina, Cristofaro Marra, e Antonio Scuncia, tutti accusati di diversi episodi di truffa e peculato, per i quali – è stato chiarito in sede di requisitoria – non è stata raggiunta «una convincente formazione della prova».
RISARCIMENTI Il tribunale ha anche condannato tutti gli imputati a risarcire il Comune e la Provincia di Reggio Calabria, la Regione, la Leonia, la Presidenza del Consiglio dei ministri. Quanto dovranno versare gli imputati per ripagare enti e società del danno arrecato sarà un altro giudizio a definirlo. Nel frattempo però il boss Fontana, i suoi parenti, i suoi uomini e chi al suo sistema si è piegato, sarà obbligato a versare una provvisionale pari a 150mila euro ciascuno a Palazzo San Giorgio e alla società, più 20mila euro per la presidenza del Consiglio dei ministri.
IL SISTEMA Così ha deciso il tribunale, non solo confermando in pieno l’impianto accusatorio messo insieme dal pm Lombardo, che lo ha sostenuto in dibattimento insieme al collega Rosario Ferracane, ma dando visto buono a una ricostruzione di sistema avviata con Meta e che oggi prosegue di indagine in indagine. Un mosaico terrificante, che mostra la ‘ndrangheta nuova in tutta la sua potenza e pervasività e spiega come i clan abbiano superato le guerre in nome dei comuni affari, riuscendo ad imporre una dittatura basata un’unitarietà che è operativa ancor prima che strutturale. Un regime in cui tutto è mirato al profitto, non solo economico o finanziario. Perché la moneta della ‘ndrangheta nuova è il potere, capitalizzato in contatti, relazioni, occasioni che hanno portato le ‘ndrine nel cuore dello Stato, della finanza, dell’economia, della politica.
LA SCACCHIERA MUNICIPALIZZATE È questo – hanno spiegato i pm Lombardo e Ferracane ed ha dimostrato l’inchiesta – il mondo di cui il boss Giovanni Fontana, i suoi figli, i suoi uomini fanno parte. Non sono altro che un ingranaggio montato – in un determinato momento storico, in un determinato contesto sociale – per far funzionare un sistema. Ed è la viva voce della ‘ndrangheta a raccontarlo. Le ‘ndrine parlano per bocca del boss Mico Libri, il custode delle regole al termine della guerra di ‘ndrangheta, sorpreso a parlare con un giovanissimo – e rampante – Matteo Alampi. Il giovane imprenditore informa lo storico boss su come sia stata organizzata la spartizione delle nascenti municipalizzate e il custode prende atto. Perché lui, insieme ai De Stefano, ai Tegano, ai Condello ha forgiato il sistema in cui quella spartizione è stata concepita. E le regole sono state rispettate.
NUOVO FRONTE Le medesime che hanno imposto che i Fontana ricevessero la Leonia per compensare lo sfratto da Archi, territorio perduto a causa degli atteggiamenti ambigui durante la guerra. Le medesime che hanno costretto i Fontana a piegarsi a una rinegoziazione dell’accordo e a una cessione dei profitti, quando la Leonia si è dimostrata un affare fin troppo conveniente. Soprattutto dal punto di vista istituzionale e relazionale. Addentellati che adesso la Dda ha intenzione di svelare. Si è iniziato a farlo con l’inchiesta Mammasantissima, ma il lavoro è ancora lungo e complesso. «Giovanni Fontana – ha affermato il pm Lombardo nel corso della sua requisitoria, ha ragione, nella vicenda Ecoterm c’erano molta politica e molta pubblica amministrazione in quell’affre. E procederemo anche su quello».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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