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La Cupola di Romeo e gli appetiti sul Decreto Reggio

REGGIO CALABRIA Municipalizzate, lavori pubblici, Decreto Reggio. Sono questi i motivi che hanno spinto la Cupola a prendersi Palazzo San Giorgio. Ed è per questo che Paolo Romeo ha iniziato a tess…

Pubblicato il: 01/08/2016 – 14:59
La Cupola di Romeo e gli appetiti sul Decreto Reggio

REGGIO CALABRIA Municipalizzate, lavori pubblici, Decreto Reggio. Sono questi i motivi che hanno spinto la Cupola a prendersi Palazzo San Giorgio. Ed è per questo che Paolo Romeo ha iniziato a tessere la tela della vita amministrativa cittadina. Allo scopo, non bastava orientare su questo o quel politico i flussi elettorali. L’élite della ‘ndrangheta doveva avere la propria squadra di governo. E l’ha costruita.



IL SINDACO GIUSTO Un «cane da mandria» addestrato per obbedire. Un «servo sciocco» galvanizzato al punto da arringare le folle e impegnare i flash dei fotografi, ma sufficientemente malleabile per servire la causa senza protestare. Questo – a detta di Paolo Romeo – doveva essere il sindaco di Reggio Calabria. E per questo – svela l’inchiesta Mammasantissima – è stato scelto Giuseppe Scopelliti. Passato in pochi anni dalle curve agli assessorati, l’allora enfant prodige della destra reggina – secondo Antonio Franco, sorpreso a chiacchierare con Paolo Romeo – aveva alle spalle «Montesano, Benedetto, Foti», cioè i «padroni assoluti di tutti i pa… dei movimenti economici della città». Con loro – spiega il gip – l’avvocato Romeo ha stretto alleanza, al punto da convogliare l’elettorato mafioso su Scopelliti. Poco stimato da Romeo, ma ritenuto perfettamente controllabile, secondo quanto emerge nelle carte dell’inchiesta, era considerato la pedina perfetta da utilizzare per il primo passo di una manovra mirata a collocare esponenti politici legati alla cupola ad ogni livello, dal Comune al Parlamento italiano ed europeo.

OBIETTIVO MISTE Per Palazzo San Giorgio, Scopelliti era un «elemento indefettibile in un periodo storico in cui il Comune, in partnership con aggregati societari privati, ha dato vita alle società miste pubblico – privato». E questo per un motivo molto semplice: le miste – e le inchieste lo hanno dimostrato – sono state alla base di un patto che le ha trasformate in un salvadanaio per «componenti imprenditoriali ed economiche di promanazione mafiosa» che hanno accumulato milioni, sottratti alle risorse pubbliche, e in uno «dall’altro sono divenute strumento per condizionare il libero esercizio del voto» in occasione delle consultazioni elettorali.

C’È COZZUPOLI E C’È PINO A confermarlo è lo stesso Paolo Romeo, che rassicurava i suoi dicendo che Scopelliti avrebbe vinto di certo perché da un lato c’è «Cozzupoli che deve incassare delle somme… che praticamente è in uno stato di bisogno attualmente» mentre «dall’altro c’è Pino che… sta partecipando a queste gare per la esternalizzazione». Pino è il Rechichi, oggi condannato in via definitiva per associazione mafiosa, in passato direttore operativo della Multiservizi per conto dei clan. Cozzupoli invece è uno dei soci privati della municipalizzata, controllata anche dalle società Ingg. Demetrio, Pietro e Domenico Cozzupoli S.n.c e alla “Tibi 15 S.r.l.” dell’imprenditore Michelangelo Tibaldi.

I LAVORI PUBBLICI Ma la Multiservizi era solo uno dei gioiellini su cui Romeo progettava di mettere le mani. Insieme alla principale mista della città – all’epoca ancora in via di definizione – c’erano anche i lavori pubblici e le manutenzioni generali della città. Argomento di cui Romeo viene sorpreso a discutere con l’imprenditore di ‘ndrangheta Vincenzo Carriago, arrabbiato con Naccari perché, a suo dire, nonostante l’appoggio fornito in campagna elettorale, sarebbe stato tagliato fuori dai lavori pubblici. A Romeo, l’imprenditore – condannato come strumento dei clan – racconta di aver avuto un incontro con Naccari, durante il quale «mi ha preso e mi voleva fare una trattativa privata per un centinaio di milioni, gli ho detto io: “vedete che non ne ho bisogno”. Gli ho detto io: “oggi non ne ho bisogno! Prima di tutto…”, gli ho detto io, ” ho i mezzi a Palmi… secondariamente io non lavoro… non lavoro oggi!”. Gli ho detto io: “a me non me ne…” chiaro, chiaro gliel’ho detto, ” …a me non mi legate con i cento milioni… alla campagna elettorale perché”, gli ho detto io “ho una personalità e una serietà! E ho un nome e un cognome! E basta!”».

ME LA VEDO IO Carriago di sente usato e buttato via, perché – sostiene – veniva considerato «buono» solo quando la «buonanima di mio fratello che veniva per risolvervi i guai che avevate voi (Naccari) e vostro suocero (Falcomatà) vi facevamo i lavori… e gli dicevamo alle persone di lasciarvi in pace in quanto interessavate a noi». Una rabbia che Romeo non esita a capitalizzare. Rassicura Carriago, si rende disponibile a risolvere i suoi “problemi” e lo invita a fare un «passaggio» con Sarra e «in caso passa» anche da «Scopelliti».

IL BOTTINO DECRETO REGGIO Tocca invece a Candeloro Imbalzano – in seguito assessore comunale, poi consigliere regionale – illustrare a Matteo Alampi, di recente condannato a più di 17 anni di carcere, i benefici (e i danari) che sarebbero arrivati a Reggio Calabria con l’elezione di Giuseppe Scopelliti. Con lui – spiega Imbalzano – è previsto l’arrivo di «finanziamenti adeguati per la città … quindi sia quindi un sostegno … (inc.)… una parte del Governo centrale del finanziamento del Decreto … per esempio, ma non solo quello! Ci sono altre cose che verranno e … saranno anche cose grosse per questa città!». Poi c’è Agenda 2000 con le altre città e tutta una serie di altri finanziamenti che arriveranno nella Regione con la quale, per esperienza, per rapporti, per quello che è, lui ha un canale privilegiato». In più «Scopelliti – assicurava Imbalzano – come dicevo, è anche un’occasione di finanziamenti, di tutta una serie di operazioni che già sono in cantiere e che aspettano soltanto di partire».

INTERESSI ANTICHI Le «cose grosse» sono i finanziamenti del Decreto Reggio, da sempre nel mirino dei clan, come ha testimoniato alla fine degli anni Novanta il pentito Filippo Barreca, che ai magistrati che istruivano l’inchiesta Olimpia spiegava che «.in merito alla cupola che sovrintende alla ‘ndrangheta reggina. Detta cupola esiste dal gennaio 1991 e cioè da quando, per intervento anche dei siciliani… Anche i siciliani presero posizione nel senso che andava imposta la pace fra le cosche del reggino, essendo in gioco grossi interessi economici la cui realizzazione veniva compromessa da quella guerra. Mi riferisco al Ponte sullo stretto nonché alle opere pubbliche che dovevano essere appaltate su Reggio Calabria». Interessi perduranti nel tempo e che la nascente compagine di governo di destra si preoccupava di soddisfare.

LA PROMESSA Musica per le orecchie del boss Matteo Alampi, che di rimando, rispondeva «io è inutile che vi dico … noi campagna elettorale non ne portiamo e non ne facciamo, però state tranquillo che una mano, nei limiti, ve la diamo! Il messaggio l’abbiamo recepito e siamo a disposizione, vi diciamo: “In bocca al lupo!” …se ci lasciate un po’ di … di … piccolo materiale … oh! E poi noi facciamo la nostra … noi siamo proiettati, a me fa piacere se vince Peppe Scopelliti, ma per una questione di … come nostra … mentalità». E ancora «nelle ultime politiche con Falcomatà, l’accordo era votare lui», ma «ora siamo liberi! Ora ci votiamo il nostro sindaco… ci votiamo a Peppe che è il nostro sindaco e gli amici che compongono la squadra che lo sostengono, poi se ci dà una mano … perché l’intento è… è arrivato il sindaco … è naturale che noi abbiamo l’idea che alla fine possiamo avere un ritorno, la nostra forza è che in grazia di Dio, il ritorno ce l’abbiamo ad alti livelli, come dite voi!».

IL PIATTO RICCO Ma all’epoca, l’affare vero erano soprattutto le società miste. Un affare milionario, che la cupola non ha mai fatto mistero di voler regalare ai clan, come dimostrano le parole di Imbalzano, che – intercettato mentre parla con il boss Alampi – in cambio dell’appog
gio elettorale, mette sul piatto «operazioni che sono già in cantiere e che aspettano soltanto di partire». Business che fanno gola ai clan, che all’appuntamento si sono presentati per tempo, come dimostra l’ormai famosa conversazione fra Mico Libri, all’epoca in sorveglianza speciale a Prato, e Matteo Alampi.

LA SPARTIZIONE «Ci sono, là, cinque società miste – riferisce al boss – una per i tributi, una per l’acqua, una per i global service delle pulizie, un’altra mi pare per recuperare le buste, un’altra per l’ambiente». Anticipazioni perfettamente in linea con quello che verrà in seguito realizzato, perché già da allora a regia criminale. Al riguardo specificava Alampi, «dovete parlare con Pasquale Condello», ritenuto il dominus dell’operazione, dichiarando la propria disponibilità a interessarsi «a questo progetto». Un affare – spiegava Alampi – che sarebbe stato definito dopo le elezioni e non sarebbe andato bene se a vincere fosse stato Naccari, perché già nel recente passato aveva tagliato fuori i clan da una manutenzione.

L’AZIENDA “FORESTIERA” Per ordine di Condello, Libri ea stato informato, ma il progetto – spiegava Alampi – andava avanti da tempo, tanto che della cosa si stava già interessando il nipote del superboss, Andrea Vazzana, il quale aveva saputo dal vicesindaco che «devono chiamare quattro ditte! L’impegno è di vedere se resta la società, se noi riusciamo, che è una società Comunale, un’azienda di un Comune del nord che entrerà nel consiglio di amministrazione lo aggiriamo e poi dal di fuori con degli amici che io ho uno che è amministratore, noi interveniamo». Una condizione essenziale, perché – sottolineava Alampi – «l’impresa locale» non poteva assumere la veste di socio «privato» perché «non ha i requisiti». Un progetto di cui Libri sembrava essere non solo già a conoscenza, ma da tempo partecipe. Infatti aveva già contattato, «questa persona che ha le possibilità» che aveva assicurato «la ditta la troviamo noi … come il capo fila della situazione a Reggio con questa ve la vedete voi … per pagare i soldi … e poi dice “troverete voi le imprese” per fare … lottizzazioni».

L’UNIONE FA LA FORZA Ecco perché Mico Libri dà all’allora giovane Matteo Alampi un ordine preciso: vi incontrate di nuovo con Pasquale Condello» però «a nome mio» per riferirgli che «”mi ha mandato a chiamare compare Mico e mi ha … e mi faceva lo stesso ragionamento che mi avete fatto voi”». A lui Alampi avrebbe dovuto riferire da parte di Don «la possibilità» di Libri per le miste, per poi sottolineare «voi l’avete pure e io c’è l’ho pure», quindi «queste tre possibilità che abbiamo, le raccogliamo in una». Alampi- accolto l’invito – si impegnava a «prendere l’appuntamento» con Condello per rappresentargli «che ci siamo visti per questo lavoro».

L’ACCORDO Recepito il messaggio, Alampi ci teneva a ricapitolare con il boss tutti i termini previsti per l’affare e già discussi «con compare Pasquale». E quindi spiega: «Il lavoro non lo vinco io» ma «lo vince la società», valutando poi come «intervenire dall’amministratore… inc… responsabile», in una prima fase «io non sono d’accordo che ci siano persone di Reggio all’interno della società» e che in ogni caso «non è che un’operazione si fa in un giorno, io devo avere la tranquillità di gestirla e che non … non mi creo problemi a gestirla» con alle spalle «voi» e «compare Pasquale».

PROFEZIE CHE SI AVVERANO Qualche mese dopo, con Scopelliti sindaco, a vincere l’appalto per la nascente Multiservizi sarà un’Ati composta dalla controllata di Fiat, Ingest Facility e dalla Gst, società partecipata dalla Ingg. Demetrio, Pietro e Domenico Cozzupoli snc, Tibi 15 srl mandante di Tibaldi e Sem Società edilizia mediterranea srl, dei Rechichi. Esattamente come previsto nella conversazione fra Libri e Alampi. Ed esattamente come anticipato in quella sede, per la carica di amministratore verrà scelto Lauro Mamone, poi arrestato e condannato a 12 anni nell’inchiesta Rifiuti 2 come amministratore di fiducia di Alampi, che ha permesso al boss di disporre delle sue aziende, anche se sotto confisca. Allo stesso modo, con l’aggiudicazione dell’appalto per la multiservizi all’Ati, si realizzeranno tanto le promesse di Candeloro Imbalzano, che ad Alampi aveva predetto milionarie «operazioni in cantiere», come le “profezie” di Romeo che in tempi non sospetti aveva anticipato «da una parte c’è Cozzupoli che praticamente è in uno stato di bisogno attualmente … inc … dall’altro c’è Pino che … sta partecipando a queste gare per la esternalizzazione» .

LE MUNICIPALIZZATE SECONDO ROMEO Anche le altre società miste nate in quegli anni non sono sfuggite al controllo dell’avvocato. Senza avere alcun titolo al riguardo sapeva perfettamente che Tibaldi e Cozzupoli erano presenti «in quella» relativa alla «manutenzione» – inequivoco riferimento alla Multisrvizi – che in quella «dell’informatizzazione» era presente sempre Tibaldi che «ha fatto una società con Viola.. con il Presidente della Viola e compagnia bella», ma anche che sulla società relativa alla «nettezza urbana» c’era «il bordello», ma c’erano «altre due» realtà societarie di cui discutere. Anche loro – come confermerà poi il pentito Salvatore Aiello ai magistrati – finiranno sotto il controllo dei clan. I De Stefano metteranno le mani su Fata Morgana, e ancor prima su Ecoterm. La Leonia verrà affidata ai Fonttana. Tutti gli interessi – documentano le indagini della Dda – troveranno compensazione. Con la benedizione di Romeo.

IL BARICENTRO Un quadro che per il gip ha un significato cristallino: la ‘ndrangheta voleva tutte le società miste, per questo Romeo non solo era a conoscenza di tutte le dinamiche sottese alla distribuzione delle esternalizzazioni, ma doveva anche stare attento a non farle entrare nell’orbita di interessi estranei al suo controllo. «In definitiva – spiega il gip Santoro – in quel momento, la posizione di Paolo Romeo è assolutamente baricentrica nella vita politica di questa città». E a quanto pare, tale è rimasta fino al momento dell’arresto.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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