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Tropea, in scena "Teatro d'aMare"

TROPEA Due spettacoli in tre giorni per “Teatro d’aMare”, la rassegna curata da Libero Teatro e LaboArt Tropea con la direzione artistica Max Mazzotta e la direzione organizzativa Maria Grazia Tera…

Pubblicato il: 01/08/2016 – 13:29
Tropea, in scena "Teatro d'aMare"

TROPEA Due spettacoli in tre giorni per “Teatro d’aMare”, la rassegna curata da Libero Teatro e LaboArt Tropea con la direzione artistica Max Mazzotta e la direzione organizzativa Maria Grazia Teramo. Due spettacoli che esaltano due autori contemporanei quali Saverio La Ruina e Ciro Lenti.
Martedì 2 agosto tocca a Scena Verticale con il pluripremiato “Dissonorata – Un delitto d’onore in Calabria”, di e con Saverio La Ruina (accompagnato dalle musiche di Gianfranco De Franco). Lo spettacolo si terrà al Teatro del Porto di Tropea, alle ore 21.45.
Stesso luogo e stesso orario ma giovedì 4 agosto, andrà in scena Arciere con “Mio cognato Mastrovaknic” scritto da Ciro Lenti, per la regia di Adriana Toman e che vede sul palco Paolo Mauro e Marco Silani,.
Si inizia martedì 2 agosto con “Dissonorata” di Scena Verticale e lo spettacolo che nel 2007 ha ricevuto ben due premi Ubu (entrambi a Saverio La Ruina come Miglior attore e come Miglior testo italiano), e nel 2010 il Premio Hystrio alla dramaturgia.
«Spesso, ascoltando le storie drammatiche di donne dei paesi musulmani – spiega Saverio La Ruina – mi capita di sentire l’eco di altre storie. Storie di donne calabresi dell’inizio del secolo scorso, o della fine del secolo scorso, o di oggi. Quando il lutto per le vedove durava tutta la vita. Per le figlie, anni e anni. Le donne vestivano quasi tutte di nero, compreso una specie di chador sulla testa, anche in piena estate. Donne vittime della legge degli uomini, schiave di un padre-padrone. E il delitto d’onore era talmente diffuso che una legge apposita quasi lo depenalizzava. Partendo dalla “piccola” ma emblematica storia di una donna calabrese, lo spettacolo offre lo spunto per una riflessione sulla condizione della donna in generale. Parlando del proprio villaggio, parla della condizione della donna nel villaggio globale. Nello spettacolo risuonano molteplici voci di donne. Voci di donne del sud, di madri, di nonne, di zie, di loro amiche e di amiche delle amiche, di tutto il parentado e di tutto il vicinato. E tra queste una in particolare. La “piccola”, tragica e commovente storia di una donna del nostro meridione. Dal suo racconto emerge una Calabria che anche quando fa i conti con la tragedia vi combina elementi grotteschi e surreali, talvolta perfino comici, sempre sul filo di un’amara ironia».
Mentre giovedì 4 agosto sarà la volta di “Mio cognato Mastrovaknic” che vedrà in scena, al Teatro del Porto, gli attori Paolo Mauro e Marco Silani.
Adriana Toman ha voluto fortemente portare in scena questo testo di Ciro Lenti, uno spettacolo che racconta una bella pagina della solidarietà calabrese. Un luogo, Ferramonti, troppo spesso dimenticato dalla grande storia. Da questo spettacolo emerge la grandezza d’animo del popolo calabrese. Un viaggio che conduce gli spettatori in una progressiva metamorfosi dei due personaggi e che sottolinea il valore dell’accoglienza. “Mio cognato Mastrovaknich” Anno 1943. Nel campo di concentramento di Ferramonti, Uccio, un giovane fabbro del luogo, condannato per reati comuni, viene rinchiuso per errore nella baracca degli omosessuali (che a quel tempo venivano perseguitati quali “nemici della razza”). Il giovane è decisamente preoccupato perché teme che nel paese possano diffondersi voce calunniose che mettano in discussione la sua virilità. In cella conosce Mastrovaknic, un professore polacco, da tempo in Italia. Il rapporto fra i due è all’inizio decisamente conflittuale, soprattutto a causa dei pregiudizi di Uccio.
Un testo che indaga un tragico fenomeno epocale attraverso il racconto tutto “calabrese” (misconosciuto dai grandi storiografi) di Ferramonti di Tarsia. Tra il giugno e il settembre 1940, fu realizzato, per volere del regime fascista, un campo di internamento per ebrei in questo piccolo centro del cosentino. Un campo di internamento e non di “concentramento” conosciuto dalla comunità ebraica, in Italia sono stati scritti anche dei libri, ma su quelli di storia non trova ancora una giusta collocazione. Un gioco teatrale che pone domande scottanti sulle cecità storiche dell’Olocausto e sulla disarmante attualità di pregiudizi e preconcetti che scatenarono la Shoah.

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