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“Cosa Nuova” e le carte riservate su Caridi

REGGIO CALABRIA Andrà avanti ad oltranza, tanto in mattinata come nel pomeriggio la discussione nella Giunta per le immunità del Senato sull’arresto del senatore calabrese di Gal, Antonio Stefano C…

Pubblicato il: 02/08/2016 – 11:27
“Cosa Nuova” e le carte riservate su Caridi

REGGIO CALABRIA Andrà avanti ad oltranza, tanto in mattinata come nel pomeriggio la discussione nella Giunta per le immunità del Senato sull’arresto del senatore calabrese di Gal, Antonio Stefano Caridi. La prima sessione si è conclusa attorno alle 11.30, ma la Giunta è stata riconvocata per le 14 e quindi per le 20. Entro stasera, ci sarà il voto, dunque la decisione sulla richiesta di autorizzazione all’arresto del senatore, avanzata dai magistrati di Reggio Calabria. Una maratona fortemente voluta dal presidente Grasso, che non ha mai nascosto la necessità di arrivare al più presto ad una decisione sul politico. Da ex presidente della Dna, Grasso conosce l’inchiesta Mammasantissima che ha coinvolto il senatore fin dalla sua genesi. E soprattutto sa quanto sia importante e strategica. In ballo, non c’è semplicemente la posizione di un politico colluso o prono alle richieste della ‘ndrangheta.

LO STRUMENTO Caridi – emerge dall’inchiesta del pm Giuseppe Lombardo – sarebbe uno degli strumenti “riservati” usato per piegare le istituzioni ai voleri dei clan. Di tutti i clan. A costruire la sua carriera politica – è l’ipotesi la Dda di Reggio Calabria – è stata infatti la direzione strategica della ‘ndrangheta, livello ancora in parte inesplorato in cui élite delle ‘ndrine e massoneria si fondono, per dare vita a uno straordinario grumo di potere. Che non si limita alla Calabria. Perché la cupola riservata della ‘ndrangheta sarebbe solo parte di un organismo più grande – e ancora sconosciuto – che rappresenta tutte le mafie. I pentiti la chiamano “commissione nazionale”, “Cosa unita” o “Cosa nuova”. E secondo quanto messo a verbale nell’ultimo anno da diversi collaboratori di giustizia calabresi, siciliani, pugliesi e milanesi da decenni coordina le strategie criminali delle mafie in tutta Italia e non solo, grazie a “riservati” come il senatore Antonio Caridi.

COSA NUOVA Un organismo già in passato emerso fra le pieghe di varie indagini. Ne avevano intuito l’esistenza i magistrati che hanno coordinato l’inchiesta Olimpia e nel capo di imputazione F18 avevano iniziato a tracciare i confini – impastati di massoneria ed eversione – del nuovo organismo. Ci si era avvicinato poi, l’allora procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato, con l’inchiesta Sistemi criminali, poi archiviata per necessarie ulteriori investigazioni. Che adesso sono arrivate. A svelarlo, sono le carte trasmesse al Senato dal pm Giuseppe Lombardo a sostegno della richiesta d’arresto formulata per Caridi. Al Senato, la Dda di Reggio Calabria ha inviato migliaia di pagine che raccontano come da oltre trent’anni a ingerire sul destino della Repubblica sia stata la “Cosa Nuova”, organismo collegiale delle èlite di tutte le mafie, insieme ai massimi vertici della massoneria. Una traccia su cui tre procure stanno lavorando.

TRE PROCURE INDAGANO Da tempo Reggio Calabria, Caltanissetta e Palermo lavorano insieme per tracciare i confini di interessi, legami, strategie e affari della Cosa Unica. Lo hanno rivelato i magistrati di Caltanissetta, che nei mesi scorsi hanno contestato a Matteo Messina Denaro l’appartenenza alla «componente riservata» di Cosa Nostra. Lo ha – forse involontariamente – confermato il 19 luglio scorso il procuratore della Dna, Franco Roberti, annunciando una riunione fra i magistrati delle due procure siciliane e di quella calabrese che «si occupano di stragi». E Roberti ha promesso: «Andremo fino in fondo». Una promessa per molti, una minaccia per chi in silenzio e dall’ombra ha governato il Paese per farlo inginocchiare alle mafie. I particolari dell’inchiesta sono blindati, ma le tracce della Cosa Nuova emergono già tra le carte che la Dda ha inviato al Senato per chiedere ai parlamentari di fermare il “riservato” Antonio Caridi. Uno – forse dei tanti – strumenti usati dai clan per infettare le istituzioni. E non solo oggi. Non solo in questo periodo storico. Perché la “Cosa Nuova” è al lavoro da decenni.

LA SUPER STRUTTURA Per il pentito di Cosa Nostra, Gioacchino Pennino «Cosa nostra, ‘ndrangheta e Sacra corona unita sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una “cosa sola”. Da lì mio zio, come mi raccontò, si recava in Calabria dove, mi disse, che aveva messo insieme massoni, ‘Ndrangheta, servizi segreti, politici per fare affari e gestire il potere. Una sorta di comitato d’affari perenne e stabile». Per Pennino il progetto ha avuto la propria culla in Calabria, ma si è rapidamente esteso in Sicilia, Campania ed altre regioni.

LE STRAGI A metà anni 80, racconta i pentiti calabresi Antonino Fiume e Antonino Cuzzola, e confermano i milanesi Vittorio Foscini e Salvatore Pace, la “Cosa Nuova” aveva una sede stabile a Milano e veniva chiamata “consorzio”. Fiume, che ha partecipato a quelle riunioni, ha saputo indicare con precisione anche i componenti delle diverse mafie ammessi a quelle riunioni, così come il loro ruolo. «Ho appreso – ha dichiarato di recente – prendendo parte ad alcune riunioni del “consorzio”, che il predetto aveva un ruolo sovraordinato, all’epoca, anche alla componente di cosa nostra riferibile a Totò Riina e quindi ai corleonesi». È stato all’interno del consorzio – ha raccontato Fiume – che i siciliani hanno proposto alle altre mafie di partecipare alla strategia stragista, costata la vita ai giudici Falcone e Borsellino. La ‘ndrangheta avrebbe declinato l’invito, assicurando però appoggio logistico, soprattutto per gli attentati di Firenze, Roma e Milano.

OBIETTIVI Le strategie di lungo periodo dell’organizzazione li spiega invece un altro pentito siciliano, Gaetano Costa, che interrogato nel marzo 2014 ha messo a verbale: «Si trattava di una sorta di organizzazione mafiosa di vertice che ricomprendeva sia gli elementi di spessore e di peso di Cosa nostra che quelli della ‘ndrangheta. Ciò avrebbe consentito uno scambio di favori ancora più intenso e continuo fra siciliani e calabresi. Ma non solo: Cosa Nuova serviva anche ad inserire in modo più organico nel tessuto del crimine organizzato siciliano e calabrese, persone insospettabili, collegamenti con entità politiche, istituzionali e massoniche».

I PROGETTI POLITICI Già in passato, hanno svelato tanto Pennino, tanto i collaboratori siciliani Tullio Canella e Antonio Calvariuso, la Cosa Nuova aveva coltivato progetti politico istituzionali. C’erano loro dietro il boom delle leghe regionali di inizio anni Novanta, ma soprattutto dietro il progetto autonomista siciliano che si è affermato in quegli anni per «dare alla mafia una nazione». È Canella, di fronte ai magistrati di Reggio Calabria a confermare che “il progetto autonomista più serio era quello ispirato da Bernardo Provenzano, quello della Lega Meridionale nella quale dovevano partecipare tutti i “nostri amici” meridionali tra cui gli amici della ‘ndrangheta calabrese che erano molto influenti. Mi si rappresenta che in precedenti interrogatori ho specificato cha a detta di Ciancimino la ‘ndrangheta calabrese era forte anche in virtù dei suoi rapporti con la massoneria ed i servizi segreti ed io confermo pienamente questa circostanza».

LE RIVELAZIONI DEL GRAN MAESTRO Commistioni confermate solo qualche mese fa anche da un uomo che con le mafie non ha nulla a che fare, ma per lungo tempo è stato il numero 1 della massoneria in Italia, il Gran Maestro del Goi Giuliano Di Bernardo. Una carica che ha scelto di abbandonare proprio a causa delle infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno della massoneria. «Faccio presente – ha raccontato al pm Giuseppe Lombardo – che la questione calabrese era molto più preoccupante in quanto la massoneria calabrese era ben più ramificata e potente di quella siciliana. “Seppi dai miei referenti calabresi e non solo, di cui non ricordo i nomi, ma che potrei riconoscere, che all’interno del Goi all’inizio degli anni 90, vi erano soggetti che so
stenevano i movimenti separatisti siciliani e meridionali in generale. Reggio Calabria era il centro propulsore, l’origine di tali movimenti autonomisti che trovavano sostegno in numerosi esponenti della massoneria e più esattamente del Goi. Ero molto preoccupato da questa situazione. Nel nord vi era la Lega Nord, a sud si stavano creando questi movimenti separatisti. Vedevo il nostro paese a rischio». Un rischio – sostengono i magistrati di Reggio Calabria – non ancora scongiurato.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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