Quando negli anni scorsi si sottolineava il pericolo imminente del fallimento del sistema autonomistico locale si ostentava una verità! Certo, non tutti i Comuni risultavano coinvolti. Ma la gran parte sì. Un deficit finanziario da paura assillava, infatti, le casse municipali, incapaci di saldare i fornitori impagati da anni.
Un problema che contravveniva al termine utile fissato generalmente in trenta giorni, a seguito del vigente testo del d.lgs. 231/2002, attuativo della direttiva 2000/35/CE , pena l’aggravio di interesse oltremodo paralizzante per l’economia dei debitori (8% in più del tasso di riferimento).
A un tale annoso handicap, pesante da sopportare per i bilanci pubblici (non limitato ovviamente agli enti locali ma incidente anche su quelli delle Regioni e del Sistema sanitario nazionale), hanno offerto soluzione finanziaria i decreti legge 35/2013, 66/2014 e 78/2015, puntualmente convertiti. Con siffatti provvedimenti, di iniziativa governativa, si è fatto sì che gli enti/organismi potessero pagare, con le anticipazioni di liquidità miliardarie garantite dalla Cassa depositi e prestiti, i debiti verso fornitori.
Un modo per prendere «due piccioni con una fava». Spalmare in trenta anni l’ammortamento di quanto ricevuto ad hoc. Evitare tanti fallimenti per crediti, a quelle imprese impegnate da sempre nelle forniture pubbliche, e difficoltà estreme ai professionisti, spesso anticipatori di sempre più onerose spese relative allo svolgimento dei loro incarichi.
Una soluzione che, se analizzata in stretta combine con l’introduzione del cosiddetto predissesto, con tanto di Fondo di rotazione (art. 243-ter) al seguito, ha fornito a Comuni e Province l’occasione per uscire da un guado altrimenti non superabile.
Oggi, un’altra cura ragionevole anche per gli enti dissestati e per i loro angosciati creditori. La fornisce l’art. 15-bis del D. L. 113/2016, approvato alla Camera nel corso della sua conversione.
Un precetto, fresco di fabbrica, che realizza due modifiche di peso, destinate ad incidere favorevolmente sull’applicazione degli artt. 256, comma 12, e 258, comma 3, del Tuel.
La prima riguarda l’opportunità per il ministero dell’Interno, al fine di favorire il pagamento integrale del ceto creditorio dei Comuni (e Province) dissestati, di aderire alla procedura di riequilibrio pluriennale, il cosiddetto predissesto. Emulando, con questo, la ratio che costituisce il presupposto (meglio, lo scopo) delle procedure concordatarie e delle loro più recenti facilitazioni «processuali», tendenti a garantire – attraverso l’ingresso dell’offerta concorrenziale – un migliore esito del «giudizio» e un pagamento ai fornitori chirografari il più consistente possibile. E ancora. Una più credibile sopravvivenza dell’impresa debitrice.
L’altra afferisce la facultas per l’organo straordinario di liquidazione (Osl) di transigere le pretese erariali e previdenziali, così com’è legittimato a fare con gli altri creditori.
Entrambe le misure, se individuate, per un verso, nel senso di rendere meno accessibili gli enti locali agli «sconti» nel rimborso dei loro crediti – a fronte però di un decennio di dilazione senza oneri – dall’altro offrono l’occasione alle imprese coinvolte di non registrare definitive insussistenze dei loro crediti, spesso penalizzanti per i loro bilanci, tanto da impedire ogni ricorso al credito bancario.
*docente Unical
(costituisce l’anticipazione di un articolo che uscirà domani su Quotidiano EELL&PA del IlSole24Ore)
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