Chi ha vissuto gli anni della ricostruzione nel nostro Paese, quelli a cavallo tra il 1945 e gli anni ’60, ricorderà la figura dell’imbonitore che si aggirava per le fiere e agli angoli delle strade più frequentate decantando i pregi portentosi della propria mercanzia. Con accento nordico, manifestamente artefatto, magnificava i suoi prodotti attribuendogli proprietà uniche e qualità di alto livello a seconda degli oggetti che metteva in vendita, dimostrando abilità e capacità ad accattivarsi non soltanto l’attenzione degli astanti, ma anche la loro fiducia; in ciò aiutato dall’immancabile “compare” che, mescolandosi tra la gente, farfugliava parole per elogiare sia la mercanzia sia il prezzo di vendita e di tanto in tanto alzava una mano per assicurarsi il “pacco”.
Uno spaccato di quel vissuto mi è ritornato in mente proprio in questi giorni, guarda caso, leggendo le cronache dell’assemblea regionale del Partito democratico, o meglio di quelle riguardanti alcuni suoi dirigenti che, considerati i tempi, non hanno bisogno di girare per le piazze e le fiere paesane potendo, oggi, contare su più sofisticati mezzi di informazione, puntuali a riferire anche le “balle” che raccontano. È come se continuasse l’era dell’imbonitore, di quella capacità di far stare eretti anche i sacchi vuoti.
Lo stato maggiore del Pd ha radunato gli iscritti sulle fresche alture di Camigliatello Silano allo scopo di trovare un clima ideale per una analisi che avrebbe dovuto avere poteri taumaturgici e rimettere ordine dopo la disfatta elettorale alle amministrative. Ma, a quanto pare, tutto si è risolto con una più modesta rivisitazione della segreteria politica.
Nessuna cura aggressiva per combattere il male che, secondo gli analisti, ha finora fatto perdere consensi al partito. A mischiare le carte sono intervenuti i soliti imbonitori che hanno tentato, imperterriti, a magnificare la loro merce e far credere che tutto va bene anche a costo di dimostrare di perdere l’orientamento con la realtà. Una assemblea convocata per far luce sui motivi della debacle si è trasformata, per bocca del suo segretario, nella «migliore risposta a chi voleva fermare il confronto e il dibattito da cui parte l’impegno contro la ‘ndrangheta da concretizzare con una proposta di legge regionale sull’istituzione di un codice etico».
Il resto è tutta acqua che scorre che non dà risposte sia alla sconfitta sia a chi ha concorso a determinarla avendo sbagliato a indicare strategie e politiche sociali che sono state lasciate alla libera interpretazione del tipo: fate valere la vostra fantasia e chi meglio ci conosce avrà la soluzione a portata di mano. E a nulla è valso il documento presentato dai giovani del Pd che si concludeva con l’invito ad azzerare i vertici del Partito.
Ma ciò che grava come un macigno sul Pd calabrese è il “silenzio” del sottosegretario Marco Minniti che continua ad essere motivo di accese discussioni e apre a mille congetture. Il pidiessino più autorevole della regione è “scomparso” da Camigliatello all’alba del secondo giorno dei lavori assembleari, ma già il giorno prima aveva dato una significativa anticipazione rimanendo seduto silenzioso nonostante il protocollo prevedesse una sua relazione. Almeno questo significherà qualcosa?
*giornalista
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