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Gli scheletri negli armadi delle Asi calabresi

CATANZARO Ci sarebbero tanti, forse troppi scheletri negli armadi perché l’operazione Corap possa decollare rapidamente. Nonostante il Consorzio unico per le attività produttive sia stato istituito…

Pubblicato il: 05/08/2016 – 11:42
Gli scheletri negli armadi delle Asi calabresi

CATANZARO Ci sarebbero tanti, forse troppi scheletri negli armadi perché l’operazione Corap possa decollare rapidamente. Nonostante il Consorzio unico per le attività produttive sia stato istituito lo scorso 29 giugno, con decreto del presidente Oliverio, ci sarebbero ancora diversi problemi da sistemare. E non tutti alla luce del sole. Così l’ente che nelle intenzioni del legislatore e dell’esecutivo regionale – in primis dello stesso governatore – dovrebbe assorbire le 5 ex Asi provinciali rischia di affogare prima di nascere. Sommerso appunto da una mole di questioni di cui molte “invisibili” o “silenziate”.
Elementi che si sommerebbero al pesante fardello di debiti già contratti dalle precedenti gestioni dei cinque enti nati per favorire lo sviluppo industriale della Calabria e che, viceversa, negli anni non hanno fatto altro che trasformarsi in un’enorme zavorra. Tanto che, per la parte contabile, prima di poter avviare il percorso di nascita del Consorzio unico, su indirizzo della giunta regionale, il precedente commissario Giulio Oliverio ha dovuto procedere a riformulare i bilanci dei Consorzi di Cosenza e di Reggio Calabria. Un passaggio necessario per consentire di rappresentare alla Regione un quadro unitario e verosimile dell’effettivo stato economico, finanziario e patrimoniale delle Asi. Almeno nelle intenzioni.

I COSTI NASCOSTI DI CROTONE Dei cinque consorzi industriali, sotto il profilo contabile, apparentemente sembrerebbero più virtuosi Vibo e Crotone, anche qui con alcuni distinguo. Se nel caso della prima Asi i conti quadrerebbero realmente grazie a una corretta gestione degli impianti di depurazione direttamente nelle mani del Consorzio – attività che per questo garantirebbe sostenibilità e utili per l’ente – lo stesso non si direbbe per quella pitagorica. L’anomalia in questo caso sarebbe legata alle pendenze per la fornitura di acqua e la sua gestione con la Sorical. Una voce consistente che risulterebbe non essere mai stata inserita nei bilanci del Consorzio industriale crotonese. Si tratta di circa 11 milioni di euro che la direzione generale e gli amministratori dell’ente non hanno ritenuto, nel tempo, di dover rappresentare nei bilanci in quanto – secondo la loro lettura – di esclusiva competenza regionale, ma che viceversa la società che gestisce il ciclo delle acque, ritiene legittimamente di vantare tanto da aver deciso di procedere per le vie legali per il recupero del credito.
Un aspetto che è stato al centro di un recente incontro tra le parti e alla presenza anche della Regione proprio al fine di trovare una soluzione condivisa. Una pendenza che, qualunque effetto sortisca per la dimensione del costo, comunque sbilancerebbe di molto i conti dell’Asi di Crotone e oggi del Corap. Su questa vicenda si configurerebbe anche un piccolo conflitto, visto che il neo commissario del Consorzio regionale per le attività produttive, Rosaria Guzzo è anche dirigente del dipartimento Bilancio della Regione. Dunque sotto la prima veste si troverebbe a recitare la parte del difensore dei conti del Consorzio bussando alla porta della Regione di cui la stessa è rappresentante.

LA GRANA COSENTINA Se, con l’approvazione dei bilanci, formalmente i conti sono stati fatti rientrare nell’alveo della chiarezza, resta tutta ancora da chiarire la vicenda della gestione economica e finanziaria dei conti e della cassa dell’Asi di Cosenza. Una questione aperta sulla quale anche la giustizia sta facendo il suo corso. Secondo gli inquirenti si sarebbe configurata una presunta truffa ai danni del Consorzio cosentino. Dalle indagini e dal successivo rinvio a giudizio è emerso che, con diversi atti gestionali, il direttore generale Stefania Frasca dell’Asi di Cosenza si sarebbe autoassegnata incrementi dei suoi compensi e sia lei che l’ex presidente si sarebbero fatti liquidare rimborsi sulla base di una semplice autodichiarazione.
Per tale vicenda la stessa Frasca è imputata (assieme all’ex presidente dell’Asi, Diego Tommasi, e al responsabile dell’area contabile Antonio Carlo Rango) in un processo penale attualmente in corso. Dopo il provvedimento che sospendeva dall’incarico, la direttrice è stata reintegrata al suo posto dal giudice del lavoro di Cosenza in attesa dell’esito di quella vicenda giudiziaria. Rispetto a questo reintegro l’ente si sarebbe dovuto opporre oltre che per motivi di opportunità, anche per eseguire l’indirizzo espresso dallo stesso Oliverio che nel comunicato stampa del 16 giugno scorso in merito aveva precisato: «provvedimenti necessari alla costituzione e riassunzione dei contenziosi pendenti, al fine di tutelare l’interesse pubblico». Tuttavia, nel caso della Frasca non è stato adottato dal Commissario Guzzo alcun provvedimento di riassunzione del giudizio, facendo altresì configurare una conseguente eventuale assunzione di responsabilità contabile da parte dello stesso Consorzio unico.
Ma i problemi su fronte bruzio non finiscono qui. Resta in piedi anche un’altra questione di non poco conto per la quale è intervenuto il collegio sindacale: il patrimonio netto dell’Asi. Stando alle ultime risultanze contabili, questo si sarebbe eroso di 1,7 milioni e sarebbe dovuto essere ricostituito, così come prescritto dalla legge. Anche questo aspetto, allo stato, sarebbe rimasto lettera morta, lasciando la patata bollente a chi subentrerà, cioè il Corap.

IL PANTANO REGGINO Sul fronte Reggino la situazione che erediterà il nuovo ente è ancora più complessa. A una mole di contenziosi che schiaccerebbe qualsiasi ente – si parla di oltre 70 milioni – si somma il peso enorme di un organico a dir poco elefantiaco: 42 dipendenti tra i quali un elevato numero di quadri (ben 14 su 40) e 2 dirigenti. Proprio per questo il costo del lavoro del Consorzio reggino sarebbe divenuto insopportabile. E anche per questo che assicurare gli stipendi è divenuta una missione impossibile: si sono ora raggiunte 14 mensilità non ancora saldate.
Ma c’è molto di più. La madre di tutti problemi si chiama convenzione Iam (Iniziative ambientali meridionali). La società che gestisce la depurazione civile e industriale dell’area della Piana di Gioia Tauro ha un accordo con l’Asi per l’utilizzo del depuratore dell’area industriale per il quale avrebbe dovuto pagare il 10% dei corrispettivi contabilizzati dalla Iam. Soldi che in realtà non sarebbero stati ancora corrisposti, da qui è nato un contenzioso tra il Consorzio e la società. Nelle more dell’esito di quel giudizio era stato anche firmato un atto transattivo con il quale la Iam corrisponderebbe una somma all’Asireg a titolo d’acconto. Ora stando sempre alle risultanze contabili, nonostante la pendenza quelle somme non risulterebbero essere state iscritte nei bilanci di diversi anni. Con il rischio sempre più concreto che al termine della convenzione, cioè nel 2020, si possa produrre un buco per le casse dell’Asi di 10 milioni di euro. Che conseguentemente si abbatterebbero sul nascente Corap.
Sia per le anomalie riscontrate a Cosenza che a Reggio, su espressa richiesta della Regione in sede assembleare dei rispettivi Consorzi e rispettando l’indirizzo del presidente espresso il 16 giugno all’atto della nomina, il Commissario Guzzo dovrà procedere con un’azione di responsabilità nei confronti dei dirigenti e degli amministratori delle due Asi.
Ma anche questa procedura allo stato sembrerebbe ferma al palo e su di essa si potrebbe illuminare l’attenzione della Corte dei Conti.
Scheletri quindi che restano, per ora, ancora negli armadi dei dismessi Consorzi e per i quali si potrebbe rintracciare una tra le motivazioni vere del passo indietro dell’ex commissario del Corap, Giulio Oliverio.

Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it

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