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«Le Asi sono dei bocconcini succulenti»

Non è difficile individuare gli ispiratori dell’articolo apparso sul Corriere della Calabria dal titolo «Gli scheletri negli armadi delle ASI calabresi». Non è difficile e il presidente Oliverio – …

Pubblicato il: 06/08/2016 – 11:47
«Le Asi sono dei bocconcini succulenti»

Non è difficile individuare gli ispiratori dell’articolo apparso sul Corriere della Calabria dal titolo «Gli scheletri negli armadi delle ASI calabresi». Non è difficile e il presidente Oliverio – piuttosto che scegliere un silenzio di montanelliana memoria – bene farebbe ad intervenire per porre fine allo stillicidio al quale, da anni, vengo puntualmente sottoposta: il gruppetto di “guastatori” si annida all’interno di quel Dipartimento regionale alle Attività Produttive che, per quanto emerso anche dalle risultanze dell’inchiesta Mammasantissima, era ed è al centro degli interessi della ‘ndrangheta. Uomini privi di vergogna e dignità, pubblici dipendenti infedeli al proprio ufficio, che, piuttosto che dedicarsi a dare sollievo al comparto produttivo calabrese, curano gli interessi più protervi e rapaci che da sempre soffocano l’economia della nostra regione.
Per cultura e tradizione familiare, non mi sono mai nascosta dietro un dito e, nel tempo, ho segnalato a quanti avrebbero dovuto sentire l’urgenza di intervenire le infami trame tessute all’interno delle polverose stanze di viale De Filippis: ma, doloroso ammetterlo, nulla ha scosso le coscienze di Presidenti, Assessori e Direttori generali anche di fronte alle evidenti distorsioni e alle losche trame il cui autore principale non è mai venuto allo scoperto, protetto com’è dal suo rango di pubblico dipendente e da una condotta apparentemente irreprensibile. Costui ha avuto accesso ai ranghi della pubblica amministrazione presentando un curriculum che contiene almeno un falso; se è vero com’è vero, che tale personaggio non è mai stato <>. Tutti sanno e tutti tacciono: del resto, è questo uno dei tratti distintivi della nostra società.
Per aver reagito a fronte delle ritorsioni che il sedicente dirigente, approfittando del suo ufficio, mi scaraventava addosso per il sol fatto di non aver favorito l'”impresa di famiglia”, sono stata oggetto di minacce scritte e verbali, culminate nella consegna di plichi dal chiaro stampo mafioso. Minacce puntualmente denunciate alla Procura della Repubblica senza che mai venisse aperta uno “straccio di indagine”. Non sono la sola ad affermare che il «in Calabria, prima ancora della politica e della ‘ndrangheta, il problema sono i quadri della pubblica amministrazione». Vero, verissimo: soprattutto se quei quadri, la ‘ndrangheta e, nondimeno, certi poteri forti costituiscono un corpo solo.
Se, alla luce di ciò, fa comodo e risponde all’urgenza morale di qualche giornalista individuare un capro espiatorio delle miserevoli condizioni in cui versa la Calabria nell’Asi cosentina, accomodiamoci pure. Ma qualcuno dovrà pure porsi qualche domanda sull’attività svolta all’interno di questo famigerato Ente consistita, tra l’altro, nel recupero al patrimonio pubblico di decine di ettari di terreni detenuti illegalmente da sedicenti quanto “considerati” imprenditori e nella riassunzione di circa sette milioni di crediti mai vantati prima. E se – ai più – parrà normale che un dirigente avvii e porti a termine tali attività che forse altrove sarebbero “normali”, ma che, a queste latitudini, diventano -purtroppo- “eccezionali”, senza pagare un prezzo, allora sarà possibile che «le persone per bene diventino delinquenti e i delinquenti persone per bene».
La Regione Calabria, negli anni, ha fatto in modo di scoraggiare le nostre iniziative, rendere inutili i nostri progetti, buttare al vento anni di duro lavoro. Ha permesso, senza muovere un dito, che fossero definanziati programmi comunitari giunti alle soglie delle gare, che venissero approvate norme di contrasto alla nostra attività, che fossero sparse a piene mani maldicenze e falsità. È stata “matrigna” in tutto: finanche mancando di versare le quote consortili di sua competenza. E mentre, a torto o a ragione, travasava milioni di euro nelle casse di tanti altri enti, non ha contribuito neanche con un “soldo bucato” al funzionamento dei Consorzi. Sia chiaro: neanche con un “soldo bucato”.
I suoi dirigenti, fatta salva qualche più che onorevole eccezione, che non si distinguono, dati alla mano, per efficienza e capacità progettuale, non concepiscono che esista una grande differenza fra gli apparati burocratici regionali e i management societari: i primi, al di là degli obiettivi raggiunti, attendono comodamente che “mamma Regione” eroghi le loro competenze; i secondi devono mettere in campo la capacità di procurare le risorse per andare avanti all’interno di un contesto che, piuttosto che favorire e supportare, scoraggia e deprime, laddove non arrivi a colpire duramente e ad uccidere.
Alcuni di costoro, però, e ritorno agli “ispiratori dell’articolo”, al noto “gruppetto di guastatori” che guadagna sempre più numerosi proseliti, non hanno saputo fare a meno di puntare il dito e di ergersi ad improbabili giuristi, intenti a concepire norme mal scritte che, piuttosto che porre rimedio ai tanti problemi che da alcuni lustri intralciano gli enti industriali, tanti altri ne porranno. Le Asi, in verità, sono “bocconcini succulenti”: difficile rinunciare a “metterci le mani”.
Per venire ai «milioni di debiti» di cui l’Asi cosentina soffrirebbe, è utile fare emergere solo qualche dato. I bilanci degli ultimi anni sono stati sempre chiusi in attivo. Il debito pregresso è stato progressivamente ridotto da oltre tre milioni di euro a circa uno e mezzo. Il patrimonio immobiliare consortile è stato consistentemente incrementato. Gli stipendi dei dipendenti sono stati corrisposti puntualmente, senza ricorrere ad indebitamenti di alcun genere. Il tutto, è utile ripeterlo, senza che la Regione partecipasse con un solo euro ed, anzi, avendola costantemente “contro”. Quanto ai «milioni di euro non rendicontati», sfugge quali possano essere visto e considerato che non siamo recettori di quei finanziamenti profusi a piene mani a beneficio di ben altri soggetti.
Sulla sospensione dall’incarico di direttore generale dell’Asi cosentina sorprendentemente operata dal precedente Commissario Asi e giudicata da ultimo illegittima dalla magistratura, nel ribadire che a quel posto ho avuto accesso per aver vinto un pubblico concorso per titoli ed esami, sfido chiunque a rintracciare un altro solo dirigente che, innocente fino a prova del contrario, sia stato destinatario di una misura così dura. Ma, anche su questo, decideranno i giudici: la giustizia è lenta, ma arriva al segno.
Il presidente Oliverio che, al momento, non merita disistima alcuna, non può e non deve rinunciare a “fare pulizia”: a cominciare dalle stanze dell’Ente che governa con evidenti, prevedibili e crescenti difficoltà. La rotazione dei dirigenti che per suo merito ha avuto inizio dopo decenni di enfatici annunci, deve riguardare anche il settore di riferimento delle Asi, al momento stranamente indenne, senza rinunciare ad individuare quel “gruppetto di guastatori” e portando alla luce le loro vere attività. Scoprirà che quel dirigente infedele, regista dell’ondata di veleno che mi è stata scaraventata addosso, è stato promosso dalla sua Giunta, destinatario di incarichi importanti, nonostante sia noto di quali nefandezze sia capace.
Oggi abbiamo davanti le prospettive aperte dal Corap alla cui guida è stata nominata una “persona normale”, una dirigente regionale da sempre slegata dai “gruppi di potere” di cui tutti sanno, ma sui quali tutti tacciono. Speriamo vivamente che con il suo aiuto talune storture della legge di accorpamento siano corrette; che il Corap (vogliamo, per favore, pensare ad un nome meno orrendo?) possa costituire un ganglo vitale della politica industriale calabrese; che la Legge 38/2001 venga “rimessa a nuovo” divenendo una norma “ariosa” e ricca di premesse per il futuro: non sarà facile, ma è ancora possibile. Per questo attendiamo che il neo commissario, contrariamente a quanto fatto dai suoi predecessori, ci chiami a raccolta contando sulle nostre capacità e l’esperienza maturata nei tanti anni trascorsi “in trincea”. Il mio curriculum non contiene falsi, è lo specchio degli obiettivi raggiunti e delle f
atiche affrontate. La stessa commissario, tra l’altro, ne è testimone, provenendo dai ranghi del Comune di Cosenza che tanto deve all’attività della sottoscritta.
Ciò detto, vorrei che fosse chiaro che non intendo entrare nel merito della vicenda giudiziaria che mi riguarda, se non per affermare due sole cose: ho fiducia nella magistratura anche se non mi sfuggono storture e disfunzioni; sono stata io stessa, saltando l’udienza preliminare, a richiedere il “processo immediato” perché ho ritenuto che il Tribunale fosse l’unico luogo in cui la giustizia che ho reclamato per anni fosse finalmente fatta.
Da ultimo: il giornale a cui scrivo ha spesso ironizzato sulle «commissioni d’indagine» promosse dal presidente Oliverio. Ma se ne nominasse una formata da professionisti capaci, liberi e scevri da pregiudizi per comprendere finalmente dove si annida il marcio, quali davvero siano gli «armadi che celano scheletri», svelare la statura e i comportamenti di taluni “nominati” dal consiglio regionale che hanno piegato ai propri fini l’ufficio loro affidato, personalmente ne sarei felice. Sarebbe, forse, l’unico modo per uscire dalle forche caudine alle quali sembro essere stata condannata.
E se è vero, continuando a riferirmi al nostro governatore, che «una noce nel sacco non fa rumore», è pur vero che rientra nei suoi doveri fare uscire le mie tante e gravi denunce dall’assordante silenzio in cui sono cadute. Rientra nei suoi doveri ai quali, a quanto mi risulta, non è uso sottrarsi.
Dal canto mio, essendo perfettamente cosciente del tragico momento che vive la Calabria e di quanto possano essere inefficaci le normali prassi di interlocuzione, si sappia che non rinuncerò a nulla pur di farmi ascoltare da quanti sono chiamati a decidere e ad agire di conseguenza.

*Direttore generale Asi Cosenza

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