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Trapianti, le speranze (deluse) dei pazienti

COSENZA Quando Reginald Green vide il corpo di suo figlio Nicholas, sette anni, giacere senza più attività cerebrale in un lettino del Policlinico di Messina, capì che il bimbo non era più con loro…

Pubblicato il: 06/08/2016 – 14:49
Trapianti, le speranze (deluse) dei pazienti

COSENZA Quando Reginald Green vide il corpo di suo figlio Nicholas, sette anni, giacere senza più attività cerebrale in un lettino del Policlinico di Messina, capì che il bimbo non era più con loro. Un proiettile, nel corso di un agguato balordo e fatale sulla Salerno-Reggio Calabria, all’altezza di Vibo Valentia, aveva colpito Nicholas. Dopo la diagnosi di morte cerebrale, Reginald non ebbe esitazioni e firmò per la donazione degli organi. Nove persone ricevettero il dono di Nicholas, comprese le cornee. Peccato solo per quelle lentiggini che incorniciavano gli occhi chiari. Se avesse potuto farle rivivere, Reginald Green avrebbe donato anche quelle.

POCHI DONATORI Ogni volta che racconta questo aneddoto, gli occhi di Rachele Celebre vengono attraversati da un luccichio che per un attimo tradisce il viso garbato e serio. “Era il 1994 – racconta la presidente dell’Asit (associazione Sud Italia trapianti) Cosenza – e dopo quell’episodio vi fu un’impennata di donazioni”. Ma l’onda emotiva dell’emulazione col tempo è andata scemando e i dati più recenti non sono incoraggianti. Nel 2015 sono stati 18 i donatori effettivi di organi in Calabria. Dieci a Catanzaro, quattro a Reggio Calabria e quattro a Cosenza. Troppo pochi per le tante esigenze dei pazienti calabresi, delle vite che restano, sospese, ad aspettare. In Calabria si effettua, e bene, il trapianto di rene. Un audit del Centro nazionale trapianti, nell’inverno del 2015, dopo un accurato monitoraggio nelle due strutture specializzate di Cosenza (l’azienda ospedaliera Annunziata) e Reggio (l’azienda ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli), stabilì che lo standard qualitativo delle operazioni in Calabria era pari a quello europeo. Ma il numero dei trapianti è basso. In regione sono circa 200 le persone in lista d’attesa per un nuovo rene. Ma il dato è in continuo mutamento perché con i reni malati le prospettive di vita non sono rosee, visto il rapporto diretto tra questo filtro del nostro corpo e il cuore. Senza contare i tanti dializzati che a giorni alterni si sottopongono a trattamenti dolorosi e sfiancanti e vedono nel trapianto la fine di una lunga via crucis. Anche chi soffre di rene policistico ha un solo approdo.
Il problema delle scarse donazioni è presente in tutta Italia ma la Calabria rischia più delle altre regioni, perché è l’ultima nella lista delle donazioni ma anche alla luce delle recenti deliberazioni di regioni come Emilia Romagna e Lombardia che hanno stabilito di privilegiare nel trapianto i residenti. L’appello va alle istituzioni regionali, che mettano in campo forze e mezzi per avviare una campagna di sensibilizzazione imponente in tutta la regione. All’argomento si era interessato il delegato del presidente Oliverio in materia sanitaria Franco Pacenza ma il tavolo regionale che le Asit e i Centri di servizio per il volontariato chiedevano, ancora non è stato aperto.
Lo scorso 24 giugno all’hotel Europa di Rende c’è stato un incontro tra Asit e Csv Cosenza. “Siamo tutti donatori”, è stato detto “e la cittadinanza tutta va coinvolta su questo tema”. Il 28 luglio il direttore sanitario dell’Annunziata, Mario Veltri, ha riunito, sul tema dei trapianti e delle donazioni, le associazioni insieme al coordinatore del centro regionale trapianti (che ha sede a Reggio Calabria), Pellegrino Mancini, al primario di Nefrologia Renzo Bonofiglio e ai chirurghi specializzati delle aziende ospedaliere. Veltri si è dimostrato disponibile a farsi portavoce presso la Regione, e davanti al direttore generale del dipartimento Sanità, Riccardo Fatarella, dell’importanza di promuovere una campagna mediatica. Ma non solo. C’è da rivedere la rete delle rianimazioni e delle urgenze, ci sono presìdi da attrezzare meglio.

Rachele-Celebre
(Rachele Celebre)

L’ESEMPIO DELLA COCA COLA Il problema sta nella comunicazione. Mancano campagne di sensibilizzazione e di informazione. “L’esempio che faccio sempre è quello della Coca Cola – dice Rachele Celebre –, un prodotto conosciuto e venduto in tutto il mondo. Non avrebbe bisogno di pubblicità, però continua a farla”. Mai fermarsi, comunicare sempre, creare una fitta rete di informazione che raggiunga tutti. L’Asit Cosenza ha anche questo scopo: ha creato una convenzione con l’Avis per parlare di donazione, promuove progetti nelle scuole. “Ma non basta – dice la Celebre – noi non abbiamo i mezzi per organizzare una campagna forte, a tappeto, che abbia un impatto immediato. I suoi frutti l’Asit li raccoglie nel tempo. Per esempio, a maggio abbiamo accompagnato l’Avis all’Istituto scolastico Valentini di Castrolibero per l’iniziativa “La mia prima donazione”. L’Asit ha parlato delle dichiarazioni di volontà per la donazione degli organi. I ragazzi sono generosi. “Qualcuno era sottopeso e non poteva donare il sangue, così ci hanno chiesto se potevano fare una dichiarazione di volontà sulla donazione degli organi. Abbiamo registrato dieci dichiarazioni di volontà”.

IL DONO IN TASCA Viaggiava con il suo dono in tasca anche Sara Frangella, 18 anni, portata via da un incidente stradale lo scorso 29 aprile sulla statale 18 all’altezza di san Lucido. Sara, a differenza delle sue compagne di viaggio Ida e Filomena, non è arrivata all’ospedale Annunziata di Cosenza priva di vita. Le se condizioni erano disperate e dopo quattro giorni è stata diagnosticata la morte cerebrale. Grazie a un prelievo multiorgano eseguito dai chirurghi Sebastiano Vaccarisi, Vincenzo Pellegrino e Massimiliano Battaglia, Sara ha salvato otto vite, tra le quali quella di un bambino e di una donna in dialisi da cinque anni.
Ma non tutti i familiari sono come i genitori di Sara o come Reginald Green. Il dolore, improvviso e inaccettabile, e spesso la disinformazione, sono ostacoli anche al solo pensiero di poter donare gli organi di una persona cara che, benché legata ad una macchina, è ormai cerebralmente morta e non ha possibilità di risveglio. “Ecco perché nei reparti di rianimazione, in questi casi, – dice Rachele Celebre – le famiglie dovrebbero essere affiancate da un pool formato da medici, psicologi e anche la presenza di un sacerdote potrebbe essere importante”. “Ma l’informazione – aggiunge la presidente dell’Asit Cosenza – deve arrivare a ognuno di noi indipendentemente da qualunque tragedia”. E’ importante capire che la morte cerebrale è morte a tutti gli effetti e che non viene diagnostica a cuor leggero ma nell’arco di sei ore dalla prima diagnosi ci sono due commissioni di medici che monitorano il paziente prima di dare l’esito definitivo. Agli inizi di agosto è cambiata la vita di due pazienti, di 32 e 63 anni, in emodialisi, in lista d’attesa da più di due anni. Non ha avuto altrettanta fortuna una ragazza di 22 anni di Cosenza, ricoverata a Roma, morta perché il polmone di cui aveva bisogno è arrivato troppo tardi, dopo settimane di attesa, quando il suo corpo era ormai troppo debole e compromesso. Inutili gli appelli di suo padre, disperato.
“La donazione di organi – ha dichiarato recentemente il dottor Vaccarisi – ci permette di restituire il paziente a una qualità della vita migliore, ma consente di ridurre, e anche di molto, i costi di assistenza sanitaria”.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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