Convinto come sono delle ragioni del SI, da esprimere al prossimo referendum, sono sempre di più preoccupato di come il SI sta effettuando la sua campagna «elettorale».
Troppi gli errori iniziali volti a trasformare la revisione costituzionale in una tradizionale competizione politica, funzionale o meno alla consacrazione del premierato di Renzi. Quest’ultimo ha commesso, al riguardo, l’errore di ipotesi di dare la palese impressione di volere pervenire, nella combinazione riforma elettorale/voto referendario, ad una posizione troppo egemone nella politica governativa e nelle istituzioni parlamentari. Minacciando, in difetto, il suo ritiro dalla politica.
Tutto questo ha fatto sì che si legittimasse la formazione di un incisivo fronte politico del NO dalle dimensioni vastissime, dentro e fuori dal Pd, distintosi per una «aggressività» che non rintraccia eguali nella storia referendaria costituzionale. Del tipo quella praticata dalla Chiesa avverso il divorzio e la liberalizzazione dell’aborto.
Di conseguenza, sino ad oggi si è falsato tutto nel distinguere le ragioni.
A una campagna dei contro, monoliticamente unitaria negli intenti, si è opposta quella sfilacciata del SI, caratterizzatasi in termini squisitamente difensivi. Impegnata ad opporre le tesi sostenute dell’avversario, spesso ancorati a convinzioni nostalgiche e a valutazioni più politiche che tecniche, piuttosto che sviluppare le proprie.
A tutto ciò sta facendo ovvio seguito una campagna disorganizzata del SI, ove anziché facilitare la diffusione corretta sulla tematica referendaria c’è la corsa ad accreditarsi verso i maggiorenti del Pd esibendo la conta dei comitati periferici, senza tuttavia possedere al riguardo i mezzi e i necessari diffusi saperi per portare avanti l’iniziativa.
Una competizione «elettorale» così complessa dovrebbe essere tesa a spiegare ai cittadini, per lo più ignari, le ragioni del SI. Occorrerebbe farlo con un linguaggio semplice e comprensibile, astenendosi dal sottolineare più di quanto serva la debolezza di quelle del NO, che registrano un vasto consenso sui temi riguardanti la trasformazione pasticciata del Senato e la «prepotenza» politica che sta dietro al combinato disposto con la riforma elettorale. In buona sostanza, occorre contrapporre alla loro facondia un ragionamento stringato e logico, volto a spiegare ai cittadini cosa accadrà di meglio con il SI vincente. Meglio, se con una legge elettorale nuova di zecca.
A inseguire il NO, si corre il rischio di cadere nella sua trappola, a tutto svantaggio delle riforme strutturali (Delrio e Madia, in primis) che riguardano il perfezionamento del riordino delle autonomie territoriali, al netto delle Province, e il migliore funzionamento della pubblica amministrazione. Due obiettivi difficili da raggiungere senza un chiaro esercizio della potestà legislativa, a tutt’oggi impedito dalla vigente Costituzione.
La vittoria del NO non consentirebbe, infatti, di assicurare ai cittadini (e non solo) la certezza legislativa, messa in pericolo da una legislazione concorrente che ha determinato circa 1.500 contenziosi avanti la Consulta. Il tutto con l’amara conseguenza di ritardare l’esigibilità di quei diritti di cittadinanza allargata che vengono lesinati agli individui a causa di una disciplina costituzionale che rende incerta la corretta approvazione delle leggi e la loro efficacia nel tempo.
Correre in Europa vuol dire dovere riparare a tutto questo. La vittoria del NO concretizzerebbe, di fatto, una «Brexit» tutta italiana.
* docente Unical
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