Sarebbe stato il poliziotto calabrese Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro”, a « a far saltare in aria il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta». I magistrati che indagano sulla stagione delle stragi stanno vagliando le nuove dichiarazioni, ancora tutte da riscontrare, del pentito Nino Lo Giudice, il “Nano”, esponente dell’omonima cosca reggina. Le sue nuove rivelazioni, verbalizzate dai pm reggini e catanzaresi e condivise con i magistrati siciliani, sono riportate in un articolo di Walter Molino sul Fatto Quotidiano. «Fu Aiello – avrebbe rivelato Lo Giudice – a premere il pulsante in via d’Amelio. Me lo confidò Pietro Scotto quando eravamo in carcere all’Asinara. E anni dopo me lo confermò Aiello in persona. Aggiunse che a Palermo aveva fatto altre cose, fra cui l’omicidio Agostino. Ma quando ho raccontato tutto – avrebbe aggiunto il “Nano” – sono stato minacciato dai servizi».
Il Fatto ricostruisce anche la vicenda che dal 2010 vede Lo Giudice al centro di una vicenda dai contorni tutt’altro che chiari. «Nino Lo Giudice – scrive il giornale diretto da Travaglio – è il boss che si è pentito due volte. La prima nel 2010, quando diventa testimone nelle più importanti inchieste tra pezzi delle istituzioni e ‘ndrangheta. Tre anni dopo però, fa perdere le sue tracce. Lascia due memoriali e un video in cui accusa gli inquirenti di avergli estorto le confessioni. Stanato sei mesi dopo dalla Polizia in una villetta alla periferia di Reggio, si chiude a lungo in un ostinato silenzio. Fino a quando, quasi un anno dopo, riprende a collaborare con la giustizia». In un colloquio del 14 dicembre 2012 con l’ex procuratore aggiunto della Dna Gianfranco Donadio, Lo Giudice avrebbe ammesso di conoscere “faccia da mostro”, e di averlo fatto pedinare e fotografare assieme ad «Antonella», una bionda calabrese, che sarebbe stata affiliata a Gladio, con cui Aiello si sarebbe spesso accompagnato. Il “Nano” promette a Donadio di fargli avere quelle foto, ma la promessa non verrà mantenuta e sei mesi dopo Lo Giudice diffonde i memoriali e scompare. A settembre del 2014, poi, il “Nano” conferma ai magistrati calabresi quanto aveva detto a Donadio e racconta il perché della sua retromarcia: avrebbe ricevuto strane visite nella località segreta in cui viveva, a Macerata, di uomini a suo dire riconducibili ai servizi segreti che avrebbero saputo che aveva parlato di Aiello e gli avrebbero intimato di stare attento a toccare certi argomenti.
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