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Per il vescovo (calabrese) di Noto Pokemon Go è nazista…

“Pokémon go”, la smania planetaria. È diventato una chiave di ricerca più suggestiva del porno. E già c’è chi ne pronostica, forse per arginarne l’invasività, la fine in pochi mesi. Tuttavia, pur s…

Pubblicato il: 13/08/2016 – 9:02
Per il vescovo (calabrese) di Noto Pokemon Go è nazista…

“Pokémon go”, la smania planetaria. È diventato una chiave di ricerca più suggestiva del porno. E già c’è chi ne pronostica, forse per arginarne l’invasività, la fine in pochi mesi. Tuttavia, pur storcendo il naso per alcune sue abnormità che ledono la privacy, si stenta a credere che possa essere equiparato ad un campo di concentramento. L’accostamento lo propone, ipotizzando («ci stiamo lavorando con un pool d’avvocati») un’azione legale per la difesa dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo, niente poco meno che un vescovo. Quello di Noto: monsignor Antonio Staglianò, siciliano per obbligo di chiesa, ma calabrese di Isola Capo Rizzuto e teologo di vaglia. Lo stesso che con le sue “canzonette” spopola sul web e che ora, di fronte al “pokemoning” (il neologismo indica il vagare per le strade delle città a caccia di Pikachu e compagni), balza dalla sedia e dice, con una certa inquietudine: «Uomini pensanti di tutto il mondo unitevi, perché si ritorni a pensare contro il totalitarismo globale».
Suvvia, monsignore, non le pare d’esagerare?
«Per Maria Falcone è una mancanza di sensibilità abnorme, quella di utilizzare per il gioco di Pokemon go la stele dedicata in autostrada a Falcone e Borsellino, martiri della giustizia insieme ai poliziotti della loro scorta. È giusto addolorarsi per questa profanazione virtuale irrispettosa e degradante. Indignarsi è il primo passo per cominciare a pensare. È per altro anche vero ciò che ha affermato, per smorzare i toni, Salvatore Borsellino, dicendo che si tratta di una stupidata. Non sono pareri inconciliabili: la Falcone coglie la barbarie del gesto oltraggioso, Borsellino ne individua la causa remota, la stupidità».
Faccia comprendere meglio in che consisterebbe la profanazione del pensiero umano…
«Quando ero giovane circolavano in Francia i “nuovi filosofi” che parlavano di barbarie dal volto umano e nei miei studi mi sono imbattuto in un’opera bella di Hannah Arendt sulla “banalità del male”. Brevemente: per compiere il male più nefasto, non c’è bisogno che ci sia alla fonte la malvagità del cuore, basta la normalità di un essere umano superficiale, banale, stupido, senza idee. Ecco tutto».
La irrita forse l’accostamento del gioco ai luoghi sacri o ai simboli della cultura occidentale?
«Dopo l’indignazione su come Pokemon go mostri la sua irriverente barbarie per collocare le sue palestre virtuali in cattedrali e altri luoghi di culto (per esempio la Basilica cattedrale di Noto, monumento del barocco netino), occorre cominciare a pensare, perché è proprio la mancanza del pensiero sulle nostre azioni il vero motore che attiva quel segreto meccanismo che origina il potere sulle coscienze degli individui, e che produce – secondo la Arendt – quella massa atomizzata e amorfa in cui gli individui non hanno nessun vincolo sociale e sono perfettamente isolati».
Eppure non sembra esserci nulla di più sociale dei network. Occorre dunque mettersi d’accordo e, se del caso, mettere in discussione anche le definizioni ormai più acquisite?
«Se siano, i network, social o asociali, l’ardua sentenza spetta ai posteri. Ma i posteri siamo noi, oggi e qui, che non dobbiamo regredire nel pensare i fenomeni sociali, specie quelli imposti da chi come un grande burattinaio vuole eterodirigere tutti nel mondo e lo vuole fare con un unico colpo, perciò ha bisogno di creare il gioco globale che – attraverso la propria mappatura della terra – mette in gioco tutti. Assolutamente tutti. Certo, tutti quelli che diventano burattini, senza pensarci tanto».
In fondo, però, Pokemon go è soltanto un gioco…
«In verità, questo gioco esprime la crisi della relazione umana, oggi, nelle società liquide e senza ancoraggi. Riguarda tutti, ragazzi e adulti. Questo gioco, però, è anche la causa di questa crisi umana: la incrementa, foraggiando le spinte narcisistiche e autistiche che sono tentazioni permanenti dell’anima in ogni epoca».
Vuole fare qualche esempio per chiarire i rischi da cui stare alla larga?
«Un ragazzino l’altro giorno ne parlava bene, dicendomi: “ci toglie via da casa e ci fa camminare”. Rimase stupito, quando osservai “sì, ma cammini, senza guardare e gustare le bellezze dell’ambiente che ti circonda, i colori dei fiori, i monumenti storici che ti raccontano della vita passata, e soprattutto senza guardare in faccia nessuno. Cammini, ma non ti accorgi che gli altri esistono. Sei solo con i tuoi mostriciattoli. Ritieni di averli imprigionati o è vero che loro hanno imprigionato te?”. Come resiste l’umanità bella e buona che c’è in ognuno di noi, se camminiamo per le nostre strade come cadaveri ambulanti? Come il guardare sempre a pochi centimetri un computer o un cellulare non inibisce e non limita la capacità visiva dei nostri ragazzi, sempre più incapaci di guardare orizzonti e perciò di pensare in grande?».
Le sue considerazioni sono frutto di una valutazione, diciamo così, umanistica, religiosa e culturale o trovano riscontri in studi scientifici?
«Diversi psichiatri sostengono che molti di questi giochi affievoliscono le emozioni sociali come l’indignazione verso il male o verso il comportamento aggressivo (per non dire che tra i giovani incoraggiano atteggiamenti di bullismo e di violenza gratuita) e questo è dovuto a una certa trasformazione del cervello, dove risiedono i nostri istinti empatici che ci portano ad avere compassione per gli altri e a provare desiderio di solidarietà, di amore, di cura, di soccorso degli altri. Apatici, dunque: un pokemon potrebbe trovarsi nei cimiteri o sul corpo di un cadavere, tu lo scovi e lo fai prigioniero nelle tue balls e poi lo usi per combattere i tuoi avversari. Insomma, nel gioco ho solo nemici da combattere, per sconfiggere i loro mostriciattoli. Poco importa dove questo avviene, magari in una chiesa, dove invece si dovrebbe consumare amicizia, muto soccorso, perdono e comunione. Invece, la cattedrale di Noto, palestra di questo gioco, è come l’arena, uno spazio per la lotta e la sconfitta dei gladiatori, perché emerga il più forte e si occupi il territorio: sconfitti i pokemon degli altri, si lasciano i propri a presidiare».
Scusi, ma si rende conto che parliamo esclusivamente di una realtà virtuale?
«Certo è solo virtuale. Ma virtuale significherebbe non-reale? Anche questo è falso. Perché per quanto virtuale, anche questa è realtà (si dice ‘realtà virtuale’) e tanti esseri umani vivono più in questa realtà virtuale che non in quella reale-reale. Non è questa una forma subdola di alienazione? Per altro imposta attraverso internet, che è diventata la nostra atmosfera, forse anche l’aria di cui non riusciamo a fare a meno».
Va bene, ma ogni individuo è libero di usare o meno il web…
«E anche questo è sempre più falso. Se lo strumento diventa soggetto e le persone, sempre più isolate nel loro essere individui asociali, diventano oggetti, allora l’uomo è ridotto a pura animalità, come sostenne la Arendt analizzando cosa avveniva nella vera istituzione del potere totalitario nazista, il campo di concentramento».
Ora non le pare di esagerare? Tra l’altro, cosi facendo, si rischia di ingigantire un fenomeno che è sempre il prodotto della mente umana…
«Nel porre una non debole analogia tra il campo di concentramento nazista e il campo di concentrazione pokemista non ho per nulla esagerato. Io stesso credevo esagerasse Pier Paolo Pasolini, quando negli “Scritti corsari” e in “Lettere luterane” scriveva sul nuovo potere della società dei consumi che, attraverso la televisione, si consolidava creando giovani inebetiti, instupiditi e sosteneva che il nuovo potere era molto peggio di quello fascista, perché diversamente da questo, entrava nelle coscienze, svuotandole. A noi giovani sembrava un’esagerazione. Oggi tutti riconoscono che c’era della profezia dentro quell’analisi intellettua
le schietta e lucida, benché cruda».
Veniamo a Pokemon go…
«Studiando il pensiero di Hannah Arendt mi pare di individuare non poche analogie (e per nulla deboli) tra il campo di concentramento nazista e il campo di concentrazione pokemista. Per esempio: la frustrazione della capacità umana di operare insieme ad altri, con un sentimento sempre crescente di estraneazione nella sfera sociale; lo sradicamento dalla realtà che sviluppa un sentimento di non appartenenza al proprio mondo, alla propria comunità, alla propria famiglia; la corruzione di ogni solidarietà umana con l’estenuarsi progressivo della capacità di giudizio sul bene e sul male. Con l’inutile e sempre banale esclamazione: “Che male c’è?”».
Tutto qui?
«No c’è altro: una sorta di anestesia dell’anima che rende insensibili al bisogno di cura, di prossimità, di amicizia, senza il quale gli esseri umani nemmeno sanno chi sono e poi la mancanza di pensiero, soprattutto. Cioè la perdita progressiva del potere di riflettere sulle proprie azioni e dunque di capire la mostruosità dei propri gesti».
Pokemon come i nazisti, vuole spaventare i ragazzi?
«Non voglio spaventare nessuno, ma bisogna iniziare a parlar chiaro e ad avere coraggio. Il coraggio di difendere l’umanità. Adolf Eichmann, quello della soluzione finale del popolo ebraico era non necessariamente un malvagio o un demonio (per natura, per indole), ma semplicemente un individuo superficiale, banale, senza coscienza, non essendo in grado di capire le mostruosità che commetteva, un devoto burocrate della macchina nazista, un burattino che si muove meccanicamente. E perché? Perché era senza idee: e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo».
Ha anche pensato a come esorcizzare il diabolico Pokemon?
«Mi viene in mente la proposta semplice della Arendt: niente di più che pensare a ciò che facciamo. Sul presupposto che anche oggi come allora: la mancanza di pensiero – l’incurante superficialità o la confusione senza speranza o la ripetizione compiacente di verità diventate vuote e trite – mi sembra tra le principali caratteristiche del nostro tempo. Il tempo dedicato a Pokemon è tempo alienato, perduto per sempre al pensiero, alla capacità critica, al pensare come uno stare con se stessi per cercare armonia con i propri sentimenti, con le proprie verità, con la propria coscienza. Pensare è un dialogo interiore che appartiene alla struttura dell’essere umano in quanto umano. Chi lo inibisce, fino a farlo sparire, degrada in umanità e rischiosamente si trasforma in un potenziale bruto disumano. Scansare la compagnia di se stessi è evitare di pensare, non sottoporre a esame quello che si fa, non dare peso alle proprie contraddizioni, al dover rendere conto e dunque… rischiare di non preoccuparsi di un possibile crimine. Gli inebetiti sono potenzialmente i veri individui abietti e malvagi».
Allora, che fare?
«Ritornare a pensare per agire bene. Anzi, meglio, ritornare a pensare per agire e basta, perché l’azione umana è strutturata nel bene e quando non si agisce bene (cioè si compie il male) semplicemente non si agisce da esseri umani. Credenti e non credenti, tutti, possiamo ricostituire una nuova santa alleanza tra pensanti perché “smettendola di battagliare tra noi, spesso frequentando il nulla, possiamo insieme trovare una via migliore” (John Denver) per resistere al degrado umano, cui stiamo assistendo senza pensarci troppo, per ritornare a credere negli esseri umani e nella loro capacità di riscatto da questo misero show e dal vuoto che c’è, in questi tempi bui per tutti noi, nei quali anche “l’arca di Noè si è arenata e la speranza non ci basta più” (Renato Zero)».

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