Strabico, un po’ daltonico, sicuramente catanzarese. Se dovessimo sintetizzare in una didascalia il Ferragosto della politica calabrese, lo descriveremmo proprio così.
Strabico. Ha guardato alle cose della politica solo con un occhio, l’altro tentava di leggere in controluce cosa capita sul versante giudiziario dopo i nuovi assetti ai vertici della Procura distrettuale e dopo le insistite visite di finanzieri, forze fresche arrivate da fuori, negli uffici dell’Asp e in quelli del Comune. E non bastasse la Procura cittadina, anche quella di Reggio ha turbato non poco le vacanze dei politici catanzaresi, per via delle paginate che tracimano dall’indagine “Mammasantissima” per investire assessorati regionali e dirigenze eterodirette che hanno caratterizzato non poco l’adozione del “modello Reggio”, quando anche la città delle aquile brindava al grido di “Peppe for president”.
Daltonico. I colori si mischiano e si sovrappongono per via delle transumanze sull’asse centrodestra-centrosinistra. Mandati in soffitta il nero e il rosso, è la stagione del trionfo per i toni sfumati. Il che apre la partita al coinvolgimento di volti nuovi e alla riscoperta di realtà che solitamente girano alla larga dalla caratterizzazione politica. In questo contesto la diversificazione tra “società civile” e “prove tecniche di neogattopardismo” è sempre più sottile. Quasi impercettibile. In questo stagno sguazza molta parte, certamente non la migliore, dell’imprenditoria locale. Stavolta, però, anche i “casati” dei pupari hanno problemi di strabismo: debbono guardare anche loro ai silenti smottamenti che una nuova stagione giudiziaria ha già cominciato a fare intravedere.
Sicuramente catanzarese. Mai come in questo Ferragosto, Catanzaro è stata davvero capoluogo regionale e quindi epicentro delle manovre politiche e delle scelte che all’interno dei partiti maggiori si sono andate delineando. Ben per questo a surriscaldare il dibattito politico, trasferendolo dalle ovattate stanze della Cittadella e di Palazzo dei Nobili, dai lidi di Caminia e di Giovino, dalle pinete di Camigliatello e di villaggio Mancuso, ci hanno pensato proprio due big di lungo corso della politica calabrese: Sergio Abramo, sul fronte del centrodestra; Enzo Ciconte su quello del centrosinistra.
Entrambi hanno la stessa preoccupazione: mantenere la postazione conquistata. Entrambi hanno lo stesso problema, sventare il consolidarsi di una variante “tecnica” che rischia di metterli fuori dai giochi che contano proprio alla vigilia di anni ruggenti e carichi di ghiotte opportunità. Eccoli in pista, dunque, pronti a brandire la sciabola sia pure agitando vessilli diversi e, soprattutto, diversi motti.
I salotti contro Abramo. Sergio Abramo è nervosissimo. La calura ferragostana non c’entra, si sente vittima di congiure salottiere e lo dice mischiando tale preoccupazione con gli auguri di Ferragosto: «Riconosco di essere un sindaco scomodo. Rispetto la politica e sono grato a quelle forze che mi hanno sempre sostenuto e sono pronte a farlo ancora, ma conservo sempre la mia autonomia. Mi dicono che in alcuni salotti della città esponenti dei cosiddetti “poteri forti” si stanno esercitando sul modo migliore per mandarmi a casa. Pago, evidentemente, i troppi “no” e la mia ben risaputa allergia ai salotti. Ma io penso che mandarmi a casa possono farlo solo i cittadini se riterranno insufficiente quello che io ho fatto».
I territori (usurpati) di Ciconte. A mandare in bestia Enzo Ciconte, invece, c’è quello che indica come un vulnus della democrazia: lasciare al governo della Regione dei tecnici invece di far spazio a chi, come lui, ha mietuto consensi su un territorio che ora si aspetta di essere da lui servito. «È urgente ridare ai territori la loro legittima rappresentanza politica. La politica ai politici. Dopo la sconfitta di Cosenza e di Crotone, non si può rimanere fermi o andare avanti con un governo tecnico della Regione. Il presidente Oliverio, cui vanno riconosciuti meriti enormi per gli sforzi tesi a dare prospettive alla Calabria in questo momento di preoccupante crisi, non può fronteggiare da solo la molteplicità di emergenze sociali. C’è bisogno di una collegialità politica che sia espressione delle istanze delle varie realtà e affronti le sfide imminenti che vedono il Pd impegnato a ridisegnare l’assetto istituzionale del Paese». Inanella Ciconte, così ragionando, una serie di gaffe politiche e istituzionali. In un colpo solo svilisce il ruolo dei consiglieri regionali e quindi della maggiore assemblea elettiva di un territorio. Rinnega il suo stesso voto, visto che è stata proprio una legge varata in questa legislatura e voluta dal suo partito a stabilire che gli assessori non debbono essere anche consiglieri regionali. Ciconte ha chiesto, e avuto, i voti per rappresentare il suo territorio in consiglio regionale. Punto. La gaffe peggiore, però, la commette quando, ingentilendo un ragionamento che già aveva fatto in sede di gruppo ma con modi più brutali, richiama le sconfitte che il Pd ha registrato a Cosenza e Crotone per minacciare che un suo disimpegno potrebbe aprire le porte anche a una sconfitta in Catanzaro, dove si vota tra un anno circa. Sarebbe, secondo Ciconte, la clientela che un robusto assessorato consente ad aprire le speranze alla vittoria del Pd alle comunali di Catanzaro.
Nemesi storica per il sindaco. I salotti di Abramo, invece, sanno di nemesi storica oltre che politica. Solo chi li conosce bene può essere così e certo del fatto che tali “arredi” sono in grado nella sua città non solo di condizionare il voto ma anche, addirittura, la scelta dei candidati. Insomma i “salotti”, evidentemente a Sergio Abramo ben noti, avrebbero deciso di voltargli le spalle per punirlo dei troppi “no” che avrebbe loro rifilato in questi anni. Ragionamento gravemente incompleto, nella misura in cui Abramo ci dice la sua risposta, seccamente negativa, ma non ci rivela cosa i “salotti” gli avrebbero chiesto e in forza di quale rapporto si erano sentiti autorizzati a chiedergliela.
Perché tanto nervosismo? Mettendo insieme i nervosismi di Abramo e di Ciconte, i meno ferrati sulle “cose” della politica sono portati a un’unica conclusione: vuoi vedere che circola qualche nome “scomodo” da offrire ai catanzaresi che, a torto o a ragione, volessero imprimere una svolta senza precedenti? Che ne so, un nome capace di destare dal torpore e dalla diffidenza quel ceto medio e quella borghesia silente che non ci sta più a vedere la cosa pubblica governata con metodi strani da personaggi ancora più strani? Un personaggio inedito ma non sprovveduto. Fuori dalla politica ma con un robusto percorso dentro le istituzioni. Mite e signorile nei modi ma non certo disposto a tirare dietro la gamba se il gioco diventa scorretto?
Esiste un personaggio con tali connotazioni? E soprattutto sarebbe disposto a scendere nell’agone catanzarese alla vigilia degli “anni ruggenti” cui facevamo prima cenno? Dovessimo cedere al pragmatismo e all’esperienza più recente, dovremmo dire di no. Ma forse sbagliamo perché noi di politica ne capiamo poco ma Abramo e Ciconte sono invece politici accorti e ferratissimi. E se loro sono nervosi…
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