COSENZA Maurizio Rango – ritenuto il capo del clan degli Zingari di Cosenza – aveva bisogno di un lavoro per «ragioni di giustizia» e l’imprenditore Francesco Cannella è stato costretto ad assumerlo. È accaduto nel 2009 ma l’imprenditore lo racconta ai magistrati il 15 maggio del 2013 nell’ambito delle indagini da cui è scaturita l’operazione “Laqueo”, nel corso della quale sono finite in manette 14 persone ritenute appartenenti alle ‘ndrine bruzie. Tra i 14 arrestati – accusati a vario titolo, di usura, estorsione e tentato omicidio – c’è anche il calciatore professionista Francesco Modesto.
Cannella, convocato dagli inquirenti, racconta le pressioni subite per assumere Rango che una persona gli presentò indicandolo come «un criminale» per cui – spiega Cannella – «mi faceva capire che non potevo rifiutarmi di assumerlo. Per questa ragione lo assumevo. Rango mi diceva che gli serviva solo l’assunzione, mi diceva che non avrebbe lavorato ma che, comunque, non avrebbe preteso di essere pagato. Mi diceva pure che con lui, presso il mio ufficio, non avrei avuto nessun tipo di pressione estorsiva». Quindi – a suo dire – Rango sarebbe stata una “garanzia”. Gli investigatori cercano e trovano riscontri alle dichiarazioni dell’imprenditore. Ed effettivamente Maurizio Rango – attualmente ristretto in regime di 41 bis – tra il 2008 e il 2009 risultava aver percepito redditi in quanto assunto nella società di cui era socio lo stesso Cannella.
ASSUNZIONI PER EVITARE IL PIZZO Ma Cannella non fu costretto ad assumere soltanto il reggente del clan degli Zingari. Stesso modus operandi per l’assunzione di Gianfranco Bevilacqua, uno degli arrestati nel blitz dei carabinieri del Ros, che Cannella ha dovuto assumere come guardiano notturno perché ciò li avrebbe messi al riparo dalle «richieste estorsive da parte della criminalità organizzata cosentina».
Cannella, infatti, interrogato dai magistrati nel 2013 ammette di aver pagato il pizzo dal 2003 al 2009 subendo le pressioni di «un esponente della criminalità organizzata di etnia rom». «Dal 2003 al 2008 – spiega agli investigatori – sono stato costretto a pagare 900 euro al mese a un tale Gianfranco Bevilacqua che mi ha sostanzialmente estorto il denaro dicendo che avrebbe scongiurato fastidi presso i miei numerosi cantieri. Per cui decidevo di accontentarlo. Fra il 2005 e il 2006 per la guardiania dovevo a Gianfranco Bevilacqua 15mila euro». L’imprenditore riuscì a dare quella somma a Bevilacqua e così si assicurò i suoi «servigi per la guardiania». Il rapporto con Bevilacqua venne interrotto quando Cannella subì il furto di alcuni portoncini e caldaie in uno dei suoi cantieri. Bevilacqua – è la versione di Cannella – non stava nei suoi cantieri ma passava «di tanto in tanto la notte» anche se lui in realtà non lo ha mai visto. «Il rapporto con Gianfranco Bevilacqua – ha riferito agli inquirenti – si è instaurato in quanto mi faceva, subdolamente, intendere che, ove non avessi accettato la sua protezione, avrei avuto fastidi di ogni genere».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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