LAMEZIA TERME Attività lecite, assunzioni, voti. Funziona così la catena di montaggio del consenso popolare. Il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice – arrestato a maggio 2015 nel corso dell’operazione Andromeda, messa a segno dalla Dda di Catanzaro contro la consorteria mafiosa Iannazzo-Cannizzaro-Daponte – racconta cosa significhi avere la gestione di uno dei centri commerciali più grandi della regione. «Perché avere il centro commerciale – racconta Pulice riferendosi al centro commerciale “Due Mari” – avere la gestione del centro commerciale in toto attraverso una società comunque… non con l’estorsione mensile, attraverso una società di valorizzazione patrimoniale, gli affitti, i leasing, l’impresa di pulizie, la manutenzione ordinaria e straordinaria, ci consentiva di avere un introito economico importante, attività lecite, ma poi soprattutto le assunzioni, cioè noi andavamo a collocare 2/300 ragazzi all’interno di una struttura, che erano 2/300 famiglie che poi votavano; cioè, alla fine, è tutto un giro». E questo giro comincia a fruttare nel momento più importante: quello delle elezioni. Perché, spiega il pentito, «se io do il posto di lavoro a dieci persone, quando c’è il momento di fare le elezioni comunali, provinciali, regionali, io mi posso permettere a una persona che ho tolto di mezzo la strada di dirgli dammi il voto. E se io l’ho tolto di mezzo alla strada, sono sicuro che quella persona non mi dice di sì e poi lo dà a un altro, ma me lo dà». Il ragionamento di Pulice è semplice, scontato, quasi banale: «Perché comunque, di fatto, poi la gestione del territorio avviene… cioè la gestione del territorio poi, di fatto, non la fa lo ‘ndranghetista, non la fa il criminale per strada, la gestione del territorio la fa il sindaco, la fa l’assessore; cioè solo così può avvenire una gestione in pieno. Perché se io ho un pacchetto di voti di 1000, due, tre 5000 voti, io troverò le porte aperte ovunque, a destra, a sinistra, di dietro, con Forza Italia… Là non c’è colore. Quando si hanno i voti, il colore non c’è perché… Chi si candida ha uno scopo, prendere voti. Non è che chi si candida dice: no, io dalla famiglia Torcasio non ci vado perché sono mafiosi. È una fesseria questa. Anzi, forse è la prima porte dove vanno a bussare. Sennò come ci sale là? Il sistema elettivo è questo. Il sistema elettivo è questo».
IL SEQUESTRO DELLA DDA Non solo il centro commerciale “Due Mari”, ma tutto il patrimonio di Francesco Perri rappresenta per la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro un frutto dei legami tra il gruppo imprenditoriale e la cosca. Il 21 marzo scorso, con l’operazione “Nettuno”, il Gico della Guardia di Finanza ha sequestrato beni per circa 500 milioni di euro, considerati nella disponibilità diretta o indiretta degli appartenenti al clan. Tra questi anche il centro commerciale e altre attività del gruppo Perri. Tagliare linfa vitale alle cosche, questo è uno degli obbiettivi della lotta alla criminalità organizzata. Il patrimonio è stato in parte dissequestrato dal Tdl ad aprile ma i sigilli sono rimasti su diverse attività. Da parte sua Francesco Perri, con una conferenza stampa, ha dato la propria versione dei fatti: «Non ho mai pagato il pizzo, sono una vittima di ‘ndrangheta, non un colluso».
SI ROMPONO I PATTI Ma se il centro commerciale aveva il potere enorme di portare alla cosca denaro, assunzioni e un potente bacino elettorale, ha anche il terribile potere di incrinare i rapporti all’interno della consorteria Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Nascono, racconta il collaboratore, rancori e asti interni quando «quando gli Iannazzo, invece di dedicarsi solo ed esclusivamente alla Sir, al litorale, a tutto ciò che era business fino a Nocera Terinese, hanno incominciato invece a mettere le mani su Perri». Perri è Francesco Perri, imprenditore e proprietario del centro commerciale, anch’egli imputato nel processo Andromeda che riprenderà a settembre. Ma le cose sono andate diversamente, perché all’inizio «si era sempre detto che noi, Cannizzaro, Daponte, con Bruno Gagliardi, avremmo dovuto avere la gestione del centro commerciale e tutte le altre attività presenti su Lamezia, le piccole attività, non dovevano pagare le estorsioni in modo da avere comunque il consenso popolare, che era quello che alla fine a noi ci interessava». E quando «il piano originale ha iniziato a essere intaccato», sono cominciati i malumori. Perché il legame con i Perri, in origine, lo avevano i Cannizzaro. Era il rapporto che – lo conferma Pulice rispondendo a una domanda del pm Elio Romano – legava Antonio Perri, padre di Francesco, ucciso nel 2003, e Peppe Cannizzaro, capostipite della famiglia, ucciso nel 1998. Alla fine, però, furono gli Iannazzo i più abili a inserirsi nell’affare, a stringere i rapporti con Perri. Pietro Iannazzo era sempre sul cantiere quando c’era il lavoro al centro commerciale. Ma una faida cruenta all’interno della consorteria non è mai nata. Un po’ non conveniva a nessuno e poi i rivali nell’ambiente delle cosche, erano già troppi. «Io di mio non volevo comunque uno scontro interno nostro, anche perché di fatto i Torcasio ancora ce n’erano, Giampà ancora ce n’erano, era magari qualcosa da posticipare a dopo. Io sono sempre comunque partito dal presupposto che parlando con alcune persone, facendogli capire alcune cose, con alcuni amici intendo, no?, perché comunque gli Iannazzo li consideravo amici, si riusciva a trovare la quadra, non c’era bisogno di uno scontro». Il brutto tempo sembra minacciare l’orizzonte verso il 2011 quando Bruno Gagliardi si allontana dagli Iannazzo e si avvicina ai Cannizzaro-Daponte. Ma Pulice racconta che in quel periodo aveva già in mente di allontanarsi dagli affari e dai livori della criminalità calabrese. I propositi omicidiari non si concretizzano e, comunque, nel 2015 arriva l’operazione Andromeda.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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